Resoconto “energetico” del viaggio sociale 2018: due passi nella leggenda di Maria Maddalena

davVoce narrante: Cristina Rovano
Ho voluto fortemente questo viaggio alla Sainte Baume che mi auguro essere il primo di una serie da organizzare anche nei prossimi anni… ci sono così tanti luoghi particolari in cui è possibile fare un’intensa esperienza di percezione!

Questo viaggio però voleva anche essere esperienza di condivisione e di un pezzetto di vita insieme. Lo è stato. L’atmosfera serena e lo spirito di gruppo che si sono da subito instaurati tra noi partecipanti ci ha ripagato di tutto l’impegno che è stato necessario impiegare per realizzarlo.
E dunque.. al termine del viaggio, mentre sorseggiavamo kir royal riparandoci dal sole settembrino nel dehors di un locale di Porquerolles, ecco farsi largo l’idea di un racconto scritto ad otto mani: ognuno di noi ne racconterà un pezzetto ripercorrendo tre giornate colme di emozioni.
Tocca a Giuseppe aprire le danze. Noi ci ritroveremo tra poco.

L’importanza ed il valore aggiunto del fare percezione insieme
di Giuseppe Marsico

davCon queste mie riflessioni vorrei comunicare a tutti Voi ciò che ho provato e recepito durante l’esperienza presso questi luoghi geologicamente interessanti, dove la storia e le tradizioni religiose hanno lasciato una traccia indelebile. Ma quello che vorrei approfondire, (in quanto lascio ad altri soci descrivere più precisamente i luoghi visitati e le percezioni avute) e su questo mi sono “concentrato”, è l’importanza ed i vantaggi di fare queste esperienze “insieme” a colleghi e a soci esperti, per poter far circolare le energie di ciascuno al fine di condividere sensazioni e percezioni e soprattutto di avere l’opportunità di entrare in sinergia con le persone.
Dalla mia esperienza fatta presso l’Istituto GEA dal corso di base in poi e grazie agli aggiornamenti seguiti, ho sempre creduto nell’importanza di eseguire analisi, rilievi, percorsi percettivi e visite a luoghi geologicamente e storicamente “forti” insieme ad altre persone che siano sulla mia medesima lunghezza d’onda e che siano affascinate dalle risposte e dai segnali che la Terra e i suoi luoghi particolarmente “attivi” ci rimandano, se vogliamo e sappiamo ascoltarli.
Ritengo molto importante, in questi momenti di percezione e ricerca, fare squadra, scambiare opinioni e sensazioni, ricercare punti e luoghi che “emettano” o “assorbano” o comunque diano segnaldavi al nostro corpo (vibrazioni, sensazioni di aumento della temperatura o sua diminuzione, movimenti interni ai nostri organi, cerchio alla testa, affanno o rilassamento, sensazioni di benessere, sensazioni di pace interiore ecc.) e soprattutto ritengo fondamentale avere l’opportunità e la voglia di scambiare queste sensazioni con gli altri, al fine di mettere in comune aspetti anche molto personali che possano aiutare sia chi si esprime sia chi ascolta, contribuendo allo scambio delle esperienze.
Credo poi fortemente che solo con un “lavoro insieme”, attento ed equilibrato si riesca a tornare a casa dall’esperienza avuta con un ricco bagaglio di conoscenze e di scambi energetici che aiutano sicuramente a crescere come “esperti” e come persone attente ai segnali del proprio corpo.Nei tre giorni passati insieme nonostante molte ore sono state impegnate nel viaggio, abbiamo avuto tante opportunità di confronto, di scambio e soprattutto di arricchire il nostro bagaglio riguardo le ricerche e le analisi dei luoghi che avevamo deciso di approfondire. Sono convinto che aver poi passato anche momenti conviviali e rilassanti (ad esempio le serate trascorse insieme e la visita all’isola di Porquerolles) sia servito a tutti per migliorare la nostra conoscenza e apprezzare anche i lati “non solo professionali” di ciascuno. Sono molto contento dell’esperienza fatta perché ho ricevuto, e spero di aver dato, “energie positive” che servono a tutti noi per migliorare il nostro benessere psico-fisico. Ho avuto la riprova che l’Associazione Gea è costituita da Associati disposti a collaborare, fare ricerca e condividere ciò che la Geobiofisica e la Geobiologia ci insegnano, con l’obiettivo di crescere insieme.

Eh sì, il viaggio è stato piuttosto lungo e faticoso, ma anche divertente e ci ha regalato l’opportunità di stare insieme, noi che siamo sparsi su un vasto territorio che si estende dal nord al centro Italia e si spinge fino in Svizzera, in Canton Ticino.
Eccoci venerdì mattina a Milano, scelta come luogo di ritrovo perché baricentrica un po’ per tutti, pronti per la partenza: gioiosi ed eccitati ci compattiamo su due auto non prima di esserci rincorsi per Assago Forum poiché ci aspettavamo a due stazioni della metro differenti, ma qualche imprevistodav ci sta e rende più briosa l’avventura.
È un bellissimo weekend di settembre. La temperatura è ideale. Partiamo verso la nostra prima destinazione: la Basilique Sainte-Marie-Madeleine sita a Saint-Maximin-la-Sainte-Baume, in Provenza. È la più grande basilica gotica del sud della Francia, la cui costruzione è iniziata nel 1295, ed è considerata il terzo sepolcro più importante della cristianità dopo quello di Gesù a Gerusalemme e di San Pietro a Roma.
Le aspettative sono alte. Dopo aver parcheggiato, ormai nel pomeriggio inoltrato, fuori dal nucleo storico di Saint-Maximin-la-Sainte-Baume ci avviciniamo a piedi verso la chiesa, approfittando del tragitto per sgranchirci le gambe intorpidite da molte ore di viaggio. Eccola apparire al fondo della piazza Hotel de Ville. Trascorriamo qualche minuto ad osservarla dal di fuori, per farci un’idea di cosa ci aspetta al suo interno. Entriamo.

La percezione nella Basilica di Maria di Magdala

di Pier Prospero

Entrando nella chiesa si ha l’impressione di superare un ostacolo essendo già su una graticola.
All’interno la mia percezione non è cambiata molto, se non che avvicinandosi all’abside sentivo meno tensione e stavo via via meno male fino all’abside dove la tensione era mindavima.
Solitamente all’interno delle chiese gotiche si sta meglio che all’esterno: era cura dei costruttori mettere la percezione di un “ostacolo” all’ingresso ma anche far percepire che – superato questo – ci si trovava in una atmosfera complessivamente migliore che all’esterno.
In questa basilica non avviene e uscendo lateralmente verso il chiostro ho avuto nettamente la percezione che si stava molto meglio fuori.
Il problema è che per quel che riguarda la percezione sottile, ma anche il pathos, entrare in questa basilica o entrare in un capannone dalle dimensioni analoghe, per me sarebbe stata la stessa cosa. Infatti mi è risultata una chiesa “senz’anima” dove, pur essendo dedicata a una figura femminile, la percezione del femminile è quasi del tutto assente. In questa basilica prevale la funzione di “capannone per la fiera annuale” che pur essendo propria anche delle altre grandi cattedrali, di solito non ne toglie l’atmosfera e attualmente non si percepisce più.
La mia impressione alla fine è quella di una costruzione già a suo tempo dedicata al business e fatta per sancire il Potere, civile e religioso.

Si sa che nei luoghi in cui dopo il mille ancora necessitavano di costruire grandi chiese per sancire la religione e il Potere voleva dire che la popolazione si era convertita solo formalmente ma continuava in gran parte a praticare il vecchio culto della Dea, magari in forme decadute e senza più comprenderlo, ma continuava a preferirlo al nuovo culto solare-patriarcale e ai suoi risvolti politico-sociali.
Ritengo che qui nel quarto secolo ci possa essere stata proprio una situazione del genere e che la popolazione per non incorrere nella repressione cruenta dei nuovi potenti abbia cambiato tutti i nomi delle loro credenze antiche con altri nomi cristiani che però ne mantenevano in qualche modo il significato simbolico, quindi una grotta tempio rupestre di sacerdotesse e poi forse teatro di sacrifici di giovani donne diventa la “grotta dove si è ritirata la Magdalena” e l’arrivo rituale via mare di queste sacerdotesse, nei secoli diventato l’arrivo rituale di sacerdotesse e sacerdoti per la commistione col patriarcato, è diventato l’arrivo di una “barca senza remi dalla Palestina” con a bordo uomini e donne “sacri”, e così via. Sotto a questi nuovi nomi si continuava a celare quel “culto ancestrale che esisteva dalla notte dei tempi”, come dicono gli autori del sito “due passi nel mistero”. Dovevano averlo già fatto molte altre volte: con i primi indoeuropei, con i Greci, con i Celti e con i Romani, quindi gli sarà venuto spontaneo adeguarsi anche agli aggressivi cristiani del quarto secolo. Questo adattamento forzato deve essere successo proprio all’epoca della così detta cripta (in realtà è un sacello tombale preesistente alla basilica): i sarcofagi presenti nel sacello con le loro istoriazioni no
davn mi hanno “detto” di essere stati pensati per dei santi di due secoli prima, ma di essere stati fatti per una famiglia molto importante e ricca.
Nel sacello si entra a fatica per un “ostacolo” energetico posto all’accesso che potrebbe essere stato sfruttato da chi ha costruito il sac
ello ipogeo come “dissuasione” a entrate sgradite. Dentro, essendo passati più di mille anni, non si percepisce più l’informazione di morte caratteristica delle tombe, che però è riportata alla vista dal teschio considerato reliquia della Magdalena. Ho eseguito una datazione a distanza del teschio che mi risultava di una donna tra i 45 e i 50 anni morta 1750/1800 anni fa circa. Non ho potuto essere più preciso poiché non potevo toccare l’oggetto da datare, ma come ho “azzeccato” l’età della morta (accertata verso i 50 anni come ho letto successivamedignte) dovrei aver “azzeccato” anche gli anni che ci separano da quella morte, che quindi per la mia percezione risalirebbe al 200/250 d.C. Altri due miei compagni di viaggio hanno provato a datare il teschio ottenendo risultati simili al mio (e l’abbiamo fatto scrupolosamente in cieco tra di noi), quindi è molto probabile che il teschio fosse di una donna sepolta nel sacello. Una datazione al Carbonio 14, pur essendo più approssimativa delle nostre, risolverebbe definitivamente la questione.
Ma nel cercare di percepire che informazioni mi arrivavano dall’interno del sacello ecco la sorpresa!
La cosa più interessante di tutta la basilica, che però per me non c’entra niente con la basilica, è proprio qui, al centro del sacello del quarto secolo: un campo energetico circolare che pulsa lentissimamente, al cui interno sembra di sollevarsi un po’ e che è in grado di compensare gli effetti deleteri della situazione idrogeologica e tettonica.
Anche in altre situazioni ho trovato questo tipo di campo associato a delle sepolture con l’intento, presumo, di far andare in Cielo le essenze energetiche dei sepolti, quindi sono sicuro che la posizione del sacello fu scelta accuratamente per la ricca famiglia gallico-romana cristiana che vi doveva essere sepolta.
Sia nel sacello che sopra in verticale nella basilica, in corrispondenza di questo campo energetico non solo non si percepisce più il malessere dovuto alla situazione geologica, ma si sta anche bene!
Conosciamo da anni l’esistenza di questo tipo di campi, ma finora ne abbiamo potuto testare così pochi e in situazioni geologiche molto diverse che non siamo ancora in grado di descriverli bene e di fare ipotesi sulla loro origine.
Ecco un bel compitodav che ci attende per il futuro come Esperti GEA.

È stata una visita impegnativa, non priva di sorprese, che ci ha ricordato quanta ricerca dobbiamo ancora fare nel prossimo futuro dell’Associazione!
La stanchezza inizia a farsi sentire e approfittiamo delle ultime ore di luce per avviarci verso Plan-d’Aups-Sainte-Baume, un paesino disteso ai piedi del massiccio della Sainte-Baume, in cui trascorreremo la prima notte. L’albergo è molto carino, molto caratteristico, e ci offre una cena deliziosa dopo un aperitivo al banco. Fuori la calma e buia notte è la protagonista della serata. La luna illumina il massiccio, una presenza molto forte che connota il paesaggio in modo incisivo. Domani ci aspetta una giornata ancora più impegnativa: saliremo a piedi sul massiccio, sostando nella Grotta in cui si narra abbia vissuto gli ultimi 33 anni di vita niente meno che Maria di Magdala.

La percezione nella Grotta di Maria di Magdala
di Magda Ceré

08 okIl ‘Massif de la Sainte-Baume’ (dal provenzale ‘baumo’, grotta), è una falesia dal fronte impressionante di 12 chilometri.
La spettacolarità geomorfologica del massiccio è frutto di movimenti tettonici iniziati 120 milioni di anni fa con la rotazione della penisola iberica e successiva spinta verso l’attuale sud della Francia, che ha provocato uno scorrimento di un centinaio di chilometri in direzione nord-est. Le deformazioni e piegature degli strati hanno prodotto la catena dei Pirenei e quella del massiccio, la cui volta anticlinale ha in seguito subito fenomeni di erosione aerea. Il fianco meridionale della catena provenzale ha continuato il suo movimento, prima senza trovare resistenza, poi sovrapponendosi al fianco settentrionale, originandone così il ribaltamento degli strati. Tra i 30 e 10 milioni di anni fa, una serie di spinte stavolta verticali, ha sollevato i suoi strati, aumentandone l’elevazione. La successiva erosione ha intaccato pesantemente il versante nord, lasciando intatti solo brandelli delle ‘serie normali’ e rendendo visibile la ‘serie inversa’ che oggi forma l’alta catena di Sainte-Baume e il picco di Bertagne nella baia di Saint-Cassien. Il territorio è stato per decenni oggetto di studio da parte di eminenti geologi ed è una dimostrazione evidente della teoria del ‘thrust sheet’: strati antichi, risalenti al Triassico e Giurassico, sono posti su strati sdavuccessivi del Cretaceo, creando così una ‘serie inversa’.
Il massiccio è caratterizzato dalla presenza di abbondanti scorrimenti acquiferi e risorgive sotterranee e costituisce la principale riserva d’acqua della regione. La natura carsica del suolo ha creato grotte, anfratti, doline e numerose gallerie, oggi paradiso per gli speleologi.
Da un punto di vista storico e antropologico, l’archetipo della grotta umida simboleggia da sempre il grembo materno, origine della vita.

Le popolazioni del neolitico e in seguito i Celti, i Liguri, i Romani e i pellegrini provenienti dall’antica Massilia (Marsiglia), si recavano alla sacra grotta per venerare le dee primigenie della fecondità, divinità appellate con nomi diversi nei vari culti ma provenienti dalla medesima radice ancestrale.
Verosimilmente, dal V secolo, i monaci di San Cassiano dell’abbazia Saint-Victoire di Marsiglia, per primi introdussero la presenza cristiana continua nella grotta e la tradizione provenzale di Santa Maria Maddalena.
Il 22 settembre, secondo il nostro calendario, è giornata d’inizio autunno, eppure uno splendido sole estivo ci ha riscaldato fino alla grotta. Lungo il cammino ci siamo scambiati alcune impressioni e considerazioni sul luogo e sulle vicende della Maddalena; ognuno portava con sé un personale bagaglio di conoscenze, informazioni geologiche del territorio, letture di testi sacri o profani, racconti, teorie, storie leggendarie impresse nell’immaginario.
Immergendoci nel bosco sacro e salendo verso l’altura, abbiamo cercato di abbandonare alle nostre spalle questo fagotto di dati e idee, poiché il nostro intento era sentire cosa quel luogo avesse da raccontarci, il più possibile liberi da condizionamenti mentali e culturali, quali voci sorgessero dalle rocce, dagli anfratti, dalle acque nascoste e dai loro umori.
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Così, raccolti nel nostro silenzio, ci siamo avvicinati con rispetto e abbiamo sostato e osservato a lungo il luogo e ascoltato le nostre sensazioni.
La terrazza antistante alla grotta consente un panorama ampio e la giornata soleggiata ha favorito la visibilità a lunga distanza. Sostando sotto il picco della falesia, si avverte una sensazione di schiacciamento, pare di essere sospinti all’indietro, mentre in prossimità dell’apertura della grotta sacra, ‘qualcosa’ di simile a una parete invisibile ostacolava il nostro incedere; l’enorme forza sprigionata dagli strati geologici è ancora percepibile, se ci si pone in adeguato ascolto e attenzione verso le sensazioni corporee sottili.

Per entrare si devono salire sette gradini, numero associato alla ‘verginità’ intesa come ‘perfezione’, ai ‘sette demoni’ da cui la Maddalena fu liberata, ai ‘sette doni dello Spirito’, alle giornaliere ‘risalite verso il cielo’ della Santa, sollevata dagli angeli (mi chiedo, forse la risalita della kundalini attraverso i sette chakra principali?).dav
Il varco originario è stato chiuso da una parete in forma di facciata con finestre, decorate da vetrate colorate di recente fattura e recanti le vicende di Gesù e della Maddalena; in seguito avremmo notato che alcune raffigurazioni rappresentano gli eventi descritti nei Vangeli in modo non convenzionale e inusuale, come per esempio il tavolo dell’ultima cena apparecchiato per due.

Dall’interno provenivano i canti finali di commiato di una funzione religiosa. Mi aspettavo un’illuminazione artificiale più intensa, tuttavia il buio non era sgradevole. Muovendoci e sostando nelle varie parti della grotta, le sensazioni che abbiamo percepito sono state a volte piacevoli e a volte no, a seconda delle zone. Camminando lungo una linea ideale parallela alla facciata della chiesa, circa all’altezza della balaustra dell’altare, ho avvertito una forte pressione in salita dal basso, davvero fastidiosa a livello dello stomaco; ipotizzo sia stato per effetto della spinta verticale degli strati geologici, probabilmente ancora attiva.dav
Il contrasto fra la naturale asperità e le forme rifinite delle statue e dell’altare, fra i colori terrigni e grigiognoli e la policromia delle vetrate, per me era sgradevole; solo la statua dell’Arcangelo Michele, custode del femminino sacro e delle energie telluriche, mi è sembrata essere intonata al luogo e in sintonia con le qualità dell’antro, forse solo perché non ben illuminata.
Le sistemazioni e le modifiche create dall’uomo, in fasi successive e secondo apporti diversi, non hanno ricevuto un’impronta organica. Persino Le Corbusier fece un progetto di sistemazione della basilica ctonia, peraltro piuttosto invasivo: tre sale-caverna e sette percorsi di accesso, secondo una numerologia dal forte richiamo simbolico.

Le sculture che ritraggono la Maddalena non sono immediatamente visibili.
La più imponente è collocata dietro e di spalle all’altare, nascosta e di difficile accesso.

dav Si tratta di un’opera di riciclo, proveniente da un monumento funerario mai ultimato, tuttavia rispondente a una delle consuete posture secondo cui la Santa è sempre stata raffigurata: semisdraiata con a fianco i simboli sacri a lei associati.
Un’altra statua con angeli è in fondo alla sala, un’altra è posta al livello più basso.
Ovunque, era intensamente tangibile la percezione della presenza dell’acqua, così abbondante, trasudante fra le pietre, in movimento fra gli anfratti carsici. Nella zona più intima e profonda della grotta, raggiungibile con due rampe, forse troppo imponenti e sovrabbondanti, c’è una vasca di raccolta, la cui attuale finalità pratica, un tempo probabilmente si accompagnava a quella delle cerimonie sacre di abluzione. Ci chiediamo: di quali rituali questo luogo è stato testimone? Di quali imprese dell’uomo, sane o insane, sono testimoni queste rocce? Abbiamo accolto le sensazioni diverse che ci sono arrivate ed è stato particolarmente interessante confrontarci, parlare di sovrascorrimenti e faglie ma anche di culti delle acque legati al femminino sacro, dei misteriosi ‘quatre de chiffre’ sulle vetrate, opera dei Compagnons du Tour de France, custodi secolari e privilegiati di questo luogo sacro.

Non sapremo mai se Maria Maddalena abbia veramente vissuto qui gli ultimi trentatré anni della sua esistenza.
Sapremo però custodire i nostri ricordi.

Ricorderò gli attimi di commozione stando seduta a occhi chiusi, il senso di disagio provato davanti a quel piccolo altare, in quell’angolo buio, dimenticato e abbandonato all’incuria. Saprò ricordare la voce di un luogo che chiede di tornare a essere riconosciuto nella sua autenticità.

Chi come noi sente forte il richiamo e il contatto con la Terra e con Madre Terra non può fare a meno di emozionarsi in circostanze come queste, in cui il culto del femminile è legato alla geologia e all’idrogeologia del luogo.
Le sensazioni emergono dal profondo, spesso sono ancestrali e affiorano con la forza di un moto liberatorio. Difficile raccoglierle tutte, ma forse il bello sta proprio nell’osservarle mentre emergono.
La Terra e il femminile… cosa c’è di più lontano dal sistema patriarcale scelto dalla Chiesa Cattolica? Eppure, nonostante la forzatura esercitata dalla condizione politico-religiosa nelle varie epoche, il femminile trova sempre la sua strada per emergere, spesso una strada velata, ma inevitabile, poiché il femminile, inscindibile dal concetto di fertilità, rappresenta l’essenza e la prosecuzione della vita stessa.

Maria di Magdala: una Sacerdotessa messa in ombra
di Marilinda Residori

davUna grotta è allo stesso tempo un luogo che è nascosto e che nasconde.
Entrando nella grotta santa della Maddalena si hanno entrambe queste sensazioni: la vera “Maddalena” ci è nascosta, ma q
uando la troviamo intuiamo che anche lei ci nasconde qualcosa.
Girando nella grotta, solo alla fine mi sono accorta del sopralzo nascosto dall’altare.

Dopo sensazioni pesanti e a tratti inquietanti finalmente un respiro di sollievo: lì sopra ci si sente bene, rilassati e tranquilli. Non a caso è stata messa in questo punto la statua di giovane donna sdraiata e languida.
Questo aspetto sensuale e fascinoso del femminile è proprio della Maddalena ma viene tenuto il più possibile nascosto a favore dell’ostentazione della sua “penitenza”.
Ma di cosa dovrebbe pentirsi Maddalena?
Di essere una donna libera, di non rientrare nello schema “moglie-madre”, di assomigliare alle antiche sacerdotesse della Dea Madre?
L’aspetto del femminile da celare è quello di giovane “vergine” impersonato dalla dea neolitica; la grande dea si manifestava come giovane amante, come madre del dio bambino e come anziana accoglitrice dei defunti. Nel ruolo di giovane è l’amante del dio solare o della vegetazione che muore, ma poi rinasce.
Maddalena si può vedere come la dea giovane, compagna di Gesù.
Il vaso di unguenti che la segue nella sua iconografia allude esplicitamente al “contenitore utero” sede della sessualità e della sacralità della vita, e per analogia anche alla grotta sacra come luogo di trasformazione silenzioso e protetto.
15 okUn dipinto che mi è stato sempre molto caro e che per molti anni ha contraddistinto il mio sito web è la Venere di Botticelli: la giovane dea nuda con i capelli rossi sciolti mi diceva qualcosa inconsciamente.
Pier mi aveva spiegato che il pittore era una specie di “iniziato” a conoscenze che dovevano rimanere segrete e che, con “la sua Venere” aveva riprodotto un’iconografia di Inanna-Ishtar-Astarte-Afrodite, la dea sumerica e medio orientale che rappresentava la manifestazione della Grande Dea come giovane amante.
Possiamo ipotizzare che si tratti fondamentalmente della stessa figura!
Maddalena nasconde quindi Venere, anzi l’Inanna dei Sumeri di 5000 anni fa!
Giovane amante di Dumuzi, dio solare e della vegetazione, quando questi muore, Inanna scende agli inferi, costringe la “sorella” che regna sui defunti (la manifestazione della Dea come accoglitrice dei defunti) a lasciarlo rivivere e tornano assieme in superficie… Quante volte abbiamo sentito questa storia!
Maddalena è la prima a vedere Gesù risorto. Alcuni vangeli apocrifi dicono chiaramente che era la compagna/amante di Gesù. Mi sembra che davvero si tratti della ennesima narrazione dello stesso mito.
Alla Santa Grotta questa “Maddalena”, erede delle sacerdotesse della Grande Dea, è nascosta ma non troppo: chi sa cosa cercare la trova.
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Come noi che con la percezione abbiamo trovato il punto dove si sta bene e con la vista abbiamo colto le allusioni della statua distesa e, guardando verso l’uscita, le simbologie delle vetrate.
Pier mi sussurra che nella lunetta sopra l’ingresso ci sono dei simboli di Inanna-Ishtar: la corona, il vaso, la candela.
I Compagnons, di cui l’autore delle vetrate fa parte la sanno lunga: uno degli attributi della dea Ishtar era quello di “protettrice dell’artigianato artistico” e loro hanno scelto proprio “Maddalena” come patrona.
Pier casualmente ha scoperto anche il significato originario del “calice” di unguenti che “Maddalena” ha sempre con sé e mi ricorda come in Sardegna avevamo interpretato la forma originaria dei nuraghe, ma questa è un’altra storia…

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Usciti dalla Grotta di Maria di Magdala ci siamo diretti, ormai affamati, nella adiacente “casa del pellegrino” attrezzata con un bel tavolone di legno, acqua, te e bevande calde, dove abbiamo potuto consumare il nostro pranzo al sacco con gli acquisti fatti al mattino in una piccola bottega di fronte all’albergo.
Rifocillati abbiamo ripreso il cammino per raggiungere la sommità del massiccio, dove si erge il santo pilone e si può camminare lungo la faglia, godendo di uno splendido panorama
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La percezione sul massiccio di Saint-Baume
di Fabrizio Marazzidav

Dalla grotta al Santo Pilone il tragitto è diviso in due parti. Il primo tratto è tutto in salita, al riparo dal vento e conduce alla sommità del massiccio, mentre il secondo tratto si sviluppa sulla cresta del massiccio stesso, ci consente di camminare lungo la faglia, ed è caratterizzato dal forte vento.
La percezione della spinta compressiva della faglia è possibile più nel primo tratto, prima di arrivare in cresta, dove tale spinta è esercitata verso monte e mai verso valle.
Raggiunta la quota massima invece, la percezione si fa difficile, decisamente condizionata dal forte vento.
Inizia il secondo tratto del tragitto, in cui, in alcuni punti, è complicato persino mantenere l’equilibrio e godersi lo splendido panorama.
Faticosamente raggiungo il Santo Pilone, ovvero una cappella ad unica aula intitolata a San Giacomo, ma dedica
davta a Maria di Magdala.
La cappella è situata lungo la traiettoria di ascesa quotidiana della Maddalena al Cielo ad opera degli Angeli.
Prima di entrare, compio un giro intorno, all’esterno. Alle spalle della cappella vi è il precipizio, ma la spinta geologica che si percepisce in questo punto del massiccio è respingente: mi spinge indietro, quasi a protezione rispetto alla presenza del burrone.
Sono curioso di addentrarmi nel piccolo edificio e mi dirigo verso la porta di ingresso, la luce è fortissima e solo quando sono al riparo del pronao antistante mi rendo conto che una grata di ferro mi impedisce l’accesso. L’ambiente interno è completamente differente da come me l’aspettavo.Tutte le pareti sono rivestite di materiale scuro e sulla parete opposta alla porta si staglia la statua bianca della Maddalena. Forse questo contrasto cromatico è voluto e rappresenta il contrasto tra le tenebre e la luce, ma in realtà a me sembra richiamare solo una soluzione architettonica troppo moderna, che trasmette poco qualunque messaggio, sia di natura geologica sia di natura spirituale.
Tuttavia mi accorgo della presenza di un campo energetico posto pressoché al centro della volta che chiude la sommità della cappella.
Si tratta di uno scarico di energia naturale a spirale di discrete dimensioni. Sono riuscito a percepirlo a distanza, cioè dalla porta di accesso.
Come accade molte volte le cappelle non sono realizzate in un luogo a caso, ma in un posto con emissione energetica particolare, scelto appositamente per suscitare specifiche sensazioni a chi vi si avvicina.

