di Cristina Rovano
Sabato 13 aprile 2024 ho coronato un piccolo sogno.
Come piemontese, ho vissuto diversi anni in bassa Valle di Susa, dove il panorama quotidiano non può prescindere dall’imponente presenza della Sacra di San Michele. Sabato, sono finalmente andata alla Sacra insieme ad un cospicuo numero di amici dell’Istituto Gea, la nostra associazione di geobiologi.
Amici non solo piemontesi, alcuni sono arrivati dalla Lombardia, dal Veneto, dalla Liguria. Al mattino si è svolta l’assemblea annuale, in centro città, presso il mio studio, poi, a differenza degli altri anni, non abbiamo proseguito con il pranzo a Torino e con la percezione di alcuni punti della Torino “magica”, bensì abbiamo preso la metropolitana per spostarci in direzione della Sacra, ad ovest, al capolinea Fermi di Collegno. Qui un piccolo ristorante di cucina vegetale dalle portate gustose e abbondanti è stato lo sfondo del nostro pranzo sociale e l’occasione di conoscere le nostre guide, Enrico e Monica, che ci avrebbero regalato un punto di vista differente da quello che si legge sulle guide turistiche. Dopo dolce e caffè, abbiamo raggiunto le auto che ci aspettavano al parcheggio già dal mattino e ci siamo messi in viaggio verso la destinazione pomeridiana. Arrivati fin dove è consentito con i mezzi, ci siamo avvicinati a piedi all’Abbazia di San Michele della Clusa, nome corretto dell’edificio. Ricordo quando, alcuni anni fa, sono salita a piedi da Sant’Ambrogio alla Sacra, percorrendo una delle due antiche mulattiere che si inerpicano sul monte Pirchiriano. Per raggiungere i luoghi dell’arcangelo Michele occorreva faticare parecchio.
Era un po’ come doversi meritare il paradiso.
Nel tragitto a piedi abbiamo notato le rocce del monte, soprattutto quelle di un colore verde intenso, più scuro e più chiaro. Sono rispettivamente serpentiniti e pietre verdi, entrambe metamorfiche di origine magmatica provenienti le prime dal mantello e le seconde dalla dorsale oceanica.
Sono rocce antiche, di 150-200 milioni di anni fa, quando le Alpi non erano ancora formate e vi era invece la presenza dell’Oceano Ligure Piemontese, che divideva l’antica Africa dall’antica Europa. A causa dei movimenti tettonici, le due placche continentali iniziarono ad avvicinarsi finchè, a partire da circa 80 milioni di anni fa, dal loro scontro si sollevarono le Alpi. È quindi diffuso trovare nelle rocce alpine tracce dell’ oceano scomparso e delle placche Paleo-Europea e Paleo-Africana.
La prima tappa percettiva è stata ai resti di quell’edificio chiamato Sepolcro dei Monaci, che però è privo di sepolture. Un edificio a pianta ottagonale precedente alla Sacra, che si ergeva qualche metro più in basso. Sull’ottagono si leggono ancora le tracce di otto cappelle, quattro a pianta semicircolare e quattro a pianta quadrata, disposte in modo alternato. La parte più conservata è quella verso est. Appena entrati in quella che era la zona della costruzione si è percepita chiaramente l’emissione forte di quel luogo. Il corpo ha iniziato a formicolare. Un punto particolare è quello che si trova nella cappella alla sinistra della parete ancora in piedi, dove alcuni di noi hanno concordato sulla presenza dell’emissione di una spirale.
Lasciatoci alle spalle il “sepolcro” ci siamo diretti verso la porta del complesso monastico. Dalla porta fino all’ingresso della chiesa ci sono 202 gradini, contati durante la salita. Una sosta per ammirare la recente statua di San Michele e la facciata della chiesa, illustrate da Enrico, ha spezzato la salita. Da questo punto si coglie la grandezza della costruzione romanica, il cui ingresso è dallo stesso lato dell’abside. È un caso raro, forse unico, in cui facciata della chiesa ed abside sono entrambe rivolte ad est. È possibile perché si trovano su due piani a quote altimetriche differenti: sembra quasi che la facciata regga l’abside.
In effetti quest’opera ardita è stata realizzata sulla punta del monte Pirchiriano, allargando la base d’appoggio grazie alla realizzazione di un basamento a sbalzo rispetto al profilo del monte e sostenuto da un pilastro in pietra alto diversi metri. Il basamento regge quindi la chiesa al di sopra, mentre al di sotto contiene al suo interno il famoso Scalone dei Morti, una scala lunga e ripida che consente di colmare il dislivello tra l’ingresso posto in facciata e il piano di costruzione della chiesa.
Lo scalone dei Morti, che questa volta si erge davvero nel luogo di sepoltura dei monaci, appare come un grande tunnel al cui fondo si vede la luce. È l’ultimo sforzo per raggiungere il luogo sacro, al quale dà accesso attraverso l’altrettanto famoso portale dello Zodiaco, chiamato così perché vi sono scolpiti i segni zodiacali. Visto dall’alto lo scalone dà la sensazione di un luogo dal quale si viene espulsi con fatica, come durante un parto. Forse non a caso su uno dei capitelli di sinistra delle colonne che fiancheggiano il portale è rappresentata una sirena bicaudata (sirena con due code). Una rappresentazione che abbiamo già trovato in altri siti a rappresentare la presenza di acqua, la fertilità, il parto.
Eccoci pronti per entrare in chiesa.
All’interno l’atmosfera è sempre emozionante e mi riporta ad una messa di mezzanotte di un Natale di tanti anni fa, quando ancora nevicava la Vigilia e la Sacra era meta difficile da raggiungere con la neve, ma le condizioni delle strade non scoraggiavano nessuno. Dalla Chiusa, Chiusa di San Michele, un paese all’ombra del Pirchiriano, partiva anche una fiaccolata che raggiungeva il luogo sacro per l’evento.
In chiesa abbiamo percepito l’emissione energetica della faglia e delle diverse fratture e dislocazioni che attraversano la navata. Purtroppo non sono cartografate, anche se ben percepibili. Il punto di più elevata intensità è quello in corrispondenza delle cappellette sottostanti, luogo sacro antecedente l’attuale costruzione.
Non abbiamo individuato alcuno scorrimento idrico e le persone presenti erano troppo numerose per poter effettuare una ricerca dei campi reticolari. Il tempo è passato molto velocemente ed è arrivata l’ora di lasciare la chiesa. All’esterno però c’è stato ancora il tempo di goderci il panorama dalla terrazza e di avvicinarci alla torre della bell’Alda. Poi a malincuore ci siamo diretti verso l’uscita e poi verso il parcheggio.
Anche l’avventura alla Sacra si è conclusa, in questa giornata quasi estiva che il tempo ci ha regalato dopo tante di pioggia. Ci siamo salutati con gli occhi che brillavano, pensando già alla prossima occasione per ritrovarsi, in qualche altro posto meritevole di una visita “percettiva” da condividere.