Gran parte della giornata è stata occupata dalla salita, e poi dalla discesa, dal massiccio attraverso il bosco.
L’ambiente naturale è sempre una porta di più facile accesso o un ponte tra le percezioni umane e l’ambiente circostante.
Anche in questo caso il bosco ha esercitato il suo fascino e ha reso la nostra lunga passeggiata un’occasione di connessione con la natura nella quale siamo stati immersi per diverse ore.
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La percezione nel Bosco Sacro sotto la Grotta
di Paola Marabini

Il mattino della nostra visita alla grotta c’era un bel sole. Di conseguenza, camminare nel bosco ombroso per salire alla grotta è stato molto piacevole.
Al bosco si accede tramite una stradina in terra battuta e ghiaia in mezzo ai campi.
Ci si sente molto in mezzo alla natura, le uniche forme che si distinguono dall’ambiente naturale sono i pochi edifici attorno ai quali si lasciano le auto.
Se non fosse per quelli e la strada, sembrerebbe di essere veramente in un luogo incontaminato dove si vedono solo campi, boschi e montagne rocciose.
La faglia ha s
davpinto e spinge verso il continente ed ha delineato un bel paesaggio mosso.
Giunti all’ingresso del bosco la sensazione yang che ci accompagnava fino a quel momento è mutata sensibilmente.
Da un percorso aperto e soleggiato siamo passati ad un corridoio lungo, fresco, coperto e con pareti e soffitto verde quercia. E’ la quercia l’albero più diffuso in questo bosco. Un albero che anticamente era ritenuto sacro in quanto alto e spesso colpito
dai fulmini durante i temporali. Fulmini che ionizzavano l’aria circostante modificando la sensazione e “sacralizzando” l’area. Albero dunque capace di mettere in comunicazione le forze terrestri con quelle celesti fungendo da tramite.
Una sorta di armonizzatore fra lo yang e lo yin.
Ottimo bosco quindi per accogliere riti magici e non. I profumi del bosco ci hanno accompagnati; muschio, erbe, terra.
Il percorso per arrivare ai piedi della grotta è stato a tratti più faticoso del dovuto. In alcuni punti ho avvertito la spinta della terra che ci “ributtava indietro” ed
davè sempre piacevole avvertire questa comunicazione fra noi e l’ambiente; fa’ sentire parte di tutto il sistema Terra.
Il bosco è stato anche scenario di momenti di dendroterapia: diversi di noi si sono cimentati nell’abbraccio dell’albero di turno.
Dopo un po’ al bosco ci si abitua e quando lo si lascia per ritornare nella natura aperta, quasi dispiace lasciarlo, ma noi lo abbiamo ringraziato per averci accolti e accompagnati fin su in cima, e ritorno.

Bella esperienza. Peccato che dalle mie parti non ci sono boschi…

Maria Magdalena è approdata a Marsiglia, ci racconta la versione ufficiale, ma quali sono state le sue influenze al di fuori della Provenza?
Ci sono anche in Italia Chiese o Cappelle dedicate a questa Santa? E che caratteristiche hanno i luoghi scelti per la loro costruzione?
Ce lo racconta Mariangela.

Alcune chiese dedicate a Maria di Magdala: un confronto tra la tipologia energetica dei siti
di Mariangela Migliardi

Dopo aver visitato i luoghi della Maddalena – la basilica di Ste Maximin la Ste Baume e la grotta del Massiccio della Ste Baume – e dopo aver condiviso le esperienze percettive con il gruppo, cercando risposte chiarificatrici sulla figura della Maddalena, è emersa l’idea di fare un confronto con altri siti ad essa dedicati, esaminati in Italia all’inizio del nuovo millennio.
I siti a cui si fa riferimento sono ubicati nell’astigiano, terra ricchissima di chiese romaniche e/o di origine romanica, databili tra il X e il XII secolo d.C.
Ciò che emerge nei luoghi dedicati alla Maddalena è la particolare radianza del sito, dovuta a caratteristiche geologiche e/o geofisiche ben definite, e la presenza di scorrimenti idrici non in compressione. Il richiamo è all’energia femminile legata alla madre Terra, quindi alla fertilità, all’accoglienza, alla generazione ed anche alla rigenerazione interiore. Queste caratteristiche portano ad ipotizzare un utilizzo molto antico di questi luoghi, che si prestavano per riti legati sia alla fertilità sia alle feste di solstizio ed equinozio. Questo a conferma di come la figura della Maddalena sia stata sovrapposta a probabili culti precedenti legati alla madre Terra ed all’acqua.
Lo studio aveva avuto inizio nell’astigiano con la supervisione del prof. Roberto Chiari, geofisico e petrografo, che ha accompagnato la nascita dell’Associazione GEA e tanto ci ha trasmesso.
Uno dei siti a cui si fa riferimento è la Chiesa di S. M. Maddalena in Borgata Maddalena di Refrancore (Asti), comune situato a nord del Tanaro, il fiume che divide longitudinalmente l’astigiano. La chiesa è di origine romanica ma attualmente visibile solo da due lati poiché inglobata in una fattoria, e la dedicazione è sicuramente dovuta ai Padri Agostiniani di Asti a cui questi beni in origine spettavano.
L’edificio sacro sorge sulla sommità collinare della borgata, con un piccolo sagrato che si apre frontalmente. L’area è interessata da una struttura antiforme, a panettone, con strati di sabbia calcarenitiche che immergono lateralmente. Grazie a questa struttura, e nonostante la presenza di paleosuolo sulla sommità, il luogo risulta molto radiante in quanto è la struttura antiforme ad essere particolarmente sollecitata. Il sottosuolo è interessato anche dalla presenza di scorrimenti idrici. Ponendosi nell’ascolto di questo luogo, chiari e percepibili sono i legami con riti ancestrali legati alla madre Terra e all’acqua.
Altro sito a cui si fa riferimento è la Chiesa di S. M. Maddalena di Mombaruzzo (AT), situata nel ricetto, il borgo fortificato risalente alla fine del primo millennio. Di origine romanica è stata poi ampliata nel XIV secolo, con caratteri neorinascimentali. La dedicazione alla Maddalena si può far risalire ai monaci Benedettini, di cui è attestata la presenza intorno all’anno mille.
La caratteristiche geologiche del sito, la collocazione sulla sommità del rilievo, la presenza di sabbie plioceniche e di acquiferi liberi accomuna le caratteristiche dell’area a quelle di altri siti dedicati alla Maddalena, ove si avverte una particolare radianza ed il richiamo all’energia femminile e alla madre Terra.
Tutto questo a riprova di come la figura della Maddalena sia stata associata a luoghi che richiamano i culti legati alla madre Terra ed all’acqua, alle feste propiziatrici della fertilità, alle molte dee e figure mitologiche legate alle fonti ed alle grotte, di cui i culti precedenti abbondavano, soppiantati poi dai molti santi e sante che il cattolicesimo ha, spesso e molto chiaramente, sovrapposto per cancellarne la figura e il culto.
Al fine di approfondire questi aspetti riporto qui di seguito alcune note sulla FIGURA DELLA MADDALENA, denominata anche LA SANTA DELLA VITA e sui legami con le origini dei culti precristiani.
Note tratte da “Barmasc, matrici precristiane dei riti di immersione” – Alina Piazza – Quaderni di cultura alpina, Priuli e Verlucca editori:
Il nome Maddalena rievoca un misto di immagini: negativa – la prostituta – e positiva – la convertita.
Sono tre le figure nel Vangelo che, rimaste distinte nella liturgia orientale, vengono confuse in una sola a partire dal secolo VI d. Cr., con Gregorio di Tours:
Una peccatrice anonima, che durante un banchetto in Galilea unge i piedi di Gesù, li asciuga con i capelli e ottiene il perdono;
Maria di Betania, sorella di Lazzaro e Marta, che ascoltava estatica le parole di Gesù invece di aiutare quest’ultima nei lavori manuali; durante una cena a Betania sparge un prezioso profumo sul capo del Signore.
Maria Maddalena, una ossessa liberata dai demoni, che segue Gesù in Galilea, assiste alla morte, trova il sepolcro vuoto e per prima vede Gesù risorto.
Alla base dei racconti sulla Maddalena e della rappresentazione raffigurata vestita dei suoi soli lunghi capelli è Maria Egiziaca, prostituta poi convertitasi e vissuta eremita e penitente nel deserto per trenta anni. Il suo culto venne portato in Provenza dai monaci d’oriente insieme al Cristianesimo. In occidente nessun luogo di culto ad essa dedicato è anteriore al decimo secolo.
Una santa dunque in parte “costruita”, fin dal VI sec. quando ancora era forte la necessità di coprire e far dimenticare i culti precedenti, e poi dal X-XI sec portata a grande notorietà dai canonici Agostiniani e soprattutto dai Cluniacensi, strettamente legata inoltre alle predicazioni delle Crociate del XII sec. Furono anche i Benedettini in particolare a diffonderne il culto.
In occidente viene rappresentata come una bellissima peccatrice, e al contempo penitente, anche se in apparenza non appare molto contrita. Con la Controriforma, senza perdere le sue caratteristiche di sensualità, viene rappresentata con il teschio e la croce.
La Maddalena è una figura estremamente ibrida: una santa che mostra tutta la forza della fede, insieme ad uno strascico di culti precristiani, culti della fertilità legati alle acque.
Le tracce portano in Provenza, lungo il Rodano, sulle coste del Mediterraneo, dove già vi erano stati i culti delle Dee Madri immerse nelle acque. La città di Marsiglia è stata l’anello di congiunzione tra l’Oriente e la terra francese, città dalle origine greche attraverso la quale i culti pagani, in particolare quello di Artemide, sono venuti in contatto con i culti celtici delle acque.
In Maria Egiziaca traspaiono i simboli delle dee Madri del Mediterraneo. Era forse una prostituta di Alessandria, una prostituta sacra del tempio di Venere che, ancora in età imperiale, si prostituiva ai marinai? Dei quali Venere era protettrice. Il leone, che aiuta a scavare la fossa per seppellirla, era il simbolo di Cibele.
Il 22 luglio, giorno dedicato a S. M. Maddalena, cade nel periodo in cui sorge la stella Sirio, in Egitto identificata con Iside e segnalava l’inizio della piena del Nilo. E’ il periodo più caldo, chiamato “canicola” e Sirio appartiene alla costellazione del Cane. La Maddalena ha il compito di proteggere le campagne in questo periodo di aridità e temporali.
In Carinzia (Austria) la Maddalena venne scelta per cristianizzare il culto di una dea della fertilità che aveva le stesse caratteristiche di Morrigan, la Dea Madre Terra Celtica Irlandese.
In età romana le antecedenti dirette sono le Matronae, divinità delle sorgenti; il culto era attestato anche negli stessi luoghi della Francia. Esse erano la fusione delle Ninfe greco-romane con divinità celtiche simili, sempre in numero di tre, ma indicanti una dea dal triplice aspetto. Non se ne conosce il nome, ma era la grande divinità femminile.
In Irlanda era la dea Brigit, cristianizzata in Santa Brigitta, culto diffuso dai monaci irlandesi. Era anche una dea delle fonti e delle acque termali, quindi una Minerva Medica. Era una dea della fertilità, quindi riti per favorire la fecondità umana.
Nella tradizione epica celtica era anche la triplice Macha, dalla chioma rossa, come quella della Maddalena, che rivela così la sua discendenza celtica.
Da ricordare anche Morrigan, che è la fata Morgana del ciclo Bretone, e Viviana, che ammalia Merlino.
Come i monaci irlandesi sovrapposero alla grande divinità celtica Santa Brigida, i monaci Benedettini plasmarono la figura morale e l’iconografia della grande Santa, che sola poteva sradicare la carismatica dea celtica della fertilità e delle sorgenti.
Vi è anche un’altra rappresentazione. Maria Maddalena venne definita “apostola tra gli apostoli”, colei che vide per prima il Signore dopo la sua Resurrezione. Già i primi Padri della Chiesa espressero l’idea che essa, con l’annuncio della Resurrezione, compensi l’antica colpa di Eva. La donna è stata la prima testimone della Resurrezione per riparare il danno provocato dalla disobbedienza di Eva. Eva era stata sorgente di male per Adamo, Maria Maddalena diventa principio di fede per gli uomini.
In una società che stava mutando la Maddalena ha rappresentato la sublimazione delle forze rappresentate dalla dea pagana, e dell’idea del male insito nella donna secondo la visione della chiesa. Maria Maddalena ha operato quindi un ribaltamento della figura della donna. In lei si congiungono il ricordo dei riti pagani della fertilità, evocati dalla prostituzione, e la nuova dignità, raggiunta con il Cristianesimo, di gioiosa rivelatrice della Vita Eterna. Il suo messaggio è di gioia e di vita, una vita non più strettamente fisica ma soprattutto spirituale.
Molto ci sarebbe da indagare sulla figura della Maddalena, nel suo rapporto con la spiritualità, con le sante cristiane e le dee della fertilità, molto anche sul luogo della sua reale sepoltura e sull’origine del suo culto. Molto si è scritto e molto resta ancora celato, ben custodito forse da chi realmente conosce. La Maddalena resta una figura fortemente evocatrice di molteplici e profondi significati, che sa parlare e dare risposte ai diversi livelli a cui è giunto l’uomo nel suo percorso evolutivo sul pianeta Terra.dav

A pomeriggio inoltrato ci rimettiamo in viaggio: ci aspetta una cena sul mare, al porto di Tolone. Lasciamo così la montagna e le sue temperature frizzanti per cambiare completamente clima. Sembra di esserci spostati di centinaia di km invece abbiamo percorso solo un’ora di strada.
Domani saremo a Porquerolles, la perla delle isole d’Oro: spiagge di sabbia fine, mare cristallino, sentieri ombrosi! Porquerolles, area protetta del Parco Nazionale di Port-Cros, conserva il fascino della Costa Azzurra autentica. Qui l’unico mezzo di circolazione è la bicicletta… non possiamo farci mancare questa esperienza!

davIl dono della geologia di Porquerolles: relax sull’isola
di Cristina Rovano

L’isola di Porquerolles è il proseguimento del massiccio delle Maures ed è costituita da un basamento di rocce metamorfiche ricoperte di sedimenti di origine alluvionale e glaciale del periodo Quaternario. La conformazione geologica e litologica di questa parte di Provenza è completamente differente da quella in cui abbiamo fatto esperienza nei due giorni precedenti: à Saint-Baume eravamo nella cosiddetta Provenza carsica, qui siamo nella Provenza cristallina. L’isola27 ok, con la sua forma a cornetto (croissant, direbbero i francesi), è un ampio sinclinale generato da spinte compressive e transpressive. Sono presenti, faglie e fratture provocate dalle suddette spinte e i corsi d’acqua sono racchiusi da falesie, in particolare sui lati meridionale ed orientale. Ho percepito una netta differenza tra la parte orientale ed occidentale dell’isola, come fosse divisa in due da una linea invisibile oltrepassata la quale tutto cambia. Probabilmente è la traduzione fisiologica delle sensazioni provocate da una faglia che separa trasversalmente l’isola in due zone geologicamente distinte.
Paola ci suggerisce di trascorrere la giornata nella spiaggia chiamata “Notre-Dame” a nord-est, nella parte dell’isola più distensiva. Qui è stato possibile rilassarci, godere della natura e dello splendido mare, chiacchierare amabilmente, ridere, scherzare, per qualcuno è sdavtato possibile sonnecchiare e per qualcun altro concedersi l’ultimo bagno della stagione.
Difficile lasciare questo magnifico luogo, ma come ogni bella cosa, anche il nostro viaggio sociale sta giungendo al termine. C’è ancora tempo per fare due passi nel borgo antico, tra ristorantini e negozietti di souvenir e per bere qualcosa di fresco all’ombra di un dehors, in attesa del traghetto, mentre capelli e indumenti umidi dopo il bagno in mare si asciugano al sole di settembre.

Il rientro sarà lungo per tutti, soprattutto considerando che alcuni, una volta arrivati a Milano, avranno ancora qualche ora di viaggio in treno o in auto prima di raggiungere le proprie abitazioni, ma nessuno si lamenta di questo: negli occhi dei miei compagni vedo solo contentezza e soddisfazione per l’avventura vissuta insieme in cui c’è stato spazio per momenti culturali, momenti percettivi e momenti di svago, relax e socializzazione.
Forse all’inizio l’idea di questo viaggio è parsa un po’ pazza, ma il viaggio è la metafora della vita, una splendida avventura che si può scegliere di vivere in diversi modi e con diversi approcci. E credo che uno dei modi migliori per trascorrere il proprio tempo su questa Terra sia quello di condividerlo con gli altri, scegliendo ottimi compagni di viaggio.

Cosa sono i fenomeni di percezione extrasensoriale (ESP) e perchè non c’entrano con la Geobiologia

PERCEZIONE EXTRASENSORIALE –

di Alessandra Laurenza – da Vertici-newsletter n. 35 del 9.09.2005 —

“Sesto senso”, “seconda vista”, “terzo occhio”, “super senso”, “poteri intellettuali”, sono tutti termini riconducibili all’ESP, sigla entrata nell’uso comune a partire dal 1930 e ormai universalmente accettata che sta per “Percezione Extra Sensoriale” (dall’inglese Extra Sensory Perception, definizione proposta da Joseph Banks Rhine). Con essa si indicano alcune possibilità inconsuete di interazione tra l’uomo e l’ambiente esterno e quindi la possibilità di acquisire informazioni e conoscenze al di là delle usuali vie sensoriali umane: vista, udito, tatto, gusto e olfatto.
Per una conoscenza che rimandi a vie extrasensoriali è necessario: escludere con certezza l’azione dei sensi;
escludere con certezza qualsiasi mediazione logica e razionale;
escludere nel singolo episodio l’intervento del caso e della coincidenza fortuita.
Nella letteratura specializzata i Fenomeni ESP sono ulteriormente e spesso indicati anche come:
Paranormali, poiché non obbediscono alla “norma”, ossia alle note leggi dello spazio, tempo e casualità.
Fenomeni psi-cognitivi o Fenomeni Psi.
Questa terminologia è più accettata rispetto ad altre perché termini equivalenti come “parapsicologico”, “metapsichico”, “paranormale” sono costituiti da prefissi che richiamano quasi sempre associazioni con discipline, per così dire, più “evocative” quali la metafisica, la religione, il soprannaturale, il magico.
I fenomeni di percezione extrasensoriale (ESP) si distinguono in: Telepatia, Chiaroveggenza e Precognizione. Inoltre in alcuni manuali di parapsicologia si annovera anche la Retrocognizione che alcuni studiosi ritengono possa essere sempre ricondotta alla Telepatia o alla Chiaroveggenza.
La telepatia è definita come quel fenomeno psicognitivo per cui si ipotizza che un uomo acquisisca una conoscenza interagendo con la mente di un altro uomo per vie che non sono quelle mediate dai sensi conosciuti. In particolare, in base all’etimologia greca, la telepatia (da téle- lontano e pathos- sofferenza, sentimento) indica ciò che si prova, che si sperimenta, che si sente da lontano, quindi anche un’impressione, un sentimento, un turbamento a distanza.
La Chiaroveggenza è intesa come la percezione di stati di fatto non mentali. E’ la capacità di vedere con l’intelletto oggetti ed eventi che l’occhio non percepisce.
La Precognizione è, forse, il fenomeno più conturbante e allo stesso tempo affascinante fra tutti quelli studiati in parapsicologia. Si può definire come quel fenomeno psicognitivo per cui un individuo acquisisce una conoscenza di un avvenimento prima che questo si verifichi e che è logicamente e statisticamente imprevedibile.
La Retrocognizione viene definita come la percezione extrasensoriale di eventi accaduti nel passato. Un caso particolarissimo di retrocognizione è la “Psicometria” (detta anche Psicoscopia). Il fenomeno consiste nel fatto che il soggetto detto “paragnosta” (o più comunemente “sensitivo”) viene messo a contatto con un oggetto, di cui racconta la “storia”. Secondo alcuni studiosi, dato che è difficile incontrare un fenomeno puro, per esempio, di sola telepatia o chiaroveggenza, è probabile che questi fenomeni costituiscano un’unica facoltà che si esplica in modo diverso; per cui oggi si tende a parlare di GESP (General Extrasensorial Perception). A questa ipotesi unificatrice hanno aderito in passato studiosi molto accreditati come F.Myers, C, Richet, E. Osty, R. Sudre, W. Mackenzie, H.Bergson, C.G.Jung ed altri.
I fenomeni di percezione extrasensoriale si suddividono in spontanei (o accidentali) e sperimentali. I primi sono oggetto dell’esperienza diretta di un individuo e possono verificarsi in qualsiasi momento, senza l’intervento volontario del soggetto. I secondi, invece, sono quelli che si cerca di replicare in laboratorio e quindi in condizioni ben controllate dallo sperimentatore. Per esempio molto utilizzate a questo scopo, fin dagli anni trenta, le celebri “carte Zener” o carte ESP costituite da cinque specifici simboli.
A questi semplici simboli delle carte ESP spesso sono stati alternati svariati simboli maggiormente ricchi di contenuto “emotivo”, nell’ipotesi che ciò potesse facilitare l’estrinsecazione in ambito sperimentale dei fenomeni PSI.
Oggi invece viene più utilizzata la tecnica così detta “ganzfeld” di cui si parlerà oltre.

I fenomeni ESP sono studiati da una specifica disciplina, la “Parapsicologia” detta anche “Psychical Research (Ricerca Psichica) nei Paesi di lingua inglese e “Metapsichica” nei Paesi di lingua latina. In realtà, dopo il congresso di Ultrech (1953) il termine Parapsiclogia ha praticamente sostituito quello di Metapsichica.
Storicamente lo studio dei fenomeni PSI è riconducibile a J.B. Rhine che nel 1884, servendosi di semplici mezzi, come le normali carte da gioco, inaugurò i primi studi quantitativi sulla telepatia i quali comprendevano una convalida dei risultati attraverso l’elaborazione del calcolo delle probabilità. Ma la metodica applicazione della statistica alle ricerche parapsicologiche avrà i suoi successi scientifici solo grazie all’influenza di William Mc Dougall. Questo psicologo riteneva che la parapsicologia, al pari di altre scienze, doveva avere un suo legittimo e riconosciuto posto all’interno degli ambienti accademici.
Nel 1927 Rhine e Mc Dougall si incontreranno e insieme porteranno avanti alcuni studi. Nel 1935 crearono negli Stati Uniti il Laboratorio Parapsicologico della Duke University: qui un ristretto numero di ricercatori, guidato da Rhine, dette inizio a estese indagini sulla percezione extrasensoriale. I protocolli di ricerca prevedevano la messa a punto di sistemi che producessero sequenze casuali di una serie prefissata di bersagli che il soggetto doveva “indovinare” senza ricorrere alla percezione sensoriale o comunque ad influenze razionali.
Originariamente i bersagli erano costituiti da mazzi di carte numerate o siglate con le lettere dell’alfabeto. Successivamente Rhine chiese a Karl Zener, uno specialista di psicologia della percezione, di creare una nuova serie di carte che potevano essere facilmente distinguibili e memorizzabili. La soluzione fu il già citato mazzo di carte Zener o ESP costituito da cinque simboli (cerchio, stella, quadrato, onde, croce) che nelle intenzioni dell’ideatore dovevano essere anonimi e suscitare reazioni emotive nei soggetti sperimentali.
La significatività degli eventuali risultati anomali (o non casuali) delle prove potevano essere calcolati facendo riferimento all’attesa statistica. In questo modo si cercava di riprodurre le condizioni tipiche della ricerca psicologica di laboratorio di quell’epoca. Le ricerche originariamente partite dalla telepatia si estesero presto alla chiaroveggenza e dal 1933 anche alla precognizione, abbracciando una fenomenologia da Rhine definita appunto “Percezione Extrasensoriale” (ESP). Gli esperimenti di Rhine basati sull’uso delle carte e sulla valutazione statistica dei risultati non rappresentavano una novità. La vera originalità della sua opera è consistita nel fatto che egli non cercava di dimostrare la realtà delle manifestazioni paranormali, quanto piuttosto di escogitare metodologie di studio con le quali tali fenomeni potessero essere ripetuti da chiunque in qualsiasi laboratorio.
Dopo la stesura di numerosi libri, Rhine nel 1957 promuove la costituzione della Parapsychological Association, l’associazione di categoria dei parapsicologi di tutto il mondo. Al termine della sua lunga carriera Rhine dichiara di avere rafforzato alcune convinzioni in merito ai fenomeni ESP che possono essere così riassunte:
Fondamentalmente telepatia, chiaroveggenza e precognizione sono manifestazioni della stessa capacità (ESP). Tutti sono concepiti come una forma di interazione fra l’uomo e l’ambiente.
Alla base della fenomenologia PSI vi è un’energia extrafisica responsabile della percezione extrasensoriale, la quale potrebbe essere convertita in energia fisiologica del sistema nervoso centrale alfine di portare alla coscienza le capacità paranormali inconsce.
Il processo di percezione extrasensoriale, considerato come attività psicologica, è interamente inconscio. Inoltre è generalmente irregolare, altamente instabile e apparentemente spontaneo e involontario.
L’ESP è promossa quando il soggetto (così come lo sperimentatore) è fortemente motivato.
L’ESP ha il carattere della percezione sensoriale.
La percezione extrasensoriale è un fenomeno naturale e non fisico.
Sulla scia del successo della scuola di Rhine e dall’esperienza alla Duke sorsero diversi istituti di parapsicologia in seno ad organizzazioni universitarie in Europa e in America. Per quanto riguarda la situazione italiana, a Roma fu fondata nel maggio del 1937 la Società Italiana di Metapsichica (S.I.M.), per iniziativa di Ferdinando Cazzamalli (medico e docente universitario di Neuropsichiatria presso l’Università di Roma), Giovanni Schepis (docente universitario di Statistica presso l’Università di Roma), Emilio Servadio (professore onorario di Psicologia, presidente della Società Psicoanalitica Italiana) e Luigi Sanguineti (medico neuropsichiatra). La Società Italiana di Metapsichica fu la prima organizzazione italiana, riconosciuta ufficialmente dallo Stato, sorta col precipuo scopo di studiare scientificamente e sistematicamente i cosiddetti fenomeni paranormali.
Nel 1946 Cazzamalli si allontana dalla S.I.M. per divergenze ideologiche e metodologiche e crea a Milano l’Associazione Italiana Scientifica di Metapsichica (A.I.S.M.) con lo scopo di promuovere lo studio scientifico-sperimentale della fenomenologia parapsicologica, con i metodi e col rigore che assicurano il progresso di altre branche della scienza. A Bologna viene creato nel 1954 il Centro Studi Parapsicologici, il C.S.P. che, assieme all’A.I.S.M., rappresenta tuttora uno dei più importanti istituti italiani di ricerca scientifica nel settore della parapsicologia.
Tra i lavori portati avanti dalla S.I.M. si cita quello dello psicoanalista Emilio Servadio, che dal 1935 ha pubblicato una serie di articoli che fanno luce sulla psicodinamica delle manifestazioni psicognitive. I risultati principali cui Servadio è pervenuto possono essere sintetizzati nei seguenti punti:
il substrato dell’ESP è rappresentato da relazioni interpersonali emotivamente significative;
questi rapporti si possono far risalire all’infanzia, il che spiega il maggior manifestarsi dell’ESP fra consanguinei (in particolare madre-figlio);
l’ESP costituirebbe una sorta di comunicazione arcaica e primitiva;
il movente inconscio dell’ESP è spesso l’angoscia di separazione, vissuta come perdita dell’oggetto;
condizioni affinché il fenomeno paranormale accada è il verificarsi da parte della “coppia” di una comune tendenza regressiva, che tende a ridurre la loro individuazione-separazione;
il fenomeno telepatico è strutturalmente inconscio.
Un altro italiano che si è occupato della percezione extrasensoriale, in un ambito nettamente diverso, quello etnologico, è Ernesto De Martino. Egli, uno storico delle religioni, studia la percezione extrasensoriale per verificare l’effettiva presenza e la funzione delle capacità paranormali in ambito etnologico. Nel saggio “Percezione extrasensoriale e magismo etnologico” del 1942, l’autore conduce una ricerca in tal senso.
Egli riporta “un certo numero di documenti etnologici sufficiente per ingenerare la convinzione che, presso popoli di natura alla credenza nei poteri metagnomici accompagna un reale esercizio di questi poteri”. Cito solo alcuni dei numerosi esempi riportati dall’autore:
(Documento 1): -“V.V.K.Arseniev mi riferì un caso da lui personalmente osservato: uno sciamano invitò due altri sciamani da luoghi lontani in una particolare circostanza (malattia improvvisa di un giovane), ed essi arrivarono entro un lasso di tempo tale da escludere materialmente la possibilità che fossero stati avvertiti da un messaggero”.
Un altro lavoro che fornisce interessanti documenti di percezione extrasensoriale fra i popoli di “natura” è quello del Trilles sui Pigmei dell’Africa Equatoriale:
(Documento 6): “- Conversavo un giorno con uno stregone negrillo. I miei uomini con le piroghe dovevano raggiungermi e portarmi le provviste. Incidentalmente ne parlo al mio uomo domandandomi: “Saranno ancora molto lontani, mi porteranno ciò che ho chiesto loro?”. “Ma dirtelo è cosa facilissima”. Prende il suo specchio magico, si concentra, pronunzia qualche incantesimo. Poi: “In questo momento gli uomini stanno doppiando il punto tale del fiume (era lontano più di un giorno di piroga), il più grande sta per tirare un colpo di fucile su un grosso uccello, lo ha abbattuto, gli uomini remano energicamente per raggiungerlo, esso è caduto nell’acqua. Lo hanno preso. Essi ti portano ciò che hai chiesto”. Infatti tutto era vero, provviste, colpo di fucile, uccello abbattuto: ed era, lo ripetiamo, a un giorno di distanza dal luogo.”.
Un altro episodio riferito da K. Rasmussen:
(Documento 13): “Ci sedemmo poi tutti sulla scranna in attesa del pasto che si stava cuocendo. Si era nel cuore dell’inverno, I giorni erano brevi e le sere lunghe. Una lucerna ad olio di balena era usata per la cottura, la marmitta era sospesa alla lucerna, tenuta per una correggia, che a sua volta era fissata con un rampone alla parete. Improvvisamente la marmitta ebbe un sobbalzo, e oscillò qua e là come se qualcuno l’avesse spinta. Il calore aveva liquefatto la neve nel luogo dove il rampone era fissato, il rampone era scivolato giù scuotendo la correggia, e facendo saltare i pezzi di cibo nel loro brodo. Padloq, sempre sotto l’influenza della sua trance, saltò dal posto dove sedeva e dichiarò che dovevamo subito cambiare il luogo dove eravamo accampati e salire sul vecchio e compatto ghiaccio invernale: poiché la nostra capanna era costruita fra alcune linee di pressione che formavano una screpolatura fra il ghiaccio antico e il mare aperto….A dispetto delle proteste di Padloq restammo dove eravamo, e quando avemmo mangiato a sazietà ci infilammo nei nostri sacchi da notte. Fu solo la mattina seguente che potemmo constatare quanto Padloq avesse visto giusto, quando, cioè trovammo con nostro spavento una fenditura lungo il suolo. Era solo una fenditura limitata, e tuttavia larga abbastanza perché l’acqua marina vi passasse attraverso gorgogliando. Il tetto della capanna era completamente sconvolto sopra l’ingresso, e togliendo un blocco di neve vedemmo le acque scure del mare aperto davanti a noi. Il ghiaccio recente, sul quale la capanna di neve era stata costruita, si era rotto, ma invece di essere trasportato verso il mare, era rimasto stretto all’ultimo momento fra gli alti vertici di pressione mantenuti da una piccola isola. Dopo di questo fui costretto a promettere a Padloq che per il futuro avrei avuto più rispetto delle sue predizioni di sciamano.”
Secondo De Martino, tali documenti confermano l’esistenza in ambito etnologico di un’effettiva percezione extrasensoriale, constatazione che, secondo l’autore, comporta inevitabilmente un’interpretazione più ampia dell’intera gamma dei cosiddetti “fenomeni estatici”: Infatti i fenomeni di percezione extrasensoriali, secondo De Martino, presentano un carattere sui generis: “essi non si lasciano riprodurre sempre e in qualsiasi ambiente (si ricordi, per esempio, l’insuccesso di numerose esperienze paranormali sia fra gli stregoni primitivi che presso i medium moderni). In considerazione di ciò, questi fenomeni non possono essere considerati appartenenti alla natura allo stesso titolo degli altri fenomeni; essi appartengono piuttosto a una natura “culturalmente condizionata” cioè a una natura valorizzata dall’esperienza umana in un certo momento storico, cioè, in ultima istanza, a una natura che esiste come tale soltanto per i primitivi e che si integra nella prospettiva magica che è loro propria”.
Soltanto quindi in uno stato estatico, in trance o in estasi, il soggetto può estrinsecare le proprie capacità paranormali. L’indebolimento della sintesi psicologica appare dunque, secondo De Martino, come condizione fondamentale per la manifestazione delle attitudini “metagnomiche”e pertanto ben si comprende perché la coscienza onirica è particolarmente propizia a fenomeni del genere.
Proprio negli anni successivi, siamo intorno agli anni cinquanta e sessanta, nasce un’originale filone di ricerca, quello relativo all’indagine parapsicologica sui sogni. Viene affermata l’esistenza di un particolarissimo tipo di esperienze psicologiche che si verificano durante lo stato di sonno che implicano una conoscenza per via extrasensoriale di pensieri o avvenimenti esterni al sognatore. La percezione extrasensoriale, come il sogno, è un processo intrinseco alla natura umana: rivela la conoscenza inconscia che l’uomo ha di se stesso e del suo rapporto col mondo.
Come anche evidenziato da Louisa Rhine, lo “stato mentale” nel quale più frequentemente si manifestano facoltà di tipo paranormale o extrasensoriale è il sogno. Sono moltissimi i resoconti di questo genere di fenomeni onirici raccolti negli archivi degli istituti di parapsicologia e psicologia di tutto il mondo. Si tratta di esperienze che dimostrerebbero la possibilità che i sogni rivelino eventi che si svolgono a distanza e che non si sarebbero potuti immaginare basandosi sulla logica o sul buon senso. Si distinguono tre tipi di sogni paranormali, ognuno di essi legato a ciascuna modalità di percezione extrasensoriale: telepatia, chiaroveggenza e precognizione.
Nei sogni telepatici il sognatore percepisce per via extrasensoriale idee che in quel momento sono pensate da un’altra persona. Nei sogni chiaroveggenti succede d’assistere a scene che stanno avvenendo in luoghi lontani. I sogni precognitivi, o premonitori, annunciano eventi che devono ancora accadere. Da un punto di vista generale le caratteristiche formali e psicologiche dei sogni paranormali sono:
le persone riconoscono questi sogni differenti da quelli ordinari in ragione di una loro peculiare vividezza, impressione ed intensità;
il sognatore sente che essi hanno un significato importante e si sente spinto a raccontarlo;
sono vissuti onirici che vengono facilmente rievocati al risveglio;
frequentemente segnalano episodi inattesi o tragici;
non presentano quella bizzarria e quella dinamicità da una scena all’altra tipica dei sogni comuni.
Secondo alcuni studiosi, si potrebbe supporre che questo sia il mezzo originario, arcaico, di comunicazione fra gli individui, e che, nel corso dell’evoluzione filogenetica, esso sia stato soppiantato dal metodo migliore di comunicazione, che si avvale dei segni che gli organi di senso sono in grado di captare, ma il metodo arcaico potrebbe rimanere, in fondo, conservato, e farsi ancora valere in date condizioni. Questa tipologia di sogni rivelerebbero le vestigia di questa modalità originaria di comunicazione fra gli uomini, superando la barriera delle separate individualità.
I sogni hanno ispirato anche importanti progressi scientifici. Il più celebre fra tutti è la scoperta della struttura molecolare del benzene da parte di Kekule, che in uno stato di dormiveglia vide gruppi di atomi di grandezze diverse contorcersi come serpenti. Da questo sogno-intuizione ne risultò appunto la sua scoperta scientifica.
Anche molti Nobel lo ammettono: molte scoperte nascono da intuizioni giunte nel sonno, nel dormiveglia, o sovrappensiero, mentre si compiono azioni ripetitive. Su 83 premi Nobel della scienza e della medicina, 72 citano l’intuizione fra i fattori determinanti del loro successo. E a essi si accodano fisici e astronomi. Intuire significa rinunciare al controllo della mente razionale e fidarsi delle visioni dell’inconscio, che non possono essere quantificate o giustificate razionalmente, poiché si fondano sull’abilità di organizzare l’informazione in idee nuove e imprevedibili.
“Con la logica dimostriamo ciò che con l’intuizione abbiamo scoperto” così disse il grande matematico francese Jules Henri Poincaré, vissuto fra l’800 e il ‘900. Poincaré parla infatti di una fase di “incubazione”, in cui il ricercatore “dimentica” i dati del problema, mentre il suo cervello continua a rimuginarli, formando miriadi di combinazioni. Poi, quando meno la si aspetta, dall’inconscio arriva l’illuminazione”. Ma la fase di “macerazione” può durare anni. Ce ne vollero 30 a Andrew Wiles, matematico di Princeton, per trovare la strada giusta per dimostrare il teorema seicentesco di Fermat.
Ma dell’intuizione si parlerà oltre. Continuando, i sogni possono annunciare in anticipo, in maniera più o meno simbolica, l’insorgenza o lo sviluppo delle malattie, o di altri processi fisiologici. Molti studiosi ritengono che questi sogni, però, non rappresentano presagi di malattie future, ma segnalano disturbi già esistenti, ma non avvertiti dalla coscienza. Già Ippocrate, Aristotele e Galeno credevano a questi sogni prodromici e li spiegavano dicendo che il sogno è come se amplificasse le sensazioni.
Se pensiamo agli studi sul sonno che ci derivano dalla medicina taoista, o da quella ayurveda, scopriamo che il loro grande segreto era come far parlare coscientemente l’organo. Molto spesso si scopre con stupore una netta corrispondenza tra il vissuto del corpo e l’analogo psichico, nel sogno. Come è noto fu S. Freud il primo studioso a strutturare un approccio scientifico del sogno; egli si era occupato anche di quelli che sono stati definiti “sogni insoliti” o “sogni paranormali”. Nonostante la sua ferrea impostazione positivistica, Freud aveva affermato che: “….è un fatto incontestabile che il sonno crei condizioni favorevoli alla telepatia” (1953).
Tra l’altro, nel Compendio di Psicoanalisi, forte della seconda topica e della definizione del concetto di es, Freud afferma: “La memoria del sogno è molto più vasta della memoria dello stato vigile. Il sogno porta ricordi dimenticati da colui che sogna, ricordi che nello stato di veglia gli erano inaccessibili”. “Il sogno fa un uso illimitato di simboli linguistici il cui significato è per lo più sconosciuto a colui che sogna. Noi però possiamo confermare il loro significato con la nostra esperienza”.
E infine:“ …il sogno porta in primo piano contenuti che non possono derivare né dalla vita matura né dall’infanzia dimenticata di colui che sogna. Siamo costretti a considerarli come una parte dell’eredità arcaica che il bambino, influenzato dall’esperienza degli avi, porta con sé al mondo prima di ogni esperienza”.
Come si vede c’è un’apertura sconfinata alle potenzialità del sogno che richiama le note di Pierre Codoni: “…lo studio del sogno ci collega direttamente con l’infinito dell’inconscio e l’infinito del vuoto. Ci fa cogliere il processo primario, l’energia libera che si sposta e si condensa senza limiti, l’assenza di spazio, di tempo e di logica, la coesistenza dei contrari, la complessità dell’istantaneità. Ciò significa, dunque che il sogno stesso è infinito, che il suo studio è infinito, come quello dell’inconscio, come quello dell’universo”.
In letteratura sono presenti molti resoconti di “sogni insoliti”, specialmente di clinici di estrazione psicoanalitica come Devereux, Ulman, Eisembud. La base su cui sembrano poggiare tali sogni “insoliti” è costituita dalla forte emotività elicitata nella relazione terapeutica, e se si aggiunge che in psicoanalisi il sogno è lo strumento di indagine per eccellenza, non desta meraviglia che tali resoconti siano quasi esclusivamente di estrazione psicoanalitica. Una delle caratteristiche più ricorrenti dei sogni esposti in questi resoconti è che spesso sembrano essere incentrati sulla figura del terapeuta.
I sogni paranormali, da secoli sospesi fra magia e tradizioni popolari, solamente grazie ai progressi nella comprensione della fisiologia del sonno e con il relativo sviluppo di tecnologie appropriate, troveranno a partire dagli anni ‘60 una loro credibilità scientifica. In questo periodo iniziano gli studi sul sogno nel laboratorio del sonno del Maimonides Hospital Medical Center di New York, da un’équipe di psicologi, Montague Ullman, Stanley Krippner, Alan Vaughan e Charles Honorton.
Si Riporta qui di seguito lo schema sperimentale di base tipico di tale progetto:
” …al percipiente venivano applicati degli elettrodi EEG in modo che il suo sonno potesse venire controllato mentre egli si trovava a letto in una camera insonorizzata. Dopo che il percipiente era andato a letto, una busta contenente il bersaglio, una riproduzione di un quadro, venne scelta in base ad una tavola di numeri casuali e data all’agente. Tale busta non veniva aperta finché l’agente non era rinchiuso nella sua camera per tutta la notte. La stanza dell’agente nei primi studi si trovava a 10 metri di distanza dal laboratorio, in seguito a 30 metri e più tardi ancora a 14 miglia di distanza. Una terza persona, il controllore, osservava i tracciati EEG per tutta la notte cosicché potevano venire messi in evidenza i periodi REM del percipiente. Appena aveva inizio un periodo REM, il controllore faceva un segnale all’agente per assicurarsi che fosse sveglio e per invitarlo a rinnovare le sue procedure di ‘trasmissione’. Dopo 10-20 minuti di attività REM, il controllore destava il percipiente mediante un interfono e gli chiedeva di descrivere i suoi sogni con i maggiori particolari possibili. Al termine del resoconto onirico, che veniva registrato il controllore segnalava all’agente che poteva andare a dormire se lo desiderava. La medesima immagine-bersaglio veniva impiegata per tutta la notte. Il controllore continuava a svegliare il percipiente a ogni periodo-REM per ottenere i rapporti onirici, e l’agente continuava a concentrarsi sul disegno-bersaglio durante ogni fase-REM dopo il segnale del controllore. La mattina seguente, al percipiente venivano mostrate in genere 8-12 riproduzioni di quadri, una delle quali era la copia del bersaglio che l’agente aveva tentato di trasmettere. Il percipiente classificava le riproduzioni, assegnando inoltre a ciascuna un voto di sicurezza da 1 a 100 a seconda del grado di somiglianza con le emozioni e il contenuto dei suoi sogni. I dattiloscritti completi dei resoconti dei sogni venivano inviati a tre giudici esterni insieme al gruppo delle riproduzioni di quadri, perchè anch’essi le classificassero e le valutassero. Se le riproduzioni erano otto, veniva considerato un ‘successo’ se il disegno-bersaglio veniva assegnato fra i primi quattro disegni in ordine di somiglianza al sogno; veniva invece computato come ‘errore’ se il bersaglio veniva inserito negli ultimi quattro disegni nella scala di somiglianza. Il numero di ‘successi’ e di ‘errori’ veniva valutato statisticamente mediante la formula binomiale. I voti di sicurezza, varianti da 1 a 100 per riproduzione, venivano valutati mediante una tecnica di analisi della varianza (ANOVA).” (Van De Castle,1979, p.551-2).
Nel 1988 Alan Vaughan, uno dei collaboratori del progetto di ricerca, e Jessica Utts, una nota esperta di statistica dell’Università della California, elaborarono una stima globale dei risultati dell’intera sperimentazione del Maimonides: su un totale di 379 tentativi 233 ebbero risultati positivi, con una percentuale di successi dell’83,5% contro un’attesa casuale del 50%; le probabilità di successo fortuito erano poco più di 250.000 contro 1.
La ricerca stabilì scientificamente ed inequivocabilmente l’evidenza di fenomenologie paranormali nei sogni. Negli anni successivi uno degli sperimentatori del Maimonides, Charles Honorton, proseguendo le sue indagini su come gli stati modificati di coscienza possono promuovere l’ESP, utilizzando la tecnica del ganzfeld ha fornito nuovi risultati che hanno ulteriormente dato consistenza scientifica alla parapsicologia. Il ganzfeld, che letteralmente significa “campo uniforme”, è una condizione sperimentale di deprivazione sensoriale. All’inizio era una tecnica molto utilizzata nell’ambito della psicologia della percezione e in oftalmologia, nel corso del tempo è divenuto un prezioso strumento in parapsicologia sperimentale per lo studio dell’ESP.
Il termine tedesco Ganzfeld si può tradurre in italiano come campo totale. Si riferisce a un protocollo sperimentale in cui un soggetto viene sottoposto a deprivazione sensoriale per verificare le sue presunte capacità di percezione extrasensoriale. In un tipico esperimento ganzfeld, il soggetto ha cuffie sulle orecchie e palline da ping-pong sugli occhi. Dalle cuffie esce rumore bianco, inoltre una luce rossa intensa è posta davanti al viso e filtra attraverso le palline da ping-pong. In questo modo si realizza un buon isolamento dalle distrazioni dell’ambiente esterno. Gli sperimentatori ganzfeld ritengono che i due sensi principali (vista e udito) possano interferire con eventuali canali extrasensoriali di trasmissione delle informazioni. Dopo un certo tempo di stimolazione ganzfeld si tenta di trasmettere al soggetto una serie di immagini attraverso un canale extrasensoriale (per esempio per via telepatica). Mentre il trasmettitore si concentra sull’immagine bersaglio, il ricevente fornisce continuamente una descrizione verbale delle proprie immagini mentali.
Bem e Honorton così descrivono la procedura di valutazione: “Al termine del periodo ganzfeld, si presentano al soggetto ricevente vari stimoli visivi (di solito quattro) e, senza sapere quale stimolo era il bersaglio, gli si chiede di votarli ordinandoli da quello più vicino alle proprie immagini mentali durante il periodo ganzfeld a quello più lontano. Se il ricevente assegna il voto più alto allo stimolo bersaglio, il risultato è registrato come un successo. Pertanto, se l’esperimento utilizza quattro stimoli (il bersaglio e altri tre stimoli visivi), ci si attende un tasso di successo medio, dovuto al caso, del 25%”.
Nei primi esperimenti ganzfeld, invece, il tasso di successo è stato del 33-34 %. Ci si è quindi trovati di fronte a un’anomalia statistica che, secondo alcuni, prova l’esistenza di canali non “normali” di comunicazione delle informazioni. Nel 1994, Bem e Honorton hanno pubblicato sullo Psychological Bulletin una rassegna dei risultati ottenuti con il protocollo ganzfeld, dal titolo “Does Psi Exist? Replicable Evidence for an Anomalous Process of Information Transfer” (Esiste la percezione extrasensoriale? Una prova ripetibile di un processo anomalo di trasferimento dell’informazione). Tali conclusioni sono state in seguito empiricamente criticate da altri studiosi.
Per esempio, nel 1999, Milton e Wiseman hanno pubblicato un articolo che ricalcava, ribaltandolo, il titolo di Bem e Honorton: “Does psi exist? Lack of replication of an anomalous process of information transfer” (Esiste la percezione extrasensoriale? Non ripetibilità di un processo anomalo di trasferimento dell’informazione).
Nonostante le numerose critiche gli studi sulla percezione extrasensoriale continuarono. Verso gli anni settanta, soprattutto negli Stati Uniti, questo campo di ricerca diventò di notevole interesse tanto che, durante la guerra fredda, “sensitivi diplomati” venivano ingaggiati dai servizi segreti per scopi militari. In questo periodo ci fu una vera e propria ricerca a lungo termine sulla percezione extrasensoriale denominata “Star Gate”, un programma conosciuto nella storia della parapsicologia anche con il nome di “Fame”, “Sun Treak” o “Scanate”. Questa ricerca fu finalizzata dal governo americano in collaborazione con NASA, CIA e varie organizzazioni collegate con i servizi segreti.
All’apice della guerra fredda (1970), sotto la crescente minaccia della dominazione sovietica, ad attirare l’attenzione dell’intelligence americana su questo argomento fu il libro “Psichic Discoveries Behind The Iron Curtain” scritto da Sheila Ostrander e Lynn Schroeder. Gli autori documentavano un budget di 60-300 milioni di rubli annui spesi dai sovietici per reclutare medium, scienziati, individui dotati di capacità telepatiche e psicocinetiche arruolandoli con mansioni di controspionaggio psichico e di ricerca sulle applicazioni nella sicurezza nazionale.
Questo libro innescò la preoccupazione dei vertici militari americani tanto che nel 1972 la D.I.A. (Defense Intelligence Agency) creò un documento chiamato “Controlled Offensive Behavior- U.S.R.R.” (Comportamento offensivo Controllato). La D.I.A. temeva che i sovietici potessero guadagnare una posizione di vantaggio nello spionaggio internazionale usando personale “atipico” come le spie psichiche che avrebbero potuto individuare a distanza le intenzioni politiche dei leader americani o dei documenti top secret sulla locazione strategica di truppe e armamenti U.S.A., oppure inabilitare veicoli spaziali e satelliti.
A questo scopo nacque il programma “Star Gate” che fu affidato a due scienziati: Russel Targ, un fisico noto come studioso nel campo della parapsicologia e Harold Puthoff, ingegnere e specialista di fisica dei Laser. In venti anni di ricerca sono state prodotte prove che dimostrano l’uso della “telestesia” ( Visione a distanza o “remota”: facoltà paranormale che permette di percepire e descrivere eventi e/o soggetti lontani, preclusi alla percezione normale) per raggiungere obiettivi strategici militari. I Test venivano effettuati in laboratorio e si svolgevano nel seguente modo:
All’inizio esperti psichici di provenienza militare, in seguito civili “dotati” o anche dilettanti, seduti in stanze protette dagli effetti di campi esterni (Pozzo di Faraday) venivano intervistati sulle informazioni che riuscivano ad ottenere utilizzando la visione remota. In pratica veniva fornita loro una immagine fotografica scelta a caso, chiusa in una busta, oppure le coordinate geografiche di un sito di interesse militare. Al soggetto veniva chiesto di proiettare la mente in quel luogo e di descrivere la scena.
Alcuni studiosi come Padalski e Rosen si sono avvalsi del “Teorema di Bell” il quale dimostra che l’esperienza avvenuta (nel passato) dell’interazone tra due particelle crea tra le stesse una forma di “collegamento” diretto ed istantaneo che va al di là dello spazio e del tempo, di modo che ognuno di esse continua a condizionare il comportamento dell’altra. Questo teorema quindi si rifà alla cosiddetta fisica quantistica e proprio in essa troviamo il principio di “non località” che vige nell’Universo e attraverso cui i fenomeni avvengono come se ogni cosa fosse in diretto e continuo contatto con ogni altra.
Seguendo un protocollo informale Targ e Puthoff hanno prodotto dei risultati sorprendenti che hanno stupito la C.I.A., rimasta comunque in un atteggiamento critico. Per esempio nel 1974 Pat Price, un “sensitivo”, avendo ricevuto solo le coordinate geografiche di un sito lontano ha descritto in modo corretto una pista di atterraggio rappresentando l’area di collaudo nucleare sovietica, ultra segreta di Semiplotinsk nel Kazakhistan. Questa notizia fu anche confermata dalla rivista Aviation Week, tre anni dopo l’accaduto.
Anche Jimmy Carter è stato portavoce di uno di questi casi in cui un sensitivo è stato incaricato di trovare un bombardiere sovietico TU95 che si era schiantato in un punto imprecisato dell’Africa e grazie alla visione a distanza gli americani lo hanno trovato per primi. Oppure nel settembre 1979 la N.S.C. (Consiglio Nazionale per la Sicurezza) ha chiesto informazioni riguardo un sottomarino sovietico ancora in costruzione. I risultati descrivevano un sommergibile con 18/20 missili di lancio che doveva essere pronto in 100 giorni; dopo 120 giorni sono stati avvistati due nuovi mezzi marini rispettivamente con 2 e 24 missili.
A febbraio del 1969 viene chiesto di rintracciare il colonnello William Higgings, allora prigioniero in Libano. Il colonnello fu ritrovato e al suo rilascio ha confermato i dati ottenuti che lo segnalavano al sud del Libano. Si può menzionare anche l’esperimento svoltosi nel 1978 da Hella Hamid e Ingo Swan i quali sono riusciti a ricevere messaggi telepatici da Palo Alto, in California, sulla manovra da compiere a bordo di un sottomarino a 152 metri di profondità e a 800 chilometri di distanza dalla costa. Questo esperimento è stato condotto con la collaborazione di Stephan Schwartz, un ricercatore, nonché direttore del “Mobius Group” un gruppo di ricerca a cui ha collaborato anche un italiano, Umberto Di Grazia che, in virtù delle sue capacità ESP ha dato un grande contributo agli studi tutt’ora in corso.
Ancora oggi test simili vengono effettuati.
Il 27 Giugno 2004 il settimanale “Sunday Times” ha pubblicato un estratto di uno studio a sua volta edito sulla rivista scientifica britannica “British Journal of Psychology”, a cura di Stefan Schmidt che riguarda la percezione extrasensoriale. Gli esperimenti in merito sono stati effettuati da un gruppo di scienziati dell’università di Friburgo; lo studio, condotto da Stefan Schmidt, si è basato su due tipi di esperimenti normalmente utilizzati dai ricercatori del paranormale.
Il primo esperimento è consistito nell’”osservazione remota”: un volontario viene messo in una stanza isolata ed osserva un secondo volontario in un’altra stanza attraverso una telecamera a circuito chiuso. Una serie di elettrodi sono collegati al secondo volontario e registrano gli impulsi elettrici relativi alla sua attività nervosa. Dal confronto tra i dati ottenuti quando il soggetto viene osservato e quando invece nessun volontario lo stava guardando è possibile comprendere se l’«osservazione remota» sta avendo qualche effetto sul soggetto.
Nel secondo esperimento, denominato «interazione mentale diretta», il primo volontario nella stanza isolata si concentrava e cercava di comunicare al secondo volontario una sensazione di calma o di agitazione. Utilizzando una complessa tecnica statistica, Schmidt ha classificato i risultati ottenuti da oltre 1.000 sessioni sperimentali secondo parametri relativi all’affidabiità del risultato ed al grado di effetto “paranormale” registrato.
Nella conclusione della ricerca Schmidt scrive: “Anche se abbiamo notato che alcuni risultati erano comunque ambigui, abbiamo scoperto che in entrambi gli esperimenti vi è un piccolo, ma comunque significativo effetto paranormale”.
Attualmente, molti studiosi della percezione extrasensoriale ritengono che essa possa essere fatta coincidere semplicemente con l’intuizione.
L’intuizione (dal latino intueri di cui in -dentro e tueri -osservare viene definita come l’attitudine a conoscere l’ultima essenza delle cose senza dover ricorrere al ragionamento. E’ quindi una particolare forma di conoscenza per cui l’oggetto risulta immediatamente presente alla coscienza in quanto non dipende da alcun processo logico e razionale. Per la scienza l’intuito è l’esperienza, unita a conoscenza che non sappiamo di avere. Esplorando la mente più in profondità psicologi e neuroscienziati stanno portando alla luce prove di percezione e capacità inconsce più complesse: il nostro cervello cioè incamera informazioni a nostra insaputa che al momento opportuno fa emergere in nostro aiuto.
Gary Klein, uno psicologo dell’Ohio che si occupa di counseling per le risorse umane, ha condotto in questi anni studi su persone comuni che hanno agito sotto la spinta di un’inspiegabile ispirazione determinando spesso la salvezza di vite umane. Egli studia come vengono prese le decisioni nei casi di emergenza e ha scoperto che non ci si affida al ragionamento e al calcolo delle probabilità. Si tratterebbe piuttosto di un’ “intuizione” dettata dall’esperienza, frutto di dati che il cervello capta e tiene per così dire in riserva fino al momento in cui ci tornano utili. In pratica,secondo Klein, questo tipo di intuizione usa meccanismi cognitivi inconsci: facoltà di percezione, di apprendimento e di memorizzazione del cervello messe in opera a nostra insaputa. Alcuni ricercatori le chiamano “conoscenze implicite”: guidano la decisione e l’azione senza che il soggetto sia cosciente di possederle.
Quindi molti studiosi spiegano la percezione extrasensoriale partendo dal presupposto che la nostra mente sappia più cose di quelle di cui ci rendiamo conto. Ci sono alcuni esperimenti che dimostrano che il cervello capta informazioni a nostra insaputa. Per esempio neurobiologi come Roger Sperry e Michael Gazzaniga del Caltech hanno dimostrato ciò studiando epilettici ai quali avevano disconnesso il cervello sinistro (che presiede ai processi logico-analitici e al linguaggio) da quello destro (dove hanno sede intuito, emozioni e creatività). Se si pone per breve tempo davanti all’occhio sinistro di questi pazienti (collegato al cervello destro) un vocabolo come “cucchiaio” l’informazione non può passare al cervello sinistro perché i collegamenti sono interrotti; i pazienti quindi non sanno cosa hanno visto, né possono dirlo. Ma se si chiede loro di prendere con la sinistra (guidata dal cervello destro) l’oggetto di cui hanno letto il nome tra oggetti nascosti in un cassetto a loro invisibili, afferrano il cucchiaio pur senza sapersi spiegare il perché.
Altri studiosi sostengono che probabilmente l’intuizione ha a che fare con una zona specifica del cervello il corpo calloso, un fascio di fibre nervose che consente la comunicazione tra i due emisferi. Pare che l’intuito abbia origine proprio grazie ad una buona trasmissione di dati e quindi ad un ottimo collegamento tra i due emisferi. In altre parole, se la sede del linguaggio e del ragionamento in senso stretto è l’emisfero sinistro e quello destro è il luogo della nascita delle emozioni, l’intuizione per attivarsi ha bisogno di un processo neurale che coinvolge entrambi gli emisferi e probabilmente anche alcune zone marginali del nostro cervello. Le ricerche sul corpo calloso sono ancora in atto; attualmente si è accertato che la sua morfologia determina una fondamentale differenza tra i due sessi. Infatti è stato dimostrato che nelle donne questa parte del cervello è più grande e più spessa.
Quindi questo può essere un dato a favore della convinzione abbastanza comune che le donne siano più intuitive degli uomini. Alain Branconnier, psichiatra francese, sostiene che le donne hanno una maggiore capacità di tener conto di ciò che può essere percepito. Questo “sesto senso” più sviluppato nelle donne si spiega,secondo David Myers, soprattutto con la capacità empatica delle donne che sono anche più brave degli uomini nel decodificare le proprie emozioni. Un esperimento di laboratorio condotto all’università di Parigi ha mostrato che le donne provano un più ampio spettro di emozioni, le manifestano più facilmente e le percepiscono meglio degli altri; vantaggio però limitato all’intuizione sociale.
Rimanendo sempre nell’ambito per così dire “fisiologico”, il “sesto senso”, da alcuni studiosi di Psiconeuroendo-crinoimmunologia è stato identificato con il sistema immunitario, oggi considerato come un organo recettore periferico in grado di percepire elementi dell’ambiente che sfuggono agli altri sensi; elementi che non sono connotati in senso biologico stretto, ma caratterizzati da valenze cognitive. Altre teorie, come quella sostenuta da Paolo Fabbri (docente di Teoria delle forme all’Università di Bologna), mette in evidenza come l’intuito si manifesti attraverso gli altri sensi pur rimanendo senza un’identità neurologica. Il “cervello è l’elemento privilegiato per le rappresentazioni concettuali e ogni modalità ha una sua regione cerebrale ben distinta”- afferma Fabbri-“Il sesto senso, invece, di volta in volta utilizza l’una o l’altra delle capacità sensoriali”.
Quindi per lui la percezione extrasensoriale, il ”sesto senso”, altro non è che un completamento delle altre funzioni umane. E’ una modalità specifica della conoscenza che non passa per gli schemi logico-intellettuali, ma è il risultato di un apprendimento immediato. Così per Fabbri “l’intuizione finisce per scavalcare i ragionamenti usuali, deduzione, induzione con manifestazioni più rapide e specifiche”.
Silvano Fuso (segretario regionale del CICAP- Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale) sostiene che esistono persone in grado di elaborare meglio di altri le informazioni sensoriali ricevute. Di fronte allo stesso tipo di informazioni certe persone riescono a raggiungere certe conclusioni molto più rapidamente di altre. Secondo il parere di Fuso, quella che comunemente si chiama “intuizione” e che talvolta è indicata con l’espressione “sesto senso”, altro non è se non questa capacità.
Massimo Polidoro, altro membro del CICAP, nonché suo co-fondatore e segretario nazionale, sostiene che gli eventi “paranormali”, come appunto la percezione extrasensoriale, siano esperienze che possono avere una miriade di spiegazioni ”normali”. Dato il loro forte impatto emotivo, possono apparire come ”paranormali” a un pubblico che non dispone degli strumenti interpretativi adeguati. In altri casi sono determinanti il ruolo delle aspettative, gli insidiosi errori della percezione o della memoria, certe tendenze della nostra mente (come la pareidolia, ovvero la tendenza a identificare forme significative in stimoli vaghi e casuali) o, ancora, semplici errori di giudizio.
In conclusione, credo che questo ambito di ricerca, tanto affascinante quanto conturbante, sia arrivato ad un punto tale in cui non si può né relegarlo nel mondo delle credenze magiche né catalogarlo tra le branche scientifiche. Sono d’accordo con quanto affermato da un grande fisiologo A. Carrel: “tale tipo d’intuizione o sesto senso, come la chiama Charles Richet, è una certezza scientifica: essa si trova allo stato rudimentale in molte persone e si sviluppa in un piccolo numero d’individui, i quali “non guardano, non cercano ma sanno”. E’ l’intuizione “paranormale”, oggetto di contestazione “perché – dice Carrel – questi fenomeni sono fuggitivi, non si riproducono a volontà, sono immersi nell’immensa massa delle superstizioni, delle menzogne e delle illusioni dell’umanità”. E’ un dato di fatto che si verifichino eventi che non si possono spiegare con il comune raziocinio o con le attuali scoperte scientifiche riconosciute.
E’ anche vero che ci sono molte persone pronte a speculare su questa “possibilità alternativa di percezione”, ponendo come veri eventi che non lo sono, soltanto per il gusto di destare scalpore. Credo però che il fatto che ci siano spesso persone in malafede, interessate a queste problematiche, non sia una motivazione valida e sufficiente per denigrare o ignorare la possibilità di studiare, in maniera seria e scientifica, anche quei fenomeni che si discostano dai canoni classici di riferimento.
Come ha giustamente riportato Giuseppe Sacco, professore all’Istituto di psicologia dell’Università di Siena, non va dimenticato che alla base delle cosiddette “rotture di paradigma” che hanno condotto alle grandi rivoluzioni scientifiche (si pensi ad esempio al passaggio dal sistema tolemaico a quello copernicano) spesso abbiamo avuto proprio l’osservazione e lo studio di quelle che erano considerate “anomalìe” (Kuhn,1970).
Proprio per tutti questo motivi credo che sia giusto che ci siano organizzazioni come il già citato CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale) volta a favorire la diffusione di una cultura e di una mentalità aperta ma comunque critica nei confronti dei fenomeni paranormali.

Bibliografia
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BROUGHTON R.S.(1994). Parapsicologia. Sperling & Kupfer Editori
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CAVANNA, R. (1973). Aspetti scientifici della parapsicologia. Ed. Boringhieri
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DE MARTINO, E. (1997). Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo. Torino
FREUD, S. (1941). Psicoanalisi e Telepatia. Opere, Vol. 9, Bollati Boringhieri, Torino
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GARLASCHELLI L. Paranormale: Psicologia della fede nel mistero. La Stampa, 10/5/2000
GARLASCHELLI, L.(1997). “Requiem per il Ganzfeld”. Scienza & Paranormale, N.13
MARABINI, E. (1994). Fenomeni parapsicologici. Nuova Libra Editrice
MUSSO A.(1994). Dialogo corpo-mente.Centro Scientifico Editore, Torino
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PERFETTO G.(2002). Sperimentazioni sul ganzfeld e meta-analisi. Quaderni di Parapsicologia. N.1
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VAN DE CASTLE R.L. (1979), Sonno e sogni. In L’universo della parapsicologia. B.B.Wolman (a cura di), Armenia, Milano
Si veda anche:
http://www.centroitalianoparapsicologia
http://digilander.libero.it/cspbologna/csp-new1/speciali/Brunilde.htm
http://utenti.lycos.it/shamballah/myst01.htm
http://www.coscienza.org
http://www.in-psicoterapia.com
http://www.sciencenews.org/sn_arc99/7_31_99/fob4.htm
http://www.webalice.it/cipidoc/news3.htm

La “memoria dell’acqua” è un dato scientifico, ma disturba qualcuno

di Lino Rossi (a cura di) – 18/08/2008  Fonte: comedonchisciotte [scheda fonte] —

Riporto parte di un capitolo del libro “AQUA” di Roberto Germano – Bibliopolis editore – nel quale si può cogliere, volendolo fare, l’esistenza della “memoria dell’acqua”. Per la spiegazione teorica rimando ad altre parti del libro e all’opera del Prof. Giuliano Preparata (“Qed Coherence in Matter”, “dai quark ai cristalli”, ecc.).
È singolare osservare come gli scalmanati negatori del fenomeno operino in siffatta goffa maniera senza entrare mai nel merito delle questioni. Per loro il metodo galileiano vale solo quando risulta coerente con le loro convinzioni, che spesso coincidono casualmente con quelle di big-pharma. Niente convinzione? Niente fenomeno! Galileo sta calmo…
Segnalo che le prove dell’esistenza della memoria dell’acqua sono innumerevoli e sono riportate nel libro.
Lino Rossi

L’AFFAIRE BENVENISTE, OVVERO: SULLA MEMORIA DELL’ACQUA E DELLA SCIENZA
di Roberto Germano – fisico della materia e amministratore unico della Promete, spin off INFM
Articolo pubblicato per la prima volta sulla rivista Anthropos & Iatria – Rivista italiana di Studi e ricerche sulle Medicine Antropologiche e di Storia delle Medicine (www.medicinealtre.it ) anno VIII numero II, pp. 89-91, riprodotto per gentile concessione dell’autore che ne detiene i diritti.

«Nessun esperimento è riproducibile se uno lo fa con sufficiente incompetenza» (Emilio Del Giudice)

Jacques Benveniste (1935-2004)
chi era costui? Nato a Parigi nel 1935, studia medicina e nel ’67 diviene direttore clinico alla Facoltà di Medicina di Parigi; sempre alla fine degli anni ’60 è ricercatore all’Istituto sulla Ricerca sul Cancro del CNRS e poi si occupa di patologia sperimentale in California. Nel 1970 scopre il “Platelet-Activating Factor”. Nel 1978 diviene Direttore di Ricerca INSERM (Istitut National de la Santé Et de la Recherche Médicale) e nel 1980 viene posto a capo dell’unità di Ricerca 200 dell’INSERM: Immunologia delle allergie e delle infiammazioni. E’ autore di circa 300 pubblicazioni su riviste internazionali, di cui 26 sul Journal of Immunology.
Dulcis in fundo o, forse meglio, in cauda venenum, Benveniste è anche vincitore di ben due Premi IgNobel per la Chimica, nel 91 per la “memoria dell’acqua” e nel ’98 per la trasmissione delle informazioni di tale “memoria” via telefono ed Internet…
IgNobel (marchio registrato!!!) è un gioco di parole tra “ignobile” e “Nobel”: si tratta di un premio ideato ed assegnato da un’allegra accademia di professori dell’establishment accademico. Questo tipo di burla sembra manifestare la presenza, nella sensibilità dei suoi ideatori, sia della loro nascosta aspirazione al riconoscimento istituzionale tramite l’agognata “canonizzazione” assegnata dai mass media, e non solo, per l’assegnazione del premio Nobel, sia il terrore del possibile giudizio negativo dei colleghi, e di risultare, quindi, “ignobili”; tutto questo a scapito della curiosità scientifica incondizionata che caratterizza, invece, l’approccio psicologico di uno scienziato libero, a cui non credo verrebbe mai in mente di sbeffeggiare un collega su questo terreno…
Infatti, non a caso, è proprio intorno alle ricerche così “premiate” che andremo a concentrare la nostra attenzione!!

L’infausta sorte dei basofili degranulati
Nel nostro corpo circolano indisturbati alcuni tipi di globuli bianchi, o leucociti che dir si voglia, meno comuni degli altri e che vengono chiamati ‘basofili’. I basofili trasportano al loro interno delle piccolissime vescichette, dette granuli. Una delle sostanze contenute in questi granuli è la gloriosa ‘istamina’, una sostanza vasodilatatrice che tutti gli allergici di questo mondo sanno essere fortemente connessa ai loro starnuti o reazioni allergiche varie. Infatti, ciò che accade quando starnutiamo, o la pelle si arrossa, ad esempio in presenza di polline di parietaria o di una graminacea (cioè di una “fonte di allergia” o “allergene”), è che i basofili stanno reagendo alla sollecitazione esterna rilasciando nel circolo sanguigno i loro granuli, cioè stanno “degranulando”. A questo punto i granuli rilasciano l’istamina e quindi i capillari della pelle, delle mucose, e dei bronchi subiscono l’azione vasodilatatrice che genera gli effetti allergici che ben conosciamo, e che in termini tecnici viene definita reazione anafilattica. In pratica, se questi benedetti basofili non degranulassero… niente starnuti!!
Ed ecco presentato il primo protagonista dell’Affaire Benveniste.
Veniamo ora al co-protagonista: l’anti-IgE.
Alcuni medici – forse un po’ sadici? – si sono accorti che si può rendere una persona, che di per sé sarebbe niente affatto allergica, comunque sensibile a delle sostanze “allergeniche” utilizzando un anticorpo estratto da capre compiacenti: il cosiddetto anti-IgE.
L’anti-IgE provoca la degranulazione dei basofili e quindi le reazioni allergiche.
Ora, veniamo alla pietra dello scandalo, l’articolo apparso sulla famosa rivista internazionale “Nature”, il 30 Giugno 1988:
E. DAVENAS, E. BEAUVAIS, J. AMARA, M. OBERBAUM, B. ROBINZON, A. MIADONNA, A. TEDESCHI, B. POMERANZ, P. FORTNER, P. BELON, J. SAINTE-LAUDY, P. POITEVIN AND J. BENVENISTE: Human basophil degranulation triggered by very dilute antiserum against IgE (degranulazione dei basofili umani innescata da antisiero IgE molto diluito) – “Nature”, 333, 816-818 (1988)
In questo articolo vengono descritti una serie di esperimenti condotti utilizzando diluizioni omeopatiche del co-protagonista: l’anti-IgE, che malgrado ciò – vale a dire: essendo scomparso dal solvente acqua – induceva comunque in misura statisticamente significativa la degranulazione dei basofili umani in coltura. Da ciò il tormentone di “memoria dell’acqua” con cui è passato alla storia questo celebre quanto controverso risultato sperimentale.
Lo stesso Benveniste si rendeva ben conto che si trattava di qualcosa di veramente eclatante ed “anomalo”, infatti fece il seguente esempio: è un po’ come se uno buttasse le chiavi della propria macchina nella Senna a Parigi e poi raccogliesse dell’acqua a Le Havre per fare uno stampo delle chiavi con cui riavviare il motore…
A questo articolo ne fu affiancato un altro, anonimo (ma, scritto probabilmente dal Direttore di “Nature”, cioè John Maddox), dal titolo “Quando credere all’incredibile”, in cui si evidenziava l’inspiegabilità teorica dei fenomeni descritti, e si invitavano i lettori a sospendere il giudizio fino a ulteriori controlli: 
When to believe the unbelievable, “Nature”, 333, 787 (1988)
L’Omeopatia aveva dunque trovato la sua “validazione” grazie ad un esperimento di immunologia di base effettuato da uno dei più stimati ricercatori del campo, il professor Jacques Benveniste?

A me gli occhi, please!
Gli ulteriori controlli non tardarono a farsi attendere e si sostanziarono nella visita, lunga una settimana, al laboratorio di Benveniste di tre ospiti ben assortiti: un famoso illusionista ed ipnotizzatore statunitense, James Randi (membro attivissimo dello CSICOP, Committee for the Scientific Investigation of Claims of the Paranormal, lo zio d’america dell’italiano CICAP, per intenderci), il direttore di “Nature”, John Maddox, ed il sedicente “acchiappa-frodi” Walter Stewart.

Ebbene, cosa accadde alle pluriennali ricerche di Benveniste, riprodotte in laboratori italiani, israeliani, e canadesi, da ricercatori di valore internazionale che firmavano lo “scandaloso” articolo, durante tali “magici” e “ipnotici” “controlli”, effettuati da tre persone e durati una settimana, descritti da Benveniste come uno “spettacolo da circo”?
Ovviamente, l’attitudine dei tre era di scovare il trucco, la frode, l’imbroglio, dovunque esso fosse, e in ogni caso essi erano ben certi della fallacia dei risultati pubblicati da Benveniste.
I risultati della “verifica” dei tre, furono prontamente pubblicati su “Nature” il 28 Luglio 1988 (rapidissimamente, cioè soltanto 28 giorni dopo

la pubblicazione di Benveniste, quindi dobbiamo supporre, senza alcun “referaggio” internazionale!!!):
J. MADDOX, j. RANDI AND W. W. STEWART,`High dilution’ experiments a delusion, (esperimenti con “alte diluizioni”: una delusione) – “Nature”, 334, 287-290 (1988)
Nella sua replica su “Nature”, Benveniste li accusò di “caccia alle streghe” e di “maccartismo”. Ed in effetti, ci chiediamo: questi “risultati” dei nostri tre elementi sono stati riprodotti da qualche scienziato? E quali scienziati avevano fatto da referee al loro articolo? Si tratta di domande retoriche, anche perché l’articolo, malgrado il titolo ben netto, parlava sì di “pseudoscienza”, ma non chiariva il mistero della memoria dell’acqua, né accusava alcuno di alcunché!! Per cogliere l’attitudine dei tre non basta leggere l’articolo, ma bisogna interpretarne le intenzioni: si dichiaravano ben sicuri della buona fede di Benveniste (quale magnanimità!), però riferendosi alla coautrice Davenas, ringraziandola per i conteggi, insinuavano che non fosse in buona fede, cosa che poi Randi ha in effetti dichiarato esplicitamente anche se soltanto privatamente; si concludeva poi che c’erano stati degli errori di campionatura statistica.
Torniamo al “controllo” effettuato nel laboratorio di Benveniste. Dopo i primi giorni in cui i nostri tre investigatori non riuscivano a trovare nulla di sospetto nelle procedure del gruppo di Benveniste, ciò che Randi racconta di avere infine fatto per scovare il truffatore è questo: registrando tutto con una telecamera, le soluzioni furono etichettate in laboratorio, poi furono portate in una stanza senza finestre e lì le etichette vennero sostituite, la corrispondenza tra le vecchie e le nuove etichette venne trascritta su un foglio di carta, poi piegato all’interno di un foglio di alluminio, e imbustato e sigillato con uno speciale adesivo per rilevare le impronte digitali, la busta fu attaccata sul soffitto del laboratorio e Randi “segnò” una scala per vedere se qualcuno l’avrebbe utilizzata per raggiungere la busta con la decodifica. Vennero restituite, dunque, le provette per continuare l’esperimento e poi tutti andarono a cena. Il giorno dopo si fece il conteggio dei risultati, che risultarono tutti negativi. Mentre Randi osservò che la scala risultava spostata e che qualcuno aveva provato ad aprire la lettera con una matita, senza riuscirci. Il tutto viene considerato “avvalorato” dal fatto che le ricerche erano finanziate da aziende di farmaci omeopatici!! Sappiamo che non è neanche il caso di ricordare che se si annullassero tutte le ricerche mediche perché finanziate da case farmaceutiche, ben poche ricerche sopravvivrebbero!
Va detto, poi, che l’illusionista James Randi, ancora una volta privatamente (ma non troppo, visto che era ad un convegno nazionale del CICAP) ha ammesso con vanto di aver usato l’ipnosi durante le sue “verifiche” nel laboratorio di Benveniste. Il fenomeno esiste…
Dopo tutto il polverone che si era sollevato e l’enorme discredito che era stato gettato sulla “memoria dell’acqua”, il direttore dell’INSERM, Philippe Lazare, licenziò la Davenas; e stava quasi per fare altrettanto con Benveniste; ma, invece, preferì saggiamente attendere i risultati di ulteriori esperimenti ripetuti il cui controllo aveva egli stesso affidato all’esperto statistico, prof. Alfred Spira, direttore dell’unità 292 delI’INSERM. Nel Gennaio 1990, al termine degli esperimenti da lui supervisionati, il prof. Spira si è così espresso: «II fenomeno esiste, gli esperimenti hanno dato risultati positivi e tuttavia, benché sia stata seguita una metodologia corretta, i risultati appaiono strani dal punto di vista statistico. È un fatto che non riesco a capire né a spiegarmi».
Ben 9 anni più tardi, uno studio effettuato in parallelo in 4 laboratori indipendenti sparsi per l’Europa (Gran Bretagna, Italia, Francia e Olanda) – mentre il coordinamento, la codificazione, la randomizzazione e l’elaborazione statistica è stata effettuata da un gruppo di ricerca in Belgio – sembra segnare l’inizio della “riscossa” di Jacques Benveniste:
P. BELON, J. CUMPS, P. F. MANNAIONI, J. STE-LAUDY, M. ROBERFROID, F. A. C. WIEGANT Inhibition of human basophil degranulation by successive bistamine dilutions: results of a European multi-centre trial (inibizione della degranulazione dei basofili umani tramite successive diluizioni di istamina: risultati di un test europeo multicentrico). “Inflammation Research”, 48, supplement 1: S17-18 (1999).
I dati validi da analizzare ammontano a 772; la degranulazione media del gruppo di controllo è del 48.8%, mentre nel caso delle diluizioni elevate (omeopatiche) è del 41.8%, con la probabilità che ciò accada per puro caso che è minore di 1 su diecimila!
Eppur degranula! Bisogna ripetere col prof. Spira che il fenomeno, dunque, esiste.
L’Affaire Benveniste sembra così cominciare a giungere ad un lieto fine per Benveniste e per la scienza. Peccato che nel frattempo Benveniste sia morto.
Bisogna, però, sicuramente dare onore al merito a chi, non facendosi ingannare dalle apparenze, ha proseguito a sperimentare seriamente, infischiandosene della tendenza a ridicolizzare interamente queste ricerche.

La bio-chiave e la bio-toppa
Ma cosa ha fatto Benveniste nel corso degli anni ‘90? Non ha continuato a sperimentare? Come abbiamo già accennato, dopo un paio d’anni, è poi andato oltre, tanto da attirare nuovamente la cortese attenzione di alcuni colleghi che sono stati pronti ad assegnargli addirittura un altro Premio IgNobel!
Per poter accennare a queste sue ricerche ancor più incomprensibili per il paradigma scientifico di quegli anni (nonché per molti seri accademici di questi anni) di quanto già non fosse la “memoria dell’acqua”, è necessaria una breve digressione sul modo in cui le molecole “comunicano” fra loro…
I biologi utilizzano correntemente il termine “segnale molecolare” senza una precisa definizione fisica dello stesso. Esiste però un’immaginifica schematizzazione del modo di “comunicare” o “interagire” delle molecole in campo biologico, che è a tutt’oggi considerata la “spiegazione” istituzionale, che viene chiamata: Relazione Quantitativa Attività-Struttura, meglio conosciuta come Modello di Interazione Chiave/Toppa. Di che si tratta? Le molecole vagano in maniera casuale nei liquidi biologici e si urtano casualmente. La forza di interazione è quella a corto raggio di tipo elettrostatico, che agisce sensibilmente fino a circa due, tre volte il diametro della molecola. Quando accade che una molecola Chiave urta proprio la sua molecola Toppa (per esempio, una molecola “antigene” urta una molecola “recettore”), che sarebbe caratterizzata dal fatto di esserle geometricamente complementare, le due molecole rimarrebbero incastrate, e formerebbero un tutt’uno fino a che il destino non le separerà di nuovo, inducendo nella cellula con quella “Toppa” quella funzionalità che senza quella molecola “Chiave” non sarebbe mai stata attivata.
Il grande paradosso di questa “spiegazione” (che è quella a tutt’oggi correntemente accettata) è che anche l’evento biologico più banale – come ad esempio pensare di voler pigiare un tasto del computer e poi realmente schiacciarlo – richiederebbe un tempo lunghissimo per potersi svolgere, cosa che non è.
L’insufficienza di questo modello è ancor più evidente nel fallimento dei programmi di progettazione di nuovi farmaci, che pur utilizzando estesamente super-calcolatori, non ha dato affatto vita al gran numero di nuove sostanza attive che ci si aspettava da tale interpretazione del “segnale molecolare”, termine comunque ampiamente ancora utilizzato ad indicare il fantasioso Lego casuale delle molecole appena descritto.

Segnali molecolari e biologia digitale
Benveniste ha sperimentato e proposto un nuovo modello interpretativo, di tipo elettromagnetico, per rendere conto dei “segnali molecolari”, secondo il quale una molecola antigene (ad es°) emette un segnale elettromagnetico che risuona con il segnale emesso dal recettore, così attivandolo e inducendo la funzione cellulare corrispondente.

Prima di focalizzare meglio l’attenzione sulla teoria, però, è il caso di esplicitare ciò che di eccezionale (tanto da risultare “incredibile” ai più) Benveniste ed i suoi collaboratori hanno sperimentalmente verificato:
utilizzando onde elettromagnetiche a bassa frequenza (<20 kHz) risultano attivate specifiche funzionalità cellulari, in funzione di una corrispondente ben precisa frequenza.
In particolare, dopo i famosi esperimenti che diedero luogo all’articolo scandaloso apparso su Nature, Benveniste continuò la sua ricerca. In esperienze a doppio cieco, con la presenza di ricercatori esterni, si notò che la presenza di molecole agoniste altamente diluite veniva annullata da un debole campo magnetico oscillante che non aveva invece affatto un tale effetto sulle molecole vere e proprie in diluizioni standard. Seguirono, dunque diverse centinai di esperimenti che confermarono la possibilità di trasferire all’acqua, tramite un amplificatore, la specifica attività molecolare di più di 30 sostanze!! Si tratta di sostanze quali: agonisti farmacologici e fisiologici, anticorpi (purificati o con tutto il siero), antigeni e perfino il segnale specifico di alcuni batteri.
Poi pensarono di invertire il procedimento, di registrare (in digitale, campionando a 44 kHz), cioè, alcune specifiche attività biologiche e poi memorizzarle su un hard disk di un PC. Quando tali registrazioni venivano riprodotte nei pressi di acqua, plasma, organi, cellule, o di reazioni antigene-anticorpo, il segnale registrato induceva l’effetto caratteristico della sostanza originaria!!! E’ chiaro come questo potrebbe condurre alla possibilità di rilevare o trasmettere a distanza qualsivoglia attività molecolare, normale o patologica che sia, e in ogni caso conduce ad una totalmente nuova visione della biologia e della medicina.
Da questi risultati sperimentali viene naturale formulare l’ipotesi che i segnali molecolari coincidano proprio con queste onde a bassa frequenza e che il recettore risuona con esse, un po’ come il sistema di sintonia di una radio.
Che i medici tibetani con le loro apparentemente “magiche” tazze metalliche (contenenti acqua) che risuonano quando un cilindro di legno viene strofinato sul bordo (le cosiddette tazze tibetane) – proprio come accade strofinando il dito inumidito sul bordo di un bicchiere di cristallo) – non siano proprio del tutto fuori strada?
La verità è che i dati sperimentali e la conseguente ipotesi di Benveniste che i segnali molecolari siano di natura elettromagnetica non cozza contro alcun principio di biologia o di fisica attualmente ben assestato, infatti si sa benissimo che le molecole emettono alte frequenze specifiche, ma d’altronde un insieme complesso di alte frequenze può produrre basse frequenze (fenomeno dei battimenti).
Inoltre, e qui viene il bello, bisogna considerare il fatto banale che tutte le interazioni biologiche avvengono in acqua e, mediamente, ogni molecola di proteina è circondata da migliaia di molecole d’acqua. E con questo? Proprio qui sta il punto. Abbiamo qui spazio per dire soltanto, che dall’elettrodinamica quantistica si calcola e sperimentalmente si verifica, che l’acqua ha una struttura bifasica, costituita da una sorta di matrice simile a vapor d’acqua molto denso, all’interno della quale si distinguono come dei nuclei, un po’ come i domini ferromagnetici del ferro. Tali nuclei vengono denominati “domini di coerenza”, ed a temperatura ambiente hanno un diametro di cinquecento Ångstrom (1 Ångstrom =10-10m = 1Å : si utilizza perché si tratta dell’ordine di grandezza della “dimensione” atomica), mentre i centri distano fra di essi di  750 Å.

struttura dell'acquaStruttura dell’acqua così come scaturisce dai calcoli ab initio di Elettrodinamica Quantistica Coerente.
A temperatura ambiente: D=750Angstrom   r= 250 Angstrom

Qui ci basti cogliere il fatto che attraverso questi estesi domini di coerenza è possibile trasmettere in acqua segnali elettromagnetici a distanza generando un’attrazione specifica a lungo raggio sulle molecole risonanti. La frequenza caratteristica dell’insieme delle due molecole sarà tale che risuona con un’altra molecola o gruppo di molecole specifico che corrisponde al passo successivo della reazione biochimica, e così via.
Questa visione elettromagnetica spiega anche come sia possibile che infimi mutamenti nella struttura di una molecola che corrispondono a piccole variazioni della frequenza caratteristica, possano dare luogo a così grandi modifiche funzionali: ciò accade ad esempio nella fosforilazione, nel caso della sostituzione di uno ione con uno molto simile, come pure nel caso dello scambio di due peptidi. La spiegazione risiede nel fatto che i fenomeni risonanti sono estremamente sensibili alle piccole variazioni intorno al picco di frequenza, vale a dire che la curva dei valori dell’ampiezza in funzione della frequenza è molto piccata (alta e stretta) intorno al valore della frequenza di risonanza stessa.

Un piccolo elenco di esperimenti
Ciò che sembra spessissimo scaturire dalla critiche a Benveniste, specie per ciò che riguarda questi più recenti aspetti della sua ricerca, è che sembra si stia parlando di sue idee balzane con nessuna base sperimentale.

Diamo invece un’occhiata agli svariati sistemi sperimentali su cui Benveniste ha messo alla prova le sue idee.
Dal 1984 al 1990:
– Degranulazione dei Basofili tramite alte diluizioni di anticorpi anti-IgE.
– Inibizione della degranulazione dei basofili attraverso alte diluizioni di Istamina.
Dal 1990 al 1998:
– Cuore di porcellino di Guinea: testate più di 30 sostanze, prima in alta diluizione, poi attraverso la trasmissione
diretta utilizzando un amplificatore, e infine registrando e riproducendo il segnale molecolare grazie ad un computer.
– Attivazione dei neutrofili tramite del Forbolo-Miristato-Acetato trasmesso da un amplificatore in tempo reale.
Dal 1997 al 1998: Precipitazione di Ag/Ab. Rilevazione del “segnale” registrato di batteri (e, per estensione, di antigeni o anticorpi) riproducendolo ad una reazione immunitaria specifica per quel segnale.
1998: Test dermatologici. Iniezioni intradermiche su porcellini di Guinea o conigli di acqua “informata” con il segnale di vasodilatatori come istamina, serotonina, acetilcolina, bradichina, che inducono una locale vasodilatazione sulla pelle che viene inibita dallo specifico inibitore della molecola originale.
Dal 1999 al 2001: Coagulazione del sangue. Acqua “informata” col segnale registrato di eparina va a ritardare o ad inibire la coagulazione del sangue. Il sistema è stato totalmente automatizzato realizzando un bioanalizzatore che realizza tutti i test senza intervento umano.

Un piccolo elenco di applicazioni
E’ ovvio che da questi risultati sperimentali eclatanti ci si può aspettare tutto un fiorire di possibili applicazioni, sia per ciò che concerne la possibilità di rilevazione di caratteristiche biologiche sia per ciò che riguarda la capacità di agire su sistemi biologici.

Prendiamo da Benveniste un’utile schematizzazione:

Schema Benveniste

*Vantaggi della rilevazione:
Rilevazione di concentrazioni molto basse (10-14 M)
Il campione può essere registrato da remoto
Monitoraggio in tempo reale di miscele complesse
Archiviazione permanente dei campioni registrati

Una commemorazione sui generis
Jacques Benveniste ci ha purtroppo lasciato, durante un intervento chirurgico al cuore, nei primi giorni dell’Ottobre 2004.
Pochi giorni dopo, ricevo una telefonata da Emilio Del Giudice che è a dir poco scandalizzato dal tono aggressivo e dal contenuto fuorviante di una sorta di articolo di commemorazione apparso su Nature.
Così, stimolati da Emilio (Del Giudice), Martin Fleischmann ed io decidemmo di scrivere una lettera aperta (considerammo inutile provare a farla pubblicare sulla stessa Nature), che ora si può leggere su svariati siti web ed è stata pubblicata sul numero IV del 2004 di Anthropos & Iatria (pagg. 86-87).

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=10309  Tante altre notizie su www.ariannaeditrice.it

  1. Germano “AQUA. L’acqua elettromagnetica e le sue mirabolanti avventure” Bibliopolis (2007)
  2. Germano “Acqua fresca e Omeopatia, ovvero un Comitato per il Controllo delle Affermazioni Normali?” in “Scienze, Poteri e democrazia”, Editori Riuniti (2006), 375-416

onore a Jacques Benveniste, lo scienziato che ha dimostrato che l’acqua registra le informazioni elettromagnetiche

L’articolo riportato sotto, sulla figura di uno dei più importanti ricercatori che si siano avuti negli ultimi cinquant’anni in medicina e biologia, è molto illuminante sulla condizione di “fede religiosa” che si è voluta instaurare e mantenere nella scienza da parte di un sistema di potere che va ben oltre i governanti degli Stati. Quella scienza che solo 4 secoli fa aveva iniziato a demolire le fondamenta dell’assolutismo religioso a favore del progredire delle conoscenze umane, ora si vuole che costituisca un nuovo potere religioso, assoluto e totalitario al punto da eliminare chi non sta alle sue regole. Questo aspetto religioso della scienza è di solito definito  “scientismo” e nel caso di Benveniste ha dimostrato che se le nuove scoperte non sono compatibili con i suoi dogmi o contrastano gli interessi dei suoi potenti finanziatori, di cui si fa servo, sa colpire fino in fondo eliminando anche persone di grande fama che potrebbero portare grandi contributi all’umanità intera. Per farlo si serve anche di personaggi assurdi senza alcuna competenza scientifica, come l’illusionista Randi, che possono essere tirati in ballo giusto per i casi di ciarlatani da circo alla Uri Geller.
La Scienza vera è quella che cerca sempre nuove frontiere e che è sempre pronta a mettere in discussione le precedenti “leggi” o scoperte di fronte all’evidenza del nuovo. Pochi però oggi seguono questa idea poiché si fa scienza solo con grossi contributi economici e gli stati devolvono ben poche risorse alla ricerca scientifica pubblica e indipendente. Perfino un grande amico di Benveniste, il dr Lazar, nelle sue dichiarazioni è costretto a dire che forse Benveniste non fu abbastanza obiettivo nella valutazione dei suoi esperimenti!
Non mi stupirei che anche la strana morte di Benveniste, avvenuta durante un intervento chirurgico, fosse parte di quel “losco affare” cui accenna Lazar.
Pier Prospero

Jacques Benveniste, un biologiste hors normes

di Michel Alberganti e Jean-Yves Nau
da HomeoCity News, un servizio gratuito dell’Istituto di Studi di Medicina Omeopatica

Jacques Benveniste, direttore del Centro di Ricerca di Inserm, medaglia d’argento del CNRS, è prematuramente scomparso domenica 3 ottobre 2004 a Parigi nel corso di un intervento chirurgico nell’Ospedale della Pitié-Salpêtrière di Parigi.
Aveva solo 69 anni, Con la sua scomparsa la Biologia perde uno dei membri uno dei più brillanti, diremo il più atipico, il più appassionato della ricerca, posponendo la sua vita personale alla ricerca.
Nato il 12 marzo 1935 a Parigi, Jacques Benviste, nel 1973 lavora all’Istituto Nazionale  di Ricerca dopo aver passato un meritevole periodo di studi nel campo dell’Immunologia.
Nel 1971 gli dobbiamo la scoperta della molecola Platenet che gioca un ruolo determinante nel meccanismo infiammatorio causato dall’allergie. Questa grande scoperta forse avrebbe potuto restituirgli un giorno il riconoscimento da parte dei suoi colleghi e procurargli il Premio Nobel in  medicina ed in fisiologia. Oggi, il giorno seguente alla sua morte, l’Istituto dell’Inserm  in un comunicato stampa, dichiara che le scoperte innovative di Jacques Benveniste aprono la strada a nuove prospettive terapeutiche nel campo delle allergie e delle infiammazioni che ne derivano.
Nel 1984 il dottor Jacques Benveniste viene nominato direttore della Ricerca Unità U200 dell’Inserm. Forte di 300 pubblicazioni scientifiche sulle riviste più prestigiose, al culmine

della sua carriera si orientò verso un nuovo settore di ricerca, che suscitò molte polemiche, costringendolo ad abbandonare le sue funzioni ufficiali e la comunità scientifica lo emarginò come fosse una  una sorta di ciarlatano.
In effetti egli si persuase fermamente di aver scoperto  la cosiddetta “memoria dell’acqua” cioè che le cellule sanguigne reagivano a una soluzione che era stata in contatto con anticorpi, ma che  non conteneva più anticorpi.
Se confermata, la rivoluzionaria scoperta sarebbe stata un trionfo per l’Omeopatia.
Sicuro dei risultati ottenuti dedusse dalla sua scoperta che l’informazione biologica può essere trasmessa non in maniera chimica e di qui si scatenarono forti polemiche nell’ambito degli addetti ai lavori.
Il 30 giugno 1988 sul quotidiano Le Monde si scatena una violenta polemica in
occasione della pubblicazione di un articolo da parte  di Jacques Benveniste sulla prestigiosa rivista scientifica “Nature”. Questi risultati sono considerati come “una scoperta francese che potrà ribaltare i fondamenti della Fisica”.
Ed ecco che, in  contraddizione con la normale etica che regola
ogni   pubblicazione scientifica, John Maddox, il capo redattore della prestigiosa rivista britannica decide di promuovere un’indagine  nei laboratori Jacques Benveniste  dopo aver accettato di pubblicare i suoi risultati.
Il suo scopo è chiaro: cercare ad ogni costo di smascherare le affermazioni del biologo, coinvolgendo perfino un illusionista americano, James Randi che aveva tempo prima sconfessato le teorie di Uri Geller.
Nonostante che la manovra fallisca nel suo scopo,  ottiene comunque di screditare agli occhi della Comunità Scientifica le scoperte del biologo.
Jacques Benveniste si rifiuta, con grande coraggio e non senza timori, di abbandonare le sue ricerche inimicandosi così definitivamente tutta la Comunità Scientifica.
Tutti i suoi lavori finanziati dall’Industria Omeopatica lo condurranno ad elaborare una “biologia numerica”.
Alla fine degli anni ‘90 deposita una serie di brevetti, uno di questi verrà riconosciuto il giorno 1 aprile del 2003 dalla Comunità Scientifica Americana: “un medicinale anticoagulante è stato riconosciuto a San Diego dai nostri studiosi. Il segnale è stato inviato dall’acqua che lo conteneva, dando il via a  un processo di anticoagulazione  come avrebbe fatto la molecola di origine“.
Genio non compreso? Biologo troppo avanti con i tempi? Martire dell’Istituzione di cui fu un eminente membro? Ricercatore cieco e assetato di fama?
Philippe Lazar, direttore  generale dell’Inserm dal 1982 al  1996, e suo amico di vecchia data, lo definisce  molto più semplicemente un uomo onesto  vittima di un losco affare, e si affretta a riconoscere che forse Jacques Benveniste non è stato abbastanza obiettivo nell’interpretare i risultati delle sue ricerche.
Dopo la sua morte molte sono le domande a riguardo, ma sulla “memoria dell’acqua” resta  sempre aperta la polemica.

Ischia, guida “percettiva” al percorso da Sant’Angelo a Serrara – Prima parte: presentazione del percorso e link alla stampa della scheda per i punti di percezione

GEOLOGIA PERCETTIVA A ISCHIA —
PASSEGGIATA DA SANT’ANGELO A SERRARA: UN PERCORSO PERCETTIVO —

di Pier Prospero, Geobiologische berater del Forschungskreis für Geobiologie “dr. Ernst Hartmann” di Waldbrunn (Heidelberg) —

PRIMA PARTE – PRESENTAZIONE DEL PERCORSO  —

s angelo-serrara 2-034 Il percorso pedonale che congiunge Sant’Angelo a Serrara è conosciuto da chiunque sia stato almeno una volta a Sant’Angelo, l’unico borgo di Ischia in cui non possono passare le automobili, posto in una bellissima posizione all’estremo sud dell’isola.
La frazione si compone di due zone, una sul mare col porticciolo e una a monte, detta “Madonnelle”, con la chiesa.
Da questa parte alta dell’abitato inizia il sentiero che porta a Serrara con un dislivello di circa 300 metri.
Si tratta di due chilometri di salita a tornanti in mezzo a fiori e piante di ogni tipo, anche rare, con panorami stupendi verso il mare e, a monte, rocce vulcaniche impressionanti per dirupi, spaccature e colorazioni.
La frequentazione di queste zone è attestata fin dall’ottavo secolo a.c. da parte di coloni greci mentre la formazione dei sentieri che congiungono il mare e le sorgenti termali ai villaggi alle pendici dell’Epomeo è attestata al quarto secolo a.c., può essere quindi che il percorso di cui parliamo sia davvero molto antico.
Nel 1937 il percorso è così descritto: “dalla scorciatoia mal tracciata ed erta di masse di lava, di ciottoli e di asperità nel terreno, una vecchietta reca il messaggio fin giù a Sant’Angelo e ritorna, infaticabile, per lo stesso ripido sentiero1.
La prima volta che mi sono recato a Sant’Angelo di Ischia per una vacanza, molti anni fa, il vecchio sentiero era stato da poco pulito, pavimentato e provvisto di luci per cui era possibile andarci anche di sera ed era diventato una passeggiata suggestiva e romantica. Purtroppo la mancanza di manutenzione e l’incuria più totale di questi anni lo rendono ora privo di illuminazione, a tratti franato e impervio, difficile in alcuni punti; in compenso adesso si ha l’impressione di essere immersi in una selva di piante con dei fiori stupendi che, dato che nessuno taglia l’epanorama dal Floreana copiarba e per via della molta energia ceduta dal terreno, crescono eccezionalmente rigogliosi.
E sicuramente è comunque un po’ meglio di com’era nel ’37.
Il “premio” per chi affronta la salita è il belvedere di Serrara da dove si vede la costa da Capo Grosso (dopo i Maronti) fino a Capo Negro a ovest. Inoltre al bar ci si può gustare una spremuta fresca ottima e abbondante.
La conformazione geologica e le spinte tettoniche dovute al vulcanismo e alle faglie, in questa zona sono particolari e “forti”, provocano quindi sensazioni visive, ma anche percettive, particolari e intense ed anche questo è un bel “premio”.
s angelo-serrara 1Dopo averlo percorso innumerevoli volte negli anni, confrontando con mia moglie le sensazioni che avvertivamo via via salendo, ho finalmente pensato al sentiero come ad un “percorso percettivo” di quelli che periodicamente proponiamo come Istituto GEA per far capire cosa sia lo “scambio energetico” tra il terreno e le persone.
L’ho quindi ripercorso più volte prendendo nota sul mio “moleskine” delle sensazioni provate e delle percezioni relative alle spinte tettoniche, appunti che sono poi diventati questa “guida” un po’ particolare.
Sono convinto che molti tra i visitatori di Sant’Angelo a Ischia abbiano un’idea abbastanza chiara di cosa sia la rabdomanzia, mentre forse anche tra loro è ancora poco conosciuta la percezione e la valutazione geobiofisica del terreno, peculiarità dell’Istituto GEA. Rinviando chi volesse approfondire questa tematica ad altri articoli di questo sito in cui questa materia è affrontata esaustivamente, riassumo molto brevemente di cosa si tratta: la percezione geobiofisica è una facoltà umana sviluppata in vari gradi nelle persone; alcuni hanno una vera e propria ipersensibilità che li mette in grado di accorgersi subito e in modo chiaro delle variazioni di informazione che gli arrivano attraverso il campo magnetico terrestre o attraverso altri campi elettromagnetici tellurici, quindi possono fare da apripista e introdurre anche gli altri alla percezione di questi messaggi della Terra, non più segreti, inviati dall’ambiente geofisico in cui ci si trova.
Non vi è nulla di magico o di esoterico nella percezione geobiofisica, vi è solo la consapevolezza che la Terra comunica attraverso messaggi elettromagnetici che se ascoltati e decodificati rendono piena e completa la fruizione dell’ambiente e possono trasformare una passeggiata come questa in un’esperienza “totale” che non si dimenticherà facilmente, recando una grande soddisfazione nell’averla compiuta.
L’intento, nel descrivere il sentiero come “percorso percettivo”, è quello di mettere a disposizione di chi fosse curioso rispetto a questa inusuale esperienza una piccola “guida energetica e percettiva” al percorso in modo che lo possa fare con l’attenzione alle informazioni energetiche ricevute dall’ambiente anche se materialmente non è presente uno di noi dell’Istituto GEA a guidare i partecipanti come avviene di solito nei nostri seminari di Geologia Percettiva.
Più precisamente l’idea sarebbe di percorrere una prima volta il sentiero andando a Serrara senza aver letto questa “guida”, ma solo in silenzio, concentrandosi sulle sensazioni fisiologiche ed emotive che si provano via via che si cammina.

ci si annotano le percezioni copiaIL METODO:
Per prima cosa si dovrebbe scaricare
dal download della home page la scheda redatta per poter annotare le sensazioni ai punti di percezione , tenerla con sè camminando e  fermarsi nei punti indicati per segnare, tra quelle proposte sulla scheda, la situazione che più si avvicina a quella che si sta vivendo, oppure annotarvi quanto si è percepito, compresa la variazione degli stati d’animo.
Poi
, solo quando si è arrivati alla fine del percorso e si è seduti comodi, si dovrebbe leggere la nostra “guida” e confrontarne le spiegazioni ai vari punti di percezione per verificare quali sono le cause delle percezioni e delle variazioni nel benessere e nello stato d’animo che si sono provate.
Perché la passeggiata diventi un vero e proprio percorso percettivo si deve camminare in silenzio, assorti nel cercare di percepire le minime variazioni del proprio respiro dovute alla tensione o al rilascio del diaframma, la maggiore o minore fatica fatta salendo rispetto alla pendenza, le eventuali tensioni e distensioni dei muscoli che interessano le proprie eventuali parti dolenti (vertebre cervicali, muscoli facciali, schiena, ginocchia, ecc.).
Inoltre si dovrebbe camminare con le ginocchia lievemente flesse e le gambe non rigide, sorreggendosi sui muscoli e non sulle ossa.
Per capire bene gli effetti del diverso scambio energetico ci si dovrebbe conoscere un po’, nel senso di conoscere la propria circolazione energetica, ma anche se fosse la prima volta che si pensa alla propria circolazione energetica non ci saranno molti problemi a percepire almeno i cambiamenti più vistosi.

terrazza arrivo casa Garibaldi copiaCome punto di partenza del percorso percettivo ho scelto Casa Garibaldi (punto A) poiché è dove alloggio in vacanza e di solito inizio da lì la passeggiata, ma come punto di incontro e di inizio può andare benissimo anche il vicino slargo all’incrocio tra la via che sale e quella che si apre con l’indicazione “Monte Zunta”, dove c’è il negozio di alimentari “Da Tina”.

Il percorso percettivo finisce al “belvedere” di Serrara in corrispondenza del bar “Floreana” (punto B).
Serrara ha uno dei più spettacolari belvedere dell’isola di Ischia, che si affaccia su Sant’Angelo e verso Forio con scorci panoramici sul Vesuvio, sulla costiera sorrentina con Punta Campanella e su Capri.

Schermata 09-2457273 alle 22.19.20Detto questo, si prende la scheda, una penna, e si parte.

La scheda si stampa da qui

All’inizio del percorso si deve porre attenzione alla respirazione e al proprio grounding per prepararsi alla percezione.  Ci si mette quindi nella posizione di grounding iniziale con le gambe aperte alla larghezza del bacino, le ginocchia lievemente flesse, i piedi paralleli.
In questa posizione si fanno alcune respirazioni in questo modo: inspirando si scende un po’ sulle ginocchia; espirando ci si rialza stendendo le gambe senza arrivare a tenderle. Si ripete almeno tre volte.
Poi si annota il proprio stato iniziale (le risposte possono essere più di una).
Occorre dire che nel contattare la stessa situazione energetica alcune reazioni di malessere o benessere possono essere inverse nelle due tipologie in cui si dividono grossolanamente le persone secondo la Medicina Costituzionalistica, cioè il tipo picnico (corporatura larga e corta, mani larghe e dita grosse) e il tipo leptosomico (corporatura allungata e sottile, mani lunghe e dita affusolate) e se si ha la tendenza alla pressione alta o alla pressione bassa, perciò se fate il percorso1 panorama dal sentiero copia 2 in compagnia alcune risposte sulle varie schede potrebbero essere differenti, soprattutto nei punti più “forti”.
Buona passeggiata “percettiva”.

Dopo aver finito il percorso, scheda alla mano, ci si legge la Seconda parte con la spiegazione dei motivi geologici ed energetici delle percezioni e si confrontano le spiegazioni con quanto ci si è annotato durante il percorso.

Ischia, guida “percettiva” al percorso da Sant’Angelo a Serrara – Seconda parte: spiegazioni delle percezioni ai punti della scheda

GEOLOGIA PERCETTIVA A ISCHIA – DA SANT’ANGELO A SERRARA: UN PERCORSO PERCETTIVO —
di Pier Prospero, Geobiologische berater del Forschungskreis für Geobiologie “dr. Ernst Hartmann” di Waldbrunn (Heidelberg) —

SECONDA PARTE – SPIEGAZIONI E VERIFICA DELLE PERCEZIONI ANNOTATE AI PUNTI DELLA SCHEDA —

Adesso che avete finito il sentiero e vi siete annotati sulla scheda le percezioni avute salendo, mettetevi comodi e leggete questa seconda parte per capire la geologia del luogo, e come il territorio che è stato percorso influisca sulle percezioni e sul benessere attraverso lo scambio energetico del substrato. Questo in sintesi è il senso della Geobiofisica.
Ma prima di tutto è meglio fare il punto su “dove siamo”:
3 geoCNRIschia è un edificio vulcanico di rocce vulcaniche potassiche2 formatosi per sollevamento emergendo dal Tirreno; la spinta tettonica principale diffusa in tutta l’isola è perciò dal basso verso l’alto; questa spinta tettonica è fortemente rimarcata dove sottoterra è presente acqua calda in pressione, come a Sorgeto, per l’effetto “pentola a pressione”.
L’isola è percorsa da spaccature ed è piena di crateri. Le spaccature sono faglie distensive, cioè fratture che allargano la crosta creando dei canyon e delle fessure profonde che permettono all’acqua di scendere in profondità e di entrare in contatto con i gas vulcanici caldi che la fanno risalire molto calda e in pressione sotto forma di “fumarole” e acqua termale. Naturalmente se le spinte che allargano i canyon sono ostacolate da altre analoghe spinte ma di opposta direzione il terreno che si trova in mezzo tende a piegarsi e a sollevarsi, così si originano delle compressioni e questo rende particolarmente articolato il paesaggio che di fatto è una specie di “fossile” di qualcosa che un tempo era simile ai Campi Flegrei. Perciò pur dominando il sistema distensivo dovuto alle faglie dirette, vi sono aree in cui vi è compressione e questo cambia lo stato di benessere di chi cammina sul percorso perchè l’informazione di compressione, in una situazione in cui si riceve molta energia, produce tensione muscol4 carta geolog it s angeloare e disagio.
Per quanto riguarda la tipologia delle rocce che si possono vedere, la carta geologica d’Italia, foglio 183-184, dice: “tufi trachitici più o meno stratificati, comprensivi di vari orizzonti pomicei; strati di brecce piroclastiche, tufiti“. Queste rocce sono tutte vulcaniche e alla spettrometria manifestano una cospicua cessione di energia detta “emittanza”.
La sinergia tra i vari fattori descritti provoca una situazione in cui il substrato geologico è in forte emittanza, cioè cede molta energia, soprattutto nella banda dell’infrarosso medio e vicino; noi in questa “banda” elettromagnetica siamo delle buone emittenti, ma anche delle ottime riceventi, e rispetto al terreno subiamo le conseguenze del suo scambio energetico essendo i nostri corpi delle masse infinitesimali al paragone con le geomasse.
Quindi a Sant’Angelo ricevendo molto infrarosso e varie altre frequenze ci si sentirà pieni di vita e di energia, ma per qualcuno (gli ipertesi) questo potrebbe essere anche troppo.
Il percorso percettivo è descritto in salita, nel senso da Sant’Angelo a Serrara, e destra e sinistra si intendono sempre riferite alla direzione di chi sale. Anche le immagini che illustrano il percorso sono riprese in questo verso.
La spiegazione è suddivisa in tratti energeticamente omogenei e nei punti di percezione riportati nella scheda.
Le percezioni descritte sono mediate tra un picnico e un leptosomico, ma entrambi con tendenza all’ipotensione, per cui in alcuni casi chi ha la tendenza a essere iperteso potrebbe trovare qualche discordanza tra la sua percezione di benessere o malessere e quanto spiegato.

Punto A della scheda: partenza del percorso dallo spiazzo antistante il negozio “da Tina” o dal cortile di Casa Garibaldi.
Primo tratto: da Casa Garibaldi al primo cancello grande in ferro sulla sinistra.
5 geol percorso Lasciata dietro Casa Garibaldi si potrà già sentire la presenza di una spinta dal basso verso l’alto; oltrepassata Casa Caterina si procede bene senza fatica; questa situazione si mantiene uguale fino alle Case sul tornante. C’è molta energia nel terreno e arriva quasi tutta da sotto i piedi, la sensazione è quella di camminare sul coperchio di una pentola a pressione in pressione (le fumarole fanno venire in mente questo esempio pensando a quando la pentola a pressione fischia emettendo il vapore), la si può sentire soprattutto se si chiudono un attimo gli occhi.

Punto 1 della scheda: slargo davanti alla prima cabina dell’acquedotto.
Guardando la carta geologica dettagliata, messa a punto dal geologo Aniello Di Iorio per le sue interessanti escursioni geologiche di gruppo2, si vede che sulla destra vi è la faglia responsabile delle “fumarole” che ha la direzione di spinta verso ovest, cioè verso la sinistra di chi sale, e che anche dall’altra parte, sul versante sinistro, c’è una faglia perpendicolare al mare, chiamata Cava Ruffano, che, come le successive, spinge verso ovest; quindi sul sentiero ci si trova in un sistema di spinte tettoniche con direzione ovest che finisce a Capo Negro. Perpendicolare a queste faglie arriva da Citara una lunga faglia con la direzione di spinta principale verso nord-est. Nella carta la faglia finisce prima di attraversare il nostro sentiero, ma nella realtà lo attraversa perché ad un certo punto si passa proprio in corrispondenza della linea di faglia che si fa sentire eccome.
8 prima cabina acquedottoInfatti dopo la curva, dove sulla destra inizia la parete rocciosa, in corrispondenza del cancello che chiude la prima “cueva”3 sulla sinistra, ecco che si arriva in corrispondenza diretta con l’emissione della linea di faglia; in particolare si sente forte il disturbo geologico davanti alle “cuevas” sulla destra vicine alla prima cabina dell’acquedotto. La linea di faglia, sebbene distensiva, ha un’emissione troppo forte che contiene frequenze a noi nocive, quindi stare esattamente in sua corrispondenza provoca allarme e malessere, cioè il corpo ci avvisa di toglierci di lì.

Secondo tratto: dalla fine della cabina dell’acquedotto al successivo cancello sulla sinistra.
Il tratto di sentiero fino al successivo cancello sulla sinistra è disturbato e facilmente irrita l’intestino. La direzione di spinta da dietro e verso destra in questo tratto di sentiero si combina con quella verso sinistra creando una forte tensione che si percepisce come malessere. Chiudendo un attimo gli occhi ci si accorge di piegarsi un po’ o di aver deviato il passo un po’ verso sinistra, come se ci arrivasse del vento da est e subito dopo succede il contrario: è cambiato il “vento”.

Terzo tratto: dal cancello al cancelletto in legno e ferro sulla destra fino allo spiazzo erboso sulla sinistra.
La percezione cambia oltre il cancelletto di legno e ferro sulla destra dove si sta un po’ meglio ma si è in compressione, con la spinta energetica che arriva oltre che dal basso anche da sinistra verso destra, dovuta alla spinta della faglia appena attraversata. Se si prova ad ascoltarsi ci si può sentire un po’ agitati o affannati e il respiro si accorcia. Subito dopo si inizia anche a far fatica a salire e non si sta più bene. Si vede nel vigneto sulla sinistra un albero di fico che ha incrociato i rami a causa della doppia spinta sia da destra che da sinistra: siamo sul crinale creato da due distensioni che si toccano sollevando il terreno e si ha spinta da destra e spinta da sinistra e una spinta risultante che va verso l’alto.

Punto 2 della scheda: spiazzo erboso sulla sinistra e cancello azzurro sulla destra con vista sulla spiaggia dei Maronti.
Arrivati allo spiazzo erboso che si apre sulla sinistra si sta meglio poichè vi è solo la spinta dal cancello blu ok copiabasso verso l’alto. Si può approfittarne per una breve sosta a guardare il panorama verso i promontori di Chiarito e Capo Negro, qui ci si riposa ma non ci si ricarica molto. Poco più avanti, sulla destra c’è un cancello azzurro che porta all’orto di Casa Bella Vista; da questo cancello si vede la spiaggia dei Maronti e Barano, e guardando il panorama si è su un punto di massima emissione energetica con la spinta dal basso e da sinistra. Qui si sta molto bene, il respiro si allenta e ci si rilassa pur sentendosi pieni di energia: carica energetica assieme a rilassamento muscolare significano un grande benessere. Dopo pochi minuti in questo punto non si dovrebbero più percepire le eventuali tensioni o i “dolorini” alle varie parti del corpo.

Quarto tratto: da Casa Bella Vista all’albero di mirto.
Proseguendo e oltrepassando le case la situazione si mantiene molto buona fino all’albero di mirto che fa da “tetto” al sentiero.

Punto 3 della scheda: sotto l’albero di mirto.
9 mirto
qui in corrispondenza del cancello vi è un cospicuo scorrimento sotterraneo di acqua fredda che causa uno stress ai reni raggelando l’organismo. Neapprofittiamo per percepire la differenza tra la cessione di energia delle rocce e delle faglie e l’assorbimento di energia (infrarosso) da parte dell’acqua. Scorrendo in una frattura della roccia l’acqua occupa uno spazio ben delimitato in larghezza e per la vorticosità del suo moto emette verso l’alto un campo magnetico a bassissima intensità che a noi e a molti altri viventi risulta molto nocivo, come quello che si trova sopra un cavo dell’alta tensione interrato, perciò abbiamo un sistema di “allarme” nelle surrenali che ci avvisa di non fermarci (ecco spiegato in poche parole un tipo di rabdomanzia). Ma questa volta ci si fermerà un attimo, solo per provare come si sta: si avrà un immediato effetto negativo alla schiena e si potrà essere punti da zanzare anche a mezzogiorno! Guardando bene si vedrà che sotto le fronde di questo alberello vi sono sempre molti insetti che volano in cerchio per ricaricarsi con il campo emesso dall’acqua sotterranea in scorrimento: a loro fa bene.

Quinto tratto: dall’albero di mirto, oltre la seconda cabina dell’acquedotto fino al tornante.
Oltrepassata la “cueva” sulla sinistra, chiusa con i detriti, si sta molto meglio ma si può avvertire una leggera spinta che proviene di fronte e ostacola la salita. Poco più avanti il sentiero è un po’ franato e si ha ancora la percezione di una spinta contraria al senso di marcia alla quale si aggiunge una sensazione di movimento verso valle, come se il terreno scivolasse lentamente in giù, sensazione che rende instabile il passo. È più una “tendenza”, un’informazione, che un vero e proprio micromovimento franoso reale. Si potrebbe percepire un disturbo al secondo e al quarto centro energetico del corpo, dovuto a questa configurazione geologica.
Dopo la seconda cabina dell’acquedotto si sta un po’ meno bene e si può avvertire che si sta attraversando una faglia che è disposta perpendicolare al sentiero.

11 franaSuperato il tornante si arriva al punto dove spesso c’è una piccola frana che scende da sinistra: è come vedere quello da cui la percezione ci aveva già messo in guardia! “potrebbe venir giù una frana” è quindi il messaggio che era stato inviato, e decodificarlo permette di fare attenzione e – nell’eventualità – di non essere colti di sorpresa (ecco spiegata in modo semplificato la funzione atavica di questo tipo di percezione nelle persone). Sulla destra si vedono gli strati di trachite inclinati di quasi 45° contro chi sale.

Sesto tratto: dal tornante all’affaccio sul canyon.
Dopo il tornante c’è ancora una spinta contraria a chi sale, si è un po’ ostacolati, manca una solida base sotto i piedi e si comincia a non stare più tanto bene. Passata la curva si sente invece la spinta dietro le spalle, ma appena completato il tornante la spinta torna ad essere contraria a chi sale e continua così fino a dove ci si affaccia sul canyon e su Serrara con una vista impagabile.

Settimo tratto: dall’affaccio sul canyon, oltre la terza cabina dell’acquedotto, fino al “ponticello” di legno.
Quando la vista si apre sulle case di Serrara ci si può fermare ad osservare il canyon. Qui la spintapanorama sulle rocce tettonica proviene da davanti e da sinistra, cioè dal costone che sorregge Serrara che si vede davanti. Questo punto di osservazione permette di notare l’incredibile varietà di colori della roccia. Il costone sotto Serrara è composto di roccia mista, grigio-verde e color sabbia, mentre sulla parete del canyon la roccia è violacea, piena di cavità e senza strati orizzontali, che invece sono ben evidenti nella parte di costone color sabbia sotto Serrara. Fino alla terza cabina dell’acquedotto si cammina con la spinta contraria ma senza troppa fatica. Dalla cabina dell’acquedotto in avanti si ha compressione, la spinta proviene di fronte oltre che dal basso, e si sta peggio.

Punto 4 della scheda: “ponticello” in legno con vista sul mare.
Ci si ferma sul “ponticello” si è all’inizio di una piccola “cava”, cioè di un canyon minore originato da una piccola faglia distensiva che si immette in una più grande. Entrambe le faglie si gettano poi in quella principale che arriva al mare passando dal parcheggio comunale. Si ha la sensazione di pericolo di scivolare giù perché si è su detriti di frana. Il pino marittimo che vediamo ce lo dice chiaramente con la sua inclinazione, che è molto diversa da quella che potrebbe essere provocata dal vento.

Ottavo tratto: dal ”ponticello” alla serranda dell’ultima “cueva” sulla destra.
Proseguendo, la salita è più faticosa, si continua a non star bene e si accentua la percezione della spinta da monte a valle, contraria a chi sale. Poco oltre, dove il sentiero si apre a sinistra sul dirupo, vi è una spinta che proviene da destra che porta quindi verso il dirupo e provo18 panorama dall'altoca un minimo senso di pericolo causando lieve malessere. Si gode però di uno splendido panorama: girandosi indietro verso sinistra si vede la Torre di Sant’Angelo con il porto e la baia fino a Chiarito. Mentre si guarda, la schiena si tende e inconsapevolmente ci si sforza di fare appoggio con i piedi. Per guardare più tranquillamente il panorama occorre arrivare fino all’ingresso dell’ultima “cueva” poco più avanti.

Nono tratto: dall’ultima “cueva” al cancello della casa al civico 1 sulla destra.
Salendo si fa sempre più fatica finché si arriva alla prima casa sulla destra. La spinta viene da davanti e questo tratto di sentiero è in compressione. É il tratto peggiore come sensazioni, ma ormai si è a Serrara.
Arrivati al primo cancello sulla destra nella scalinata (n. civico 1) si potrebbe provare un lieve disturbo al secondo centro energetico del corpo ma si è già entrati in un tratto in distensione.

Decimo tratto: dal cancello della prima casa alla chiesa.
Da qui in poi si noterà che non si fa più alcuna fatica a salire, infatti la spinta proviene da dietro la e serrara aranceto limoneto in bassonostra schiena e ci aiuta.
All’altezza dell’aranceto-limoneto (sulla sinistra parecchio più in basso della strada) si sta bene, vi è una leggera spinta dal basso verso l’alto come ovunque, ma il rilascio di energia da parte del terreno è più dolce.
Poco lontano, in corrispondenza con l’inizio della faglia del Ruffano, il geologo Di Iorio indica un “centro di eruzione presunto”.
Salendo un altro po’ si arriva alla chiesa.

Punto 5 della scheda: nella chiesa, zona del pavimento con il decoro tondeggiante centrale.
entriamo nella chiesa e ci rendiamo conto che nel suo interno si sta lievemente peggio che fuori, la zona centrale all’altezza del decoro tondeggiante sul pavimento è su una frattura dislocata della roccia in corrispondenza della quale si sta decisamente male; inoltre, voltandosi per uscire si ha l’impressione di essere in discesa con una pendenza che alla fine va verso destra uscendo; si ha un senso di urgenza ad uscire e di nuovo la percezione dell’instabilità del suolo.

Punto B arrivo del percorso: belvedere del bar Floreana.bar Floreana copia
Oltrepassato l’antico Palazzo Iacono e l’arco della torre, si gira a sinistra e si arriva nella piazza del belvedere; si cammina ancora fino al bar “Floreana” dove gustando una meritata spremuta di agrumi dell’isola si gode del panorama ampio e bellissimo, ma anche di un intenso scambio energetico in distensione con un rilascio di energia ottimale. Si starebbe seduti al belvedere per delle ore!

panorama dal Floreana copiaIl percorso percettivo è concluso: è durato circa un’oretta o poco più, forse un po’ di più del solito perchè in certi tratti si è camminato lentamente e assorti per percepire meglio e in altri posti ci si è soffermati.
La stanchezza fisica è però subito recuperata con le vitamine della spremuta e il relax “energetico” al belvedere.

Per tornare si farà in discesa la stessa strada, frenando un po’ all’inizio e prestando attenzione19 arrivo a casa garibaldinei punti dove il terreno sembra sfuggire sotto i piedi.
Dopo il primo affaccio scendendo sulla destra la camminata diverrà più regolare. Sarà interessante notare dove si deve frenare per la presenza di una spinta a favore e dove invece, pur in discesa, ci si sente frenati da una spinta contraria.
Arrivati infine all’altezza di Casa Garibaldi si starà di nuovo molto bene e ci si potrà rilassare e riposare.
L’esperienza di questa piccola camminata in mezzo ai fiori con l’attenzione allo scambio energetico ci avrà stancato un po’, ma anche eccitato, e avremo molta voglia di raccontarla o di confrontarci con chi l’ha fatta con noi.
Sicuramente ci si sentirà più sereni e contenti, e questo è già una gran bella cosa!
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Note:

1 E. Murolo, citato in “S. Angelo d’Ischia, storia, immagini, poesie” ed. a cura della Nuova Associazione Amici di S. Angelo

2 CNR Progetto Finalizzato geodinamica, modello strutturale tridimensionale “Structural Model of Italy” scala 1:500000

3 “Ausfluge mit dem geologen Aniello Di Iorio” – www.eurogeopark.com

4 chiamo “cuevas”, per associazione con quelle spagnole, le cavità scavate nel tufo come deposito attrezzi, ripostigli e forse anticamente anche come abitazioni temporanee che si incontrano frequenti lungo il sentiero e in altri luoghi dell’isola.

ANALISI ENERGETICA DEL SITO, Capitolo II del testo universitario “Progettazione ecocompatibile dell’architettura”

Geobiofisica e Geobiologia — a cura dell’Istituto GEA, Geobiophysical Environmental Analysis[1] (testo, tabelle e illustrazioni di Pier Prospero, Marino Zeppa, Daniela Gabutti) —
Indice del Capitolo II del libro “Progettazione ecocompatibile dell’architettura” a cura di M. Grosso, G. Peretti, S. Piardi, G. Scudo – Sistemi editoriali – Esselibri Editore, NA 2005 (Libro di testo al Politecnico di Torino e al Politecnico di Milano) —

  1. l’analisi “energetica” di un sito ai fini del benessere abitativo
    1.1.   definizioni
    1.2.   scopi e utilizzi progettuali
  1. lo scambio energetico del territorio: la matrice energetica del sito
    2.1.   la spettrometria nella determinazione dei flussi energetici del terreno
    2.2.   la reazione delle persone alle diverse matrici energetiche
  1. le “zone di disturbo” nelle microaree
    3.1.   i fattori geologici all’origine delle “zone di disturbo”
    3.2.   i campi energetici reticolari e i loro “punti di alta intensità”
  1. le geopatologie
    4.1.   la diagnostica medica dei “carichi geopatici”
    4.2.   gli strumenti di analisi dei rischi geopatogeni del sito
  1. criteri di localizzazione in funzione dell’analisi energetica del sito
    5.1.   la mappatura dell’analisi energetica e il suo utilizzo progettuale
    5.2.   esempi applicativi
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ANALISI ENERGETICA DEL SITO

Istituto GEA, Geobiophysical Environmental Analysis (testi a cura di Pier Prospero, Marino Zeppa, Daniela Gabutti)

“a chi, uomo o donna, costruendo la sua casa non per un giorno
ma per sempre,
veda razze, ere, date, generazioni, il passato, il futuro abitare lì,
come lo spazio, insieme,
inseparabili.”                         
Walt Whitman

1.  L’ANALISI ENERGETICA DI UN SITO AI FINI DEL BENESSERE ABITATIVO

L’analisi energetica è un’indagine necessaria per eseguire l’analisi completa di un sito, assieme ad altre analisi ecologiche e biologiche riguardanti le varie forme di inquinamento, le emergenze naturalistiche, la situazione dell’esposizione solare e dei venti dominanti ecc..
Qui non significa l’analisi dei flussi energetici chimici o delle biomasse, ma è intesa come lo studio dei campi elettromagnetici presenti nell’area e della loro dinamica: quelli che sono emessi, quelli che sono assorbiti e quelli riflessi.
Non è possibile, infatti, descrivere la situazione di un sito trascurando gli scambi energetici poiché questi possono condizionare in modo rilevante la qualità e la fruibilità del sito stesso.
L’analisi energetica è quindi necessaria per esprimere la valutazione della qualità del sito, valutazione iniziale che è sempre richiesta negli interventi di architettura bioecologica/ bioarchitettura.
L’analisi energetica è inoltre necessaria per garantire il benessere abitativo e di questo si ha la certezza poiché uno studio medico scientifico ufficiale, pubblicato in Austria dal dott. prof. Otto Bergsmann, ha dimostrato la nocività dell’esposizione alle “zone di disturbo” dovute alla situazione energetica naturale in quanto porta all’alterazione della serotonina e della VES; le conclusioni di questo studio, intitolato “Risikofaktor”[2], indicano che tra i fattori di rischio per la salute presenti nell’abitare si deve aggiungere anche quello della eventuale posizione del letto su “zone di disturbo” dovute ad emissioni elettromagnetiche naturali. Le “zone di disturbo” sono quindi dei veri e propri fattori di rischio per la salute degli abitanti e perciò vanno evitate con una progettazione accorta che ne tenga conto.
Per mettere in atto questa progettazione consapevole i progettisti necessitano di conoscere l’esatta ubicazione delle “zone di disturbo” eventualmente presenti nel sito di progetto.
Di conseguenza, non essendovi strumentazioni scientifiche in grado di rilevare localmente alla piccola scala le eventuali “zone di disturbo” di origine naturale presenti in un terreno, si rende necessaria l’analisi geobiofisica del sito per individuare la situazione delle anomalie e delle discontinuità presenti nel campo energetico naturale locale con la sensibilità percettiva e la professionalità di un esperto.

1.1.     Definizioni
Si definisce “analisi energetica del sito” la procedura che comprende l’individuazione e la misurazione o la valutazione dei campi elettromagnetici naturali e dei campi elettromagnetici artificiali o “tecnici” presenti in una piccola porzione di territorio.
L’analisi energetica riguarda gli aspetti energetici del sito e si avvale di due indagini fondamentali, l’indagine geobiofisica[3] delle emissioni energetiche naturali e l’indagine strumentale delle emissioni energetiche artificiali, tecniche; ciascuna di queste analisi si compone di diverse misurazioni e rilevazioni atte a fornire la sintesi dello stato energetico del luogo indagato.
Per quanto riguarda le indagini tecniche la definizione è di immediata comprensione: si utilizzano gli strumenti più adatti a ciascun tipo di campo, elettrico, magnetico ed elettromagnetico, e si misurano le intensità di campo applicando le tecniche e le norme internazionali di buona misurazione.
L’indagine geobiofisica dei campi elettromagnetici naturali è svolta principalmente con il metodo percettivo, cioè utilizzando l’ipersensibilità ai campi energetici e la capacità professionale di distinguere la loro eventuale nocività, poiché si analizzano campi elettromagnetici non ancora misurabili strumentalmente e non si hanno a disposizione cartografie e indagini abbastanza dettagliate per l’utilizzo in una microarea quale un lotto edificabile per quel che riguarda l’analisi dei campi elettromagnetici naturali, delle loro variazioni e della dinamica del loro scambio.
Per questo, pur utilizzando anche tutti i supporti scientifici disponibili, si deve fare ancora riferimento alla individuazione e alla valutazione “soggettiva” di persone ipersensibili che siano allenate all’utilizzo e all’interpretazione delle loro percezioni rispetto ai luoghi.
Si tratta di persone che percepiscono “in tempo reale” di essere coinvolti dai diversi campi elettromagnetici e che, per aver ottenuto ripetuti riscontri, riescono a distinguere da che tipo di campo sono interessati, e se questo irraggiamento è nocivo.
Al momento non esistono apparecchiature elettroniche scientifiche in grado di rilevare tutti i campi elettromagnetici naturali; i campi emessi dagli scorrimenti di acqua sotterranea o dalle faglie e dislocazioni delle masse rocciose sono rilevabili alla spettrometria solo se dovuti a fenomeni di ingenti dimensioni e quindi solo nel macroterritorio.
Le modalità con cui l’analisi geobiofisica dei luoghi è condotta sono:
–  l’attenta perlustrazione del luogo, percorrendolo a piedi
–  l’individuazione di eventuali variazioni nelle percezioni del proprio corpo provocate dall’entrare in
contatto con “anomalie” nel campo energetico naturale del sito o con campi elettromagnetici naturali
disturbanti
–  l’utilizzo di bacchetta fissa, bacchetta elastica o pendolo come amplificatori dei movimenti
inconsapevoli ed evidenziatori dei segnali del corpo all’incorrere in zone di disturbo.

Le cosiddette “zone di disturbo” sono zone limitate dove lo scambio energetico del terreno ha delle
variazioni rispetto alla media locale che le rendono disomogenee.
L’emissione elettromagnetica interferisce con chi vi sosta per un certo periodo trasmettendo informazioni alle persone e agli altri viventi che si trovano esposti a questi campi. Al contrario di quanto succede per i campi tecnici, non l’eccessiva intensità del campo elettromagnetico ma proprio le informazioni da questo modulate sono la fonte dello stress dovuto all’interferenza energetica in quanto le persone reagiscono con una alterazione. Si tratta di informazioni relative a stati di tensione o di distensione, di dispersione o concentrazione, a stati di assorbimento energetico o a stati di cessione energetica, informazioni relative a frequenze di minerali e di metalli, di inquinanti di sintesi o organici presenti nei substrati o nell’acqua sotterranea ecc., informazioni che colpiscono anche la sfera emozionale e che sono colte e recepite in modo inconscio.

L’Istituto GEA da alcuni anni sta cercando di portare nell’ambito delle analisi percettive “soggettive”  il pensiero scientifico e le conoscenze scientifiche oggi disponibili, e sta facendo il possibile per portare queste analisi ambientali fuori dall’aura esoterica e magica in cui sono state confinate dai rabdomanti e dai radiestesisti, che incapaci di pensare a verifiche in cieco del loro operato, sono sempre stati propensi a all’approccio mistico o magico-esoterico allontanando dalla loro materia qualsiasi ricercatore scientifico. Noi ci proponiamo di divulgare una nuova scuola di pensiero che accolga in sinergia positiva sia la conoscenza scientifica, sia la percezione dei campi elettromagnetici deboli e la decodificazione delle informazioni contenute in questi campi da parte di alcune persone che hanno evoluto una loro dotazione genetica, perché questo costituisce una potenzialità a disposizione della nostra specie anche se la scienza ancora si rifiuta di occuparsene.
Ci proponiamo di conseguenza anche di introdurre una visione scientifica moderna e aperta nella parte percettiva della ricerca dei campi energetici naturali.
L’attività dell’Istituto GEA si colloca entro i presupposti del rispetto dell’equilibrio energetico dell’ambiente, perciò vediamo questi aspetti “soggettivi” dell’analisi energetica non diversamente da come si può vedere un’altra “arte scientifica”: cioè come un esercizio di autopercezione ed intuito finalizzato alla diagnosi del rapporto energetico col luogo in cui ci ritrova, basato su un bagaglio di conoscenze scientifiche e di esperienze, verificato con modalità “in cieco” ogni volta che è possibile.
Si è pensato di utilizzare il termine scientifico esistente “Geobiofisica” in un’accezione ristretta e particolare, legandolo al concetto di “analisi dell’ambiente” per denominare la parte dell’analisi energetica del sito che deve ancora essere svolta attraverso la percezione “soggettiva” dell’operatore. Di conseguenza proponiamo “analisi geobiofisica” come traduzione italiana corretta del tedesco “Geobiologie”.
Così nello statuto dell’Istituto GEA è stata formulata la seguente definizione di analisi geobiofisica dell’ambiente: “lo studio percettivo delle energie naturali presenti nell’ambiente, condotto da persone con formazione professionale tale da distinguere e classificare le percezioni indotte dagli scambi energetici presenti nell’ambiente

  TABELLA 1: COMPOSIZIONE DELL’ANALISI ENERGETICA DEL SITO

                                                                                    INDAGINE GEOBIOFISICA DEI CAMPI 

                                                                                    ELETTROMAGNETICI NATURALI

  ANALISI ENERGETICA DEL SITO =                                più

                                                                                    INDAGINE STRUMENTALE DEI CAMPI 

                                                                                    ELETTROMAGNETICI TECNICI

 

 

 

 

 

 

 

Inoltre lo statuto descrive l’analisi geobiofisica nei seguenti termini: “l’analisi geobiofisica è vista dall’Istituto GEA come un aspetto della ricerca scientifica che si fonda sia sulla base empirica di osservazioni sistematiche e non esclusivamente sulla misurazione e su analisi quantitative, e si esprime con la creazione di modelli coerenti, cioè con l’interconnessione dei dati osservati in una rete logica e coerente di concetti. …L’analisi geobiofisica nella pratica professionale dell’analisi energetica dei luoghi è intesa come “arte scientifica” e consiste nell’applicare l’analisi percettiva alla conformazione geologica dei substrati e agli stai energetici connessi;… l’analisi energetica dell’ambiente prevede l’utilizzo di tutte le strumentazioni tecnologiche disponibili ed anche della percezione umana consapevole per trarre tutte le informazioni necessarie sullo stato energetico dell’ambiente analizzato.”

1.2. Scopi e utilizzi progettuali

Le finalità dell’analisi energetica sono quelle di mettere i decisori in condizione di operare le loro scelte con una visione completa della situazione dell’ambiente analizzato, poiché senza la conoscenza della dinamica energetica non si possono capire del tutto i processi biologici ed ecologici, né alcune situazioni umane.
A livello di progettazione edilizia lo scopo principale dell’indagine energetica di un sito è quello di individuare e delimitare le eventuali  “zone di disturbo”, nelle quali la radiazione del substrato e la presenza di campi tecnici interferiscono con le persone.
Questa interferenza crea stress e quindi con una sosta prolungata e ripetuta si creano i presupposti per una possibile patologia attribuibile ad un’alterazione del sistema immunitario.
Perciò nella ricerca del benessere abitativo condotta dall’architettura bioecologica/bioarchitettura diventa necessario conoscere la situazione energetica del sito in modo da prendere le opportune decisioni progettuali.
L’analisi geobiofisica del sito ha una finalità simile, ma limitata all’elettromagnetismo naturale. Lo statuto dell’Istituto GEA descrive così gli scopi dell’analisi geobiofisica: “scopo generale dell’analisi geobiofisica è l’individuazione delle vocazioni territoriali, anche in aree ristrette di territorio, rispetto allo stato degli scambi energetici, alla conformazione geologica e alla situazione geofisica del territorio, cioè la verifica della compatibilità tra utilizzi insediativi e composizione energetica territoriale…scopo dell’analisi geobiofisica dell’ambiente è permettere l’individuazione di zone “neutre”, nelle quali la permanenza non alteri lo stato di benessere psicofisico, attraverso la valutazione – il più possibile obiettiva e generalizzabile – dello stress o della nocività ai quali si potrebbe essere esposti nel rimanere per un periodo di tempo in un dato luogo.”
L’individuare la vocazione territoriale dal punto di vista energetico potrebbe anzitutto aiutare la pianificazione urbanistica, aggiungendo una voce basilare ai vari aspetti con cui analizzare il territorio, comprenderne le vocazioni e deciderne l’utilizzo. Un contributo alla pianificazione che sebbene possa sembrare utopico è, invece, attualmente il più accettabile e fattibile, essendo possibile raccogliere informazioni cartografiche e strumentali sufficienti sullo scambio energetico del territorio solo alla scala della progettazione urbanistica. Le spettrometrie aeree e satellitari, le carte della situazione gravimetrica generale  (CNR “Progetto Finalizzato Geodinamica: Gravity Map of Italy”), le carte della situazione strutturale (CNR “Progetto Finalizzato Geodinamica: Structural Model of Italy”), le carte geologiche, permettono infatti un’analisi non troppo particolareggiata ma sufficiente per capire le dinamiche energetiche principali di un territorio, e quindi per inserire queste informazioni nella progettazione.

2.       LO SCAMBIO ENERGETICO DEL TERRITORIO: LA MATRICE ENERGETICA DEL SITO

Stabilito che “La gran parte della vita prospera tra 0,4 micron e 2,5 micron, tra 72000 calorie e 14000 calorie, un intervallo energetico composto dal Visibile (0,4 ¸ 0,7 micron) e dall’Infrarosso Vicino (0,7 ¸ 2,5 micron). Il fluire energetico della vita sulla Terra ha questi limiti. La Terra emette energia in atmosfera nell’Infrarosso Medio (10 micron e circa 9000 calorie) e respinge, con l’ozonosfera, la radiazione UltraVioletta  (0,25 ¸ 0,39 micron e un massimo di 95000 calorie). Ci sono altre “finestre” aperte che permettono entrate saltuarie di altra energia radiante (raggi cosmici, raggi gamma, raggi x, microonde, ecc.), sono però – e per fortuna – eventi saltuari: il treno della vita corre su altri binari… L’intervallo biocompatibile, formato dalla parte visibile ed infrarossa (dello spettro elettromagnetico) ha un contenuto energetico molto limitato, sia come estensione dei valori, sia come valore stesso dell’intensità [1] l’analisi energetica di un territorio si muove obbligatoriamente entro questi parametri di riferimento.
L’utilizzo progettuale dell’analisi energetica dell’ambiente non si limita alla dimensione urbanistica, ma interviene molto appropriatamente anche in aree piccolissime, dalla progettazione dell’edificazione di un singolo lotto, fino alla progettazione dell’arredamento delle stanze.
Nella prima fase della progettazione il progettista che dispone dell’analisi preliminare del sito, completa di analisi energetica, può verificare le ipotesi progettuali rispetto alla situazione del terreno ed eventualmente apportare le opportune modifiche o prevedere i necessari correttivi.
In questa fase iniziale l’analisi energetica fornirà informazioni su due aspetti importanti che non possono essere colti semplicemente recandosi sul sito di progetto: la dinamica prevalente dello scambio energetico del terreno, la presenza di disturbi elettromagnetici nell’area e una valutazione sui disturbi stessi corredata da una mappa, la “tavola delle zone di disturbo elettromagnetico”.
La conoscenza della dinamica dello scambio energetico permette di capire se si sta intervenendo in un’area che cede energia o che ne assorbe, e quanto incide la riflessione dell’energia ricevuta nel creare l’ambiente elettromagnetico naturale. Ad esempio, se si sta intervenendo in un’area di bassa pianura che un tempo era soggetta a esondazioni fluviali e che è costituita geologicamente di uno strato molto spesso di sedimenti alluvionali  i cui ciottoli sono in maggior parte calcarei, si avrà la netta prevalenza dell’assorbanza, cioè dell’assorbimento dell’energia ricevuta, inoltre sarà presente un valore di reflettanza per la riflessione prodotta dagli strati argillosi. In questa situazione il terreno sembrerà sempre freddo e umido e tale sarà anche al sensazione prevalente per gli abitanti. Per  progettare garantendo il benessere abitativo sarà meglio utilizzare materiali e colori “caldi”, si potrà studiare un sistema di riscaldamento veramente efficace e biologico, si cercherà di sfruttare al massimo l’orientamento per catturare più energia solare possibile, si farà attenzione ad allontanare l’ombreggiatura da parte di piante d’alto fusto, evitando i sempreverdi, e a prevedere tutto ciò che è utile in questo senso. Tenendo conto di questi fattori si potrà dar luogo ad una progettazione realmente bioecologica, nel senso che così sarà tenuto nel debito conto anche l’aspetto biologico del benessere abitativo, oltre all’aspetto dell’ecologicità.
Di fatto, solo questo tipo, più olistico, di architettura meriterebbe il nome di “architettura bioecologica” o di “bioarchitettura”.
Ogni territorio ha una sua tipologia di scambio energetico che ne definisce la “matrice energetica”.
Le zone neutre, non interessate da campi elettromagnetici disturbanti, avranno il tenore energetico definito dalla matrice energetica del terreno.
Riguardo al tenore energetico del terreno e alla sua matrice energetica, nelle zone neutre del sito di progetto si potrà trovare una delle seguenti situazioni-tipo:

1)  Tenore energetico “basso” = terreno ubicato su sedimenti alluvionali di notevole spessore senza influenza da parte di faglie (bassa pianura). La matrice energetica è la forte assorbanza a causa dello spessore dei sedimenti e dei ripetuti strati acquiferi in essi contenuti. La cessione energetica è data solo dalla reflettanza e da un minimo di emittanza presenti a causa delle argille e delle sabbie quarzifere.

2) Tenore energetico del sito “medio-basso” = terreno ubicato nell’ambito di una depressione del fondo roccioso, riempita dai sedimenti. Privo di influenza da parte di faglie. La matrice energetica è l’assorbanza a causa dei sedimenti e dello strato acquifero in essi contenuto. L’area è a prevalenza di assorbimento energetico (assorbanza) lievemente contrastato dalla reflettanza e da un minimo di emittanza presenti a causa delle argille.

3) Tenore energetico del sito “medio” = terreno ubicato nell’ambito di una depressione del fondo roccioso, riempita dai sedimenti ciottolosi. Senza influenza da parte di faglie ma privo anche di strati acquiferi profondi. La matrice energetica è data dall’assorbanza se la natura dei sedimenti è calcarea, dall’emittanza se la natura dei ciottoli è granitica o comunque vulcanica (basalti, porfidi etc.); vi è un minimo di  reflettanza e di emittanza a causa delle sabbie.

4)  Il tenore energetico “medio-alto” = terreno ubicato nell’ambito di influenza di una faglia distensiva di cui si percepisce il rilascio energetico; strati acquiferi e strati di argille attenuano i campi elettromagnetici naturali rilasciati dal sistema distensivo. La matrice energetica dell’area è la prevalenza di emittanza, lievemente incrementata dalla reflettanza (presente a causa delle argille) e parzialmente compensata dall’assorbanza dovuta ai sedimenti e all’acqua sotterranea. L’intera zona è interessata da un lieve campo, piuttosto uniforme, di emissione energetica prodotto dalle caratteristiche geologiche presenti.

5) Tenore energetico “alto” = terreno situato nell’ambito di influenza di una faglia compressiva (inversa). La matrice energetica dell’area è la prevalenza di emittanza, non compensata dall’assorbanza e dalla reflettanza: la roccia  sedimentaria assieme agli strati superficiali produce assorbanza, mentre la reflettanza molto debole è dovuta alla presenza di limo argilloso nel suolo; l’emittanza è dovuta al sistema di faglie. L’intera zona è interessata da un campo, piuttosto uniforme, di emissione energetica prodotto dalle caratteristiche geologiche di compressione.  L’informazione emessa dal terreno è di compressione.

6)  Tenore energetico “molto alto” = terreno situato in corrispondenza di una faglia compressiva (inversa o trascorrente), o di una struttura a “reggipoggio”. Netta prevalenza di emissione energetica, non compensata dall’assorbanza e dalla reflettanza; l’intera zona è interessata da un campo, molto forte, di emissione energetica prodotto dalle caratteristiche geologiche di compressione e spinta. .  L’informazione emessa dal terreno è di compressione che in genere costituisce uno stimolo fin troppo forte, adrenalinico, e mette in tensione i muscoli e il connettivo. Si può rendere cosciente la sensazione provata in questi luoghi mantenendo per qualche minuto una posizione di compressione o di tensione energetica. La matrice energetica è l’emittanza forte e concentrata.

7)  Tenore energetico “molto alto” = terreno situato in diretta corrispondenza di una faglia distensiva (diretta) o di un sistema di più faglie dirette. Prevalenza di emissione energetica, non compensata dall’assorbanza e dalla reflettanza; l’intera zona è interessata da un campo, piuttosto uniforme, di emissione energetica prodotto dalle caratteristiche geologiche di distensione. L’informazione è di distensione che in genere fornisce uno stimolo non molto evidente poiché associa la cessione di energia con l’abbassamento delle tensioni. Si può rendere cosciente la sensazione provata restando per qualche minuto in una posizione di lieve estensione. La matrice energetica è l’emittanza lieve e diffusa.

Se alla situazione in cui è presente l’influenza energetica di una faglia si somma l’energia emessa da una zona vulcanica si possono avere delle zone con tenori energetici estremamente elevati.
A ciascuna di queste situazioni geofisiche ogni persona reagisce energeticamente, in modo più o meno forte, seguendo il suo bisogno energetico. Alcune aree risultano gradite a quasi tutte le persone e sono tipicamente aree di cessione energetica mite ed equilibrata in cui le informazioni che arrivano sono di distensione.
Altre zone sono invece fortemente disturbanti per tutti come le torbiere bonificate o le zone di intersecazione tra faglie dirette e faglie inverse. Alcune aree sono problematiche perché cedono troppa energia e scatenano sensazioni di “timor panico”; alcune di queste sono utilizzabili solo per brevi periodi o dalle poche persone che ne sanno sfruttare le caratteristiche senza subirne le conseguenze e vi si trovano spesso costruzioni sacre, ma non villaggi.
Se prevale la dinamica compressiva si ha un notevole apporto di energia, ma vi è la condizione per incorrere in lievi contrazioni, cioè vi è il rischio di rimanere con la muscolatura e il tessuto connettivo lievemente contratti.
Se prevale invece la dinamica distensiva si ha un notevole apporto di benessere poiché vi è la condizione per utilizzare l’energia presente senza incorrere in contrazioni, cioè rimanendo con la muscolatura e il tessuto connettivo rilassati.
A seconda delle situazioni, per la stessa persona queste diverse informazioni possono essere utili o nocive, ma in genere si percepiscono come gradevoli le compressioni e le distensioni lievi e compensate. Gli estremi sono sempre critici e nel lungo periodo possono compromettere la salute psicofisica, quindi si percepiscono come fonti di allarme e di agitazione.
In assenza di cessione di energia da faglie si possono avere terreni “neutri” abbastanza apprezzati da tutte le tipologie di persone. Sono terreni i cui strati di sedimenti sono composti di ciottoli e sabbie, con poca argilla e poca, o per niente, acqua.
Se il substrato è ricco di acque e argille, o se le acque sotterranee sono molto inquinate da carico organico, si possono avere invece terreni che stancano o deprimono.

TABELLA 2:
TIPOLOGIE DI MATRICE ENERGETICA DEL SITO LIMITATAMENTE ALLO SCAMBIO NELL’INFRAROSSO

MATRICE ENERGETICA

GEOLOGIA

 IDROGEOLOGIA

 REFLETTANZA

TIPO ADATTO

         

Forte Assorbanza

Sedimenti organici decomposti; calcari e rocce sedimentarie

Acquiferi con ciottoli calcarei o ghiaie calcaree

Non significativa

molto yang iperteso grave

molto agitato

Assorbanza

Ghiaie o sabbie intercalate da limi e argille; spessi strati argillosi

Acquiferi calcarei; acquiferi sabbiosi

Significativa

Yang

Iperteso

Agitato

Neutra

Strati di sabbia e ghiaia a ciottoli misti (ad es. calcarei, basaltici e porfirici); mancanza di argille e limi

Mancanza di acquiferi

Non significativa

Yin e Yang

Ipoteso e iperteso

tranquillo

Emittanza

Faglie di pianura; sistemi a “reggi-poggio”; spessi strati argillosi

Scorrimenti di acqua sotterranea confinati in paleoalvei; mancanza di acquiferi continui

Significativa

Yin

Ipoteso

Rallentato

Forte Emittanza

Rocce di origine  vulcanica; sistemi vulcanici; faglie di montagna o collina; assenza di sedimenti

Acquiferi termali;

scorrimenti di acqua sotterranea confinati nella roccia

Non significativa

molto yin

ipoteso grave

molto rallentato

 

 

 

 

 

 

2.1. La spettrometria nella determinazione dei flussi energetici del terreno
spettrometria si ottiene irradiando un materiale con alcune delle frequenze dello spettro elettromagnetico, e nel caso della spettrometria “a larga banda” quelle comprese nell’intervallo biocompatibile da 400 nanometri (UVA) a 2500 nanometri (NIR).

Alcune di queste frequenze saranno assorbite, altre saranno riflesse in diversi gradi. Il grado di riflessione, cioè la capacità riflettente del materiale, per ogni lunghezza d’onda è definito “reflettanza”. Il grado di assorbimento per ogni lunghezza d’onda è definito “assorbanza”.
Le spettrometrie analizzano il grado di riflessione delle frequenze irradiate, per cui si ottiene un grafico con la percentuale di riflettanza sull’asse Y e con la lunghezza d’onda irradiata sull’asse X.
Dove la riflettanza è minore si parla di “assorbimenti” ed è in questi punti che il materiale scambia energia con l’esterno. L’andamento della reflettanza è una curva che presenta delle discontinuità in corrispondenza di questi assorbimenti. Gli assorbimenti sono dovuti alla vibrazione di molecole o composti di molecole come ferro, acqua, ossidrile, carbonati, ecc.
Con la spettrometria si analizza il comportamento energetico del materiale in esame quando è sollecitato dalle radiazioni elettromagnetiche dell’infrarosso o dell’intervallo biocompatibile.
In questo senso la spettrometria è per i materiali quello che la lettura dei blocchi energetici con la caratteriologia neoreichiana (Analisi Bioenergetica) è per le persone. Infatti, sullo stesso intervallo biocompatibile preso in esame, le persone reagiscono energeticamente secondo gruppi base di reazioni simili a quelli riscontrati nei materiali[1].
figura 1

Nell’analisi energetica del territorio si procede a spettrometrie aeree o satellitari che sono rese come fotografie in cui i colori sono attribuiti artificialmente e corrispondono ciascuno ad una lunghezza d’onda. Con queste immagini si vede la presenza di acqua sotterranea, ma la “visione” si ferma al primo strato acquifero presente, che spesso è il meno significativo per motivi di scarsità di portata e di inquinamento dell’acqua contenuta. Dove mancano strati acquiferi continui superficiali è possibile vedere i tracciati dell’acqua che scorre nella roccia. La presenza e la quantità di acqua negli strati acquiferi superficiali varia con la piovosità e con le stagioni per cui la stessa area ripresa in diversi periodi dell’anno fornisce un’immagine spettrometrica diversa.
Da questa cartografia possiamo vedere sia la dinamica dello scambio energetico dell’area, sia la presenza di faglie e di ingenti scorrimenti di acqua sotterranea.
Con i satelliti è stato possibile avere immagini spettrometriche di tutto il pianeta, anche se non sono così facilmente reperibili, ma la loro scala fa sì che possano essere utili solo per le scelte di pianificazione urbanistica sovracomunale. La spettrometria aerea fornisce immagini di aree più piccole e quindi è più dettagliata, inoltre può essere facilmente commissionata a istituti specializzati. Nella pianificazione si potrebbe già utilizzare la serie di immagini che interessa l’area di intervento. Queste immagini descrivono la situazione energetica del terreno e da questi dati si può desumere la matrice energetica dell’area e anche diversificarla per sotto aree abbastanza piccole.
La spettrometria non è utile invece per l’individuazione delle zone di disturbo alla scala della singola abitazione. Se facciamo la spettrometria di un’abitazione otteniamo infatti solo un interessante esame delle sue dispersioni termiche.

2.2. La reazione delle persone alle diverse matrici energetiche
L’ambiente culturale degli scettici organizzati continua a diffondere l’idea che non sia possibile percepire rendendosene conto i campi elettromagnetici alle varie frequenze, escluse quelle del visibile, e che quindi – per principio – qualsiasi argomentazione si basi su questa percezione consapevole è solo frutto di ciarlataneria. Disponendo i circoli scettici di grandi mezzi e di vaste possibilità di comunicare a livello di massa le loro idee, molti progettisti di architettura bioecologica/bioarchitettura ne sono influenzati e, pur lavorando ad un progetto bioecocompatibile non richiedono l’analisi energetica del sito pensando che non si tratti di cose “serie”. Questi progettisti si confrontano con l’analisi energetica del sito solo se il committente richiede questa analisi commissionandola direttamente ad un esperto di sua fiducia, spesso senza nemmeno interessare lo studio di progettazione che la riceve di malumore come un problema in più, invece che come un aiuto alle scelte progettuali.
In realtà si tratta di cose molto “serie” di cui la scienza si è occupata ripetutamente e in cui ha ottenuto delle risposte interessanti, anche se per noi ancora incomplete. Sono i circoli scettici che ignorano l’esistenza di questi studi scientifici, o hanno non si sa quale interesse a convincere la gente che questi studi non esistono e a terrorizzare i ricercatori delle università perché non si avvicinino a questa materia. Presentiamo alcuni supporti scientifici alla nostra affermazione che si possano percepire i campi elettromagnetici in modo cosciente e che si riesca anche a decifrarne l’intensità e le informazioni. Le materie in questione sono l’elettrobiologia e la magnetobiologia; ci soffermiamo su quest’ultima[1] perché gli effetti del campo elettrico sono più riconoscibili per varie fenomenologie evidenti tra le quali la contrattura del sistema muscolare e del connettivo.
Bistolfi, docente di radiologia e radiobiologia  dell’Università di Genova, in uno dei rari testi italiani in materia[2] riporta alcune classificazioni degli effetti e del tipo di interazioni fra materia vivente e campi magnetici oscillanti a frequenze estremamente basse.
Per quanto riguarda gli effetti magneto-meccanici, da quelli relativamente macroscopici (orientamento di cellule) sino a quelli ultra microscopici (orientamento dei momenti magnetici di spin protonici), si sottolinea l’importanza biologica della forza di orientamento e spostamento dei campi magnetici e al contempo mettere in rilievo che i campi magnetici, anche se sono “non ionizzanti”, hanno bersagli di interazione così numerosi e importanti da giustificare una seria impostazione della Magnetobiologia come disciplina scientifica[3].
Piccardi, e in seguito anche Markov, hanno provato che l’acqua è un possibile intermediario poiché tra i 35° e i 40°C risulta estremamente sensibile alle variazioni elettromagnetiche. Infatti l’acqua presenta nei biosistemi un’organizzazione strutturale polimerica; costituisce cioè un dipolo permanente con legami covalenti e legami idrogeno in particolari rapporti spaziali, quasi cristallini.
Anche i sistemi biologici sono generatori di oscillazioni elettromagnetiche che emettono in un ampio spettro, emissione che ha consentito da parte della moderna elettronica biomedica lo sviluppo di tecniche diagnostiche non invasive: termografia all’infrarosso, radiometria e termografia a microonde, rilievo biomagnetico SQUID (Super Conducting Quantum lnterterence Device) di segnali ELF cerebrali e cardiaci. “Effetti di risonanza possono quindi manifestarsi nei sistemi biologici, in tutta l’ampiezza dello spettro, ogni qualvolta vi sia coerenza tra gli impulsi incidenti e la situazione informazionale del sistema stesso. Per comprendere la possibilità di tale risonanza occorre ricordare che le onde usate nelle frequenze non ionizzanti e non ipertermizzanti  sono onde modulate. Ciò significa che l’onda sinusoidale originale è trasformata in onda periodica (a modulazione di ampiezza o di frequenza) e che, come tale, agisce da onda vettrice di segnali opportunamente codificati. Sull’altro versante del problema sta il sistema biologico, che riceve queste informazioni sotto forma di segnali modulati e che potrà rispondere a questo stimolo più o meno intensamente a seconda di molteplici condizioni. Considerazione del resto valida anche per altri tipi di messaggi interagenti con un organismo vivente, dal messaggio chimico di un farmaco sino al messaggio di cronaca relativo a un evento catastrofico, indifferente per molte persone ma drammatico per altri.[4]
Inoltre è stato dimostrato da innumerevoli lavori che le variazioni periodiche del campo magnetico terrestre, causate da più fenomeni[5], influiscono sugli esseri viventi in modo più o meno evidente e anche il genere umano è stato ultimamente inserito nella lista degli animali sensibili alle influenze del campo magnetico terrestre.
Per quel che riguarda la consapevolezza della percezione di campi elettromagnetici naturali o di loro variazioni vi sono importanti studi sulla capacità di percepire la presenza di acqua  nel sottosuolo. La rabdomanzia[6], così è definito questo fenomeno, sembra sia dovuta a reazioni organiche che verrebbero tradotte in alterazioni del tono muscolare. In alcuni famosi rabdomanti (Capineri, Desbusquoit, Von Pohl e altri) le reazioni erano diverse: senso di malessere, vertigini abbassamento della voce, ecc. e derivavano da un’alterazione complessiva del tono energetico.
Gli ultimi studi statistici sulla rabdomanzia hanno dimostrato che si tratta di un fenomeno reale. Gli stessi studi hanno anche tolto i residui dubbi, tuttora proposti dalla stampa scettica, sul fatto che la capacità rabdomantica non derivi dall’osservazione del terreno (segni dati dalla vegetazione o altro) ma dalla percezione di un debole campo energetico emesso dall’acqua sotterranea, soprattutto se è in scorrimento veloce[7]. Lo studio “Unkonventionelle Wasserprospektion”[8] con dieci anni di indagini in zone aride ha dimostrato inoppugnabilmente la realtà obiettiva del fenomeno della rabdomanzia. Anche se lo studio è stato oggetto di molti attacchi nessuno è riuscito a metterne in crisi né gli assunti né la metodologia.
Yves Rocard, professore di meccanica razionale a l’Ecole Polytechnique di Parigi descrive varie esperienze che provano la possibilità del rabdomante (e in alcuni casi anche di persone comuni) di reagire ad anomalie magnetiche tecniche estremamente deboli: fino a pochi “nanoTesla”[9].
Harvalik tende a spiegare la rabdomanzia tramite una reazione organica alle anomalie magnetiche. I reni sembrerebbero gli organi sede di questa magneto-sensibilità, tanto che, schermandoli, tale facoltà verrebbe a mancare riducendo così notevolmente la capacità di percezione[10].
Altri lavori che hanno dato risultati positivi sono stati condotti da Angelo Drigo, fisico dell’Università di Ferrara[11]. Come si vede non si tratta per niente di “fantasie di ciarlatani”.
Nella progettazione occorre stare il più lontano possibile dalle scivolate esoteriche, ma succede che proprio i progettisti che normalmente escludono l’analisi geobiofisica del sito dalla loro prassi progettuale, dovendosi confrontare con l’analisi energetica fatta eseguire direttamente dal committente, non siano in grado di distinguere un’impostazione esoterica da un’impostazione professionale e così accettino tutto quello che si trovano sul tavolo, compreso il parere di sedicenti esperti che gli consigliano la “schermatura” di tutta l’area dello scavo con stuoie di vari materiali (spesso sughero e reticolo di rame o simili) per “risolvere a monte” la problematica delle eventuali zone di disturbo, pur di non modificare il progetto. Peccato che queste stuoie non possano, per le leggi della fisica,  avere alcun effetto schermante sulle componenti magnetiche dei campi generati dalla situazione geologica e idrogeologica. Lasciando perdere i supporti, come il sughero, che sono completamente trasparenti ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, nemmeno i più fitti reticoli di metalli superconduttori, con la maglia di un micron, hanno alcun effetto schermante su questi campi naturali. Sarebbe meglio per questi progettisti ricorrere più spesso all’analisi energetica del sito di progetto, mantenendo pure una posizione molto critica con cui vagliare gli esperti e le loro proposte alla luce delle conoscenze scientifiche.

Le vocazioni territoriali in ambito energetico:
già la sola dinamica energetica del territorio è in grado di dire molte cose al progettista: dallo stato del rischio sismico alla quantità di energia scaricata lentamente e costantemente dalle masse rocciose in tensione o in distensione, dall’assorbimento di energia da parte dei substrati alla maggiore o minore “gradevolezza” dell’abitare su un terreno, dalla scelta delle zone da dedicare ad attività produttive alla scelta della localizzazione di alcuni particolari “sistemi abitativi” come le case di cura e di riposo, gli ospedali, gli asili-nido, cioè all’individuazione della vocazione territoriale rispetto allo scambio energetico.
Dello spettro dall’infrarosso all’ultravioletto ci influenza soprattutto l’infrarosso essendo il range caratteristico dello scambio energetico dell’acqua, così la maggior parte delle persone percepiscono come “gradevoli” dei terreni che per motivi geologici emettono maggiore quantità di infrarossi della media (ad es. le zone vulcaniche) e come “sgradevoli” terreni che essendo intrisi d’acqua e di sedimenti organici in decomposizione assorbono moltissimo (ad es. le paludi o le torbiere).
Volendo mettere al primo posto il benessere abitativo, come fa l’architettura bioecologica/bioarchitettura, non bisognerebbe progettare zone residenziali in aree che risultino energeticamente “sgradite” alla maggior parte delle persone. Questo disincentivo andrebbe inoltre a rafforzare le scelte ecologiche per cui le paludi e le torbiere sono ecosistemi utili alla biodiversità e sempre più rari, quindi vanno conservate e protette, non bonificate ed edificate.
Roberto Chiari, geologo e professore di petrologia all’Università di Parma, spiega molto efficacemente in cosa consiste la vocazione territoriale in ambito energetico: “L’individuazione della vocazione territoriale a livello energetico consiste nell’analizzare la compatibilità tra utilizzo insediativo e composizione energetica territoriale; questo significa discernere cosa si può fare bene o molto bene in un determinato tipo di territorio e cosa si fa invece con fatica. L’individuazione della vocazione territoriale permette la razionalizzazione dell’uso del territorio disponibile attraverso la compenetrazione tra vocazioni energetiche territoriali e strutture relazionali umane, stante che ciascuna struttura relazionale umana può avvantaggiarsi in certi territori e non in altri, poiché esiste un impiego del territorio “intrinseco” al territorio stesso e forzandone l’uso in altre direzioni si produce un uso di risorse inappropriato, costoso in termini energetici ed in qualche caso dannoso (ad esempio: dei cardiopatici che vanno ad abitare in zone sismicamente attive, degli ipotesi che vanno a vivere in zone in cui energeticamente prevale l’assorbanza,  edifici per gli anziani costruiti in zone di forte emissione, etc.).[12]
Con questa correlazione tra l’energia del territorio e le sensazioni di benessere o malessere dominanti tra gli abitanti (sebbene per lo più inconsce) ci si spiega anche perché  alcune zone ritenute a ragione molto pericolose siano così densamente popolate, un esempio per tutti: la densità abitativa nell’area del Vesuvio, un vulcano di tipo esplosivo!
Le aree “neutre” possono essere aree ottimali se hanno la caratteristica di non intervenire sull’equilibrio dell’organismo pur tendendo a dare energia. In questo caso sono vissute bene da tutti, pur diversificandosi comunque le reazioni delle varie tipologie caratteriali alla permanenza nel lungo periodo. Oppure le aree “neutre” possono essere comunque lievemente disturbanti per la tendenza a squilibrare l’organismo verso l’accumulo di energia o verso la dispersione di energia.
Nel caso dell’accumulo sono vissute meglio da persone ipotese o tendenzialmente ipotese, scariche, con corporatura e dinamica energetica personale di tipo “yin” in cui la carica energetica è sempre bassa e non trova sufficienti fonti per una naturale ricarica. Non sono invece molto adatte a persone ipertese di tipo marcatamente “yang” in cui la carica energetica è già alta e tende a caricarsi ulteriormente. Nel caso della dispersione le zone “neutre” sono vissute meglio da persone ipertese o tendenzialmente ipertese, cariche, con corporatura e dinamica energetica personale di tipo “yang” in cui la carica energetica è sempre alta e non trova sufficienti sbocchi per una scarica naturale. Non sono invece molto adatte a persone ipotese di tipo marcatamente “yin” in cui la carica energetica è già bassa e tende a scaricarsi ulteriormente.

TABELLA 3:
REAZIONE DELLE PERSONE ALLA MATRICE ENERGETICA DI UN TERRENO

REAZIONE PERSONA

TIPO DI MATRICE TERRENO/BISOGNI ENERGETICI

   

positiva

la matrice energetica del terreno soddisfa i bisogni energetici della persona

neutra

  la matrice energetica del terreno non è in grado di apportare sufficienti informazioni alla persona per suscitare una reazione

negativa

 la matrice energetica del terreno si scontra con i bisogni energetici della persona  o aggrava la patologia della persona

 3. LE ZONE DI DISTURBO NELLE MICROAREE

In ogni unità geomorfologica è presente un’emissione di fondo dovuta al tipo di materiali che compongono i substrati. Questi possiedono tre possibilità di scambio energetico: l’assorbimento dell’energia ricevuta dall’esterno (assorbanza); la riflessione e rifrazione della radiazione ricevuta (reflettanza); l’emissione di una propria radiazione energetica verso l’esterno (emittanza).
Lo scambio energetico naturale del territorio è in grado di interferire sul benessere e sulla salute di  tutte le persone: alcune aree hanno uno scambio energetico favorevole alla vita umana, altre non influiscono, altre hanno uno scambio energetico più o meno sfavorevole alla salute umana.
Alla scala della singola abitazione a questo dato energetico generale si sommano le zone di disturbo di dimensioni limitate, in cui sono presenti ulteriori campi elettromagnetici naturali nocivi provocati da anomalie geologiche e dalla situazione idrogeologica, inoltre vi sono i punti di alta intensità dei campi energetici reticolari.
Oltre alle zone di disturbo dovute a campi energetici naturali vi sono anche le aree interessate dalla presenza, ad un’intensità considerata pericolosa, di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici tecnici dovuti all’utilizzo, al trasporto e alla trasformazione dell’energia elettrica o alla trasmissione di informazioni.
Secondo noi la prevalenza di assorbanza o di emittanza, o l’eccesso di reflettanza, di un terreno incidono sul benessere, come afferma anche il professor Chiari, in senso lato: in una data area caratterizzata da forte emittanza tutti gli ipertesi staranno peggio e tutti i sofferenti di cuore e di malattie circolatorie rischieranno di più.
Le microzone di disturbo locali incidono invece sulla salute a livello individuale, in modo diretto, comportandosi come irradiazioni circoscritte e vi incidono in modo puntuale: solo su chi è esposto e solo sugli organi esposti. Perciò qualunque sia la tipologia di scambio energetico dell’area l’esposizione alle zone di disturbo costituisce un fattore di rischio in più per qualsiasi persona.
Ci si deve chiedere anzitutto se è provato scientificamente che esista veramente un problema di salute dovuto all’elettromagnetismo naturale. Noi siamo sicuri di questo dal momento che abbiamo a disposizione la traduzione dello studio scientifico, non confutato, intitolato “Fattore di rischio del sito, ricerca scientifica sul problema dell’influsso dei siti sugli esseri umani”, commissionato per verificare se davvero insorgono alterazioni alla salute con la permanenza in zone considerate “di disturbo” rilevate con indagini geobiofisiche. Questo studio, condotto dal prof. Otto Bergsmann, è molto importante poiché ha dimostrato, contro lo scetticismo iniziale dei suoi committenti pubblici, che con la permanenza in queste zone di disturbo avviene una reale variazione dello stato ormonale (serotonina) e di altri parametri che coinvolgono lo stato di salute come la VES. Nello studio sono stati analizzati 24 parametri biologici su 985 persone con 6943 esami, quindi sono state rispettate le normali caratteristiche delle ricerche mediche.
Le conclusioni cui giunge lo studio sono per noi i più validi supporti scientifici alla nostra convinzione che sia necessario non permanere ripetutamente, almeno dormendo, in zone in cui vi siano caratteristiche energetiche disturbanti:
“ … In questo caso su 24 parametri o fenomeni analizzati, in 12 si era riscontrato un influsso molto significativo dovuto al luogo sul comportamento della regolazione, in 5 una tendenza, in 6 nessun influsso.  Per come è strutturata la nostra ricerca, la variazione di un solo parametro sarebbe già una prova dell’effetto del sito… L’effetto dei fattori ambientali sui sistemi di regolazione dell’organismo umano è senza dubbio suffragato da questo fatto… Se i risultati della ricerca sono catalogati e valutati in base alla significatività biometrica sono in posizione di primo piano il comportamento della Serotonina e della VES… La Serotonina si riduce nella zona di disturbo ed il suo precursore metabolico, il triptofano, si alza tendenzialmente. Questo può essere interpretato come un processo di compensazione… La serotonina è da un lato il neurotrasmettitore del sistema parasimpatico, che ha il compito di predisporre l’energia. D’altro lato, in questa sua caratteristica ha un effetto tranquillante per cui viene anche definita come un “sonnifero”. Dalle nostre ricerche non è possibile cogliere come e perché si arriva ad una riduzione della Serotonina. Bisogna prendere atto del risultato come di un fatto. Bisogna però anche tener presente che alcuni sintomi di eccitazione attribuiti all’effetto del sito, quali per es. insonnia, nervosismo, ecc. possono essere attribuiti alla carenza di Serotonina… l’iperattività è presente in caso di carenza di Serotonina … L’effetto del sito non dà luogo ad un processo che conduce inevitabilmente alla malattia. È piuttosto un fattore di rischio, il quale può intensificare l’effetto di diversi fattori patogeni… solo nell’interazione con questi altri fattori, il fattore di rischio dovuto al luogo può acquisire un’importanza patogena. … È certo che una delle misure (di prevenzione) più importanti è realizzare una condotta di vita flessibile con cui evitare da un lato lo stress prolungato dovuto alla permanenza in una zona perturbata e dall’altro lato ridurre i disturbi vegetativi. … Risulta quale conseguenza logica che il cambiamento del sito non può sostituire la terapia medica, ma può tuttavia essere di sostegno alla terapia medica.”[1]
Il secondo tipo di zona di disturbo da prendere in considerazione è quello originato da campi tecnici. Anche l’analisi della situazione del sito dal punto di vista della presenza e dell’intensità di eventuali campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici tecnici dovuti al trasporto e all’utilizzo dell’energia elettrica è indispensabile per ottenere l’analisi energetica del sito. Quest’analisi avviene sia con la ricerca visiva per l’individuazione di fonti che possono essere situate nei pressi del sito quali elettrodotti, cabine di trasformazione, centrali di rialzo, sia con la misura strumentale dei valori di intensità di campo.
La natura del campo magnetico emesso dalla corrente elettrica alternata è tale per cui i normali materiali edili non sono in grado di schermare le case dalla sua penetrazione (è in commercio una speciale lega metallica che scherma oltre il 90% di questo campo).
La migliore difesa da questi campi sta nella lontananza dalle fonti, infatti, l’intensità del campo decresce velocemente allontanandosi dalla sua sorgente (cavo, cabina di trasformazione, elettrodomestico, trasformatore, etc.) fino al punto in cui il campo non è più presente.
In un ambiente domestico con impianto a norma di legge provvisto di scarico a terra efficiente, senza la presenza nelle vicinanze di elettrodotti o cabine di trasformazione, si dovrebbero misurare valori di intensità di campo magnetico tra  0,00 e 0,02 microTesla a seconda di quanto carico è presente in quel momento nell’impianto. Nell’analisi delle zone inquinate da elettrosmog, oltre al corretto utilizzo di una strumentazione isotropica, calibrata e tarata di recente, è molto importante il riferimento a valori di soglia poiché sono questi valori a condizionare la valutazione dell’esperto e del progettista. Secondo noi non ci si può riferire alle attuali soglie di legge perché decisamente troppo elevate. Le soglie a cui facciamo riferimento come Istituto GEA sono le seguenti:
per il campo elettrico[2] a 50 Hz: il valore minore possibile per la posizione del letto e 5 V/m come valore massimo accettabile nelle abitazioni (indicazioni dell’Istituto Maes).
per il campo magnetico[3] a 50 Hz: 0,05 µTesla  come valore massimo accettabile per la posizione del letto e preferibile nelle camere e negli altri ambienti domestici (Maes). Recenti ipotesi scientifiche sul funzionamento della membrana cellulare (prof. Emilio Del Giudice, fisico teorico) indicano una possibile nocività del Campo Magnetico a 50 Hz per intensità minori di 0,08 microTesla.
Per il campo elettromagnetico[4](teletrasmissioni RF e MO da ripetitori radiotelevisivi e antenne radiobase di telefonia mobile): 0,14 V/m come valore massimo accettabile per la posizione del letto e 0,2 V/m nelle abitazioni in generale (in riferimento alle più recenti ricerche svolte in Australia e in Nuova Zelanda).

3.1.  I fattori geologici all’origine delle “zone di disturbo”
Il nostro pianeta è interessato da tre campi energetici globali: campo gravimetrico, campo magnetico, campo geotermico e dai movimenti compressivi e distensivi delle piattaforme continentali. Questi campi energetici con la loro variabilità possono influire sulla situazione energetica locale, così come i movimenti tettonici generali causano movimenti locali delle masse rocciose e loro dislocazioni influendo a loro volta sulla situazione energetica locale.
I movimenti della superficie terrestre[1] possono essere compressivi o distensivi a seconda delle implicazioni energetiche. Nei movimenti compressivi le masse rocciose si avvicinano tra loro comprimendosi per cui un lato è schiacciato e l’altro innalzato; in questo caso si ha una faglia inversa e vi è un accumulo di energia che periodicamente viene rilasciata per poco tempo ma molto intensamente (terremoti). Le deformazioni del terreno provocate dai movimenti compressivi sono sia duttili (pieghe, falde) che fragili (faglie, dislocazioni, fratture). Nei movimenti distensivi le masse rocciose si allontanano creando una lacerazione. L’energia è rilasciata in modo continuo e non molto intenso; i suoi accumuli sono poco significativi. Le deformazioni nei movimenti distensivi sono prevalentemente fragili (faglie). Quando la struttura rocciosa non riesce più a contenere la sollecitazione, avvengono i  terremoti o si avviano deformazioni ‘lente’, molto meno problematiche per noi, che costituiscono la “scarica” energetica conseguente all’accumulo. In questo comportamento le masse rocciose seguono il ciclo energetico universale, e quindi anche delle persone: carica, tensione, scarica, rilassamento,  e vista la “risonanza” che si può creare con stati energetici ben sperimentati e conosciuti, si può capire perché i movimenti della superficie terrestre incidano così tanto sulle persone.
I movimenti compressivi e distensivi locali causano anomalie del campo geomagnetico. Questo avviene soprattutto quando movimenti compressivi si inseriscono trasversalmente a movimenti distensivi in periodi geologici successivi. In queste situazioni si formano spesso anche anomalie elettromagnetiche che danno origine a delle zone di disturbo a forma di spirale.
Vi sono poi i movimenti verticali: se un’area è delimitata dai lati in abbassamento di alcune faglie starà sprofondando, in questo caso in quella zona si avrà una sensazione netta di essere “tirati giù”.
Se un’area è delimitata dai lati in rialzo di alcune faglie sarà sospinta verso l’alto, in questo caso in quell’area si avrà una sensazione netta di essere “spinti in su”. Queste sensazioni opposte non sono di per sé spiacevoli o nocive, ma possono esserlo rispetto alla tipologia caratteriale della persona che le prova e ai suoi bisogni energetici e psicologici: le aree in sprofondamento possono indurre lentezza e depressione, le aree che salgono possono dare un senso di sradicamento, di testa tra le nuvole e di perdita di basi e concretezza.
Nel dare origine alle zone di disturbo le faglie, le dislocazioni, le fratturazioni e gli scorrimenti di acqua sotterranea si comportano in modo simile ai cavi elettrici dell’alta tensione quando sono interrati abbastanza profondamente: emettono un campo energetico direzionato principalmente verso l’alto per l’opposizione al passaggio da parte della enorme massa di materiali ai lati e la relativa esiguità dello spessore dei materiali soprastanti.  In questo modo la permanenza sulla verticale di uno di questi campi elettromagnetici naturali provenienti dal sottosuolo può risultare stressante sia per l’eccessiva intensità del campo, sia per le informazioni che questo campo fa arrivare alla persona. La questione delle informazioni è importante: il campo energetico emesso dagli strati acquiferi continui, composti da materiali imbevuti di acqua quasi ferma di solito non è fonte di gravi disturbi per le persone, invece può causare problemi se le informazioni contenute nell’acqua, e quindi trasmesse in superficie, sono date da inquinanti molto tossici. Qui il legame dell’Analisi Geobiofisica con la difesa dell’ambiente è palese e va oltre la lotta all’inquinamento energetico o all’“elettrosmog”.
figura 3

3.2. I reticoli energetici e i loro “punti di alta intensità”
Va dato atto al dottor Hartmann e al Gruppo di Ricerca[1] da lui fondato di aver svolto un ottimo lavoro di divulgazione, lavoro che negli ultimi anni ha raggiunto anche il nostro Paese.
A differenza dei media malinformati che riportano le cose più assurde sull’argomento, noi abbiamo un’esperienza diretta nella percezione di questa entità energetica ancora sconosciuta alla scienza ma densamente presente nell’ambiente. La percezione diretta toglie ogni dubbio sulla reale presenza di questo fenomeno, ma non ne spiega la natura per cui ad alcuni risulta facile farsi prendere la mano e dare spiegazioni esoteriche senza senso.
Attualmente l’esperienza empirica inserita in un insieme coerente di dati ci dice che in tutta la superficie del Pianeta si riscontrano gli stessi campi energetici disposti a reticolo. La maglia della griglia varia da posto a posto, anche notevolmente, sia in funzione della latitudine, sia rispetto alla conformazione geologica del sottosuolo, ma i campi energetici individuati sono sempre quelli.
Fondamentalmente i reticoli da prendere in considerazione perché i loro punti di “incrocio” sono nocivi sono due: uno con i lati della griglia orientati a Nord (reticolo parallelo al Nord o Nord-Sud) detto “di Hartmann” per il fatto che la sua riscoperta e la dimostrazione che è nocivo si deve al dottor Ernst Hartmann, che era medico a Eberbach, e che ha dedicato tutta la vita allo studio di questo reticolo energetico; e uno con gli incroci della griglia orientati a Nord (reticolo diagonale al Nord) detto di Curry poiché il suo studio e la sua sistematizzazione sono dovuti all’ing. Manfred Curry. Ve ne sono anche altri ma non avendo punti nocivi si possono trascurare. Nelle piccole zone date dagli “incroci della rete” l’intensità è molto più alta che nella “maglia” e reticolo diventa nocivo. Secondo la nostra ipotesi, i “punti di alta intensità”, cioè i cosiddetti “incroci”, si formano dove i fronti d’onda si intersecano e vanno “in fase”.
Riguardo alle origini di questi reticoli energetici vi sono più teorie, ma nessuna ha sinora trovato una conferma scientifica, anche perché gli ambienti scientifici più autorevoli mantengono una posizione assurda che vieta loro di interessarsene in quanto campi non individuabili strumentalmente e soprattutto perché percepiti solo da alcune persone e non da tutti!
Una teoria è quella formulata dai famosi padri fondatori della Baubiologie, R. Endross e K.E. Lotz che ipotizzano che questi reticoli energetici siano formati dalla fuoriuscita di neutroni derivanti dai processi di decadimento degli isotopi degli elementi pesanti della crosta terrestre. I neutroni non sono assorbiti dalla crosta terrestre e fuoriuscendo creerebbero dei “muri” di energia dal basso verso l’alto ad andamento perpendicolare fra loro.
Il dott. W. Ludwig, collaboratore di consulenti della NASA per lo studio dei campi elettromagnetici naturali da riprodurre nelle stazioni spaziali, ha formulato un’altra teoria che vede i reticoli come fenomeni ondulatori dovuti all’effetto di risonanza prodotto tra la ionosfera e la crosta terrestre che sono masse sferiche concentriche e che costituiscono un enorme “risonatore sferico cavo” che emette un’onda portante di 7,8 Hz, detta onda di Shumann, della quale i reticoli energetici costituirebbero delle armoniche in sequenza, interagenti con il campo magnetico del pianeta, e da ciò la loro polarizzazione secondo il Nord magnetico.
Altri autori, soprattutto i meno recenti, si rifacevano alle teorie di G. Lakhovsky, un ricercatore degli anni ‘30, e  ritengono che i reticoli traggano origine dalla rifrazione delle onde cosmiche dovuta alla diversa permeabilità del terreno a queste onde, poiché i diversi substrati hanno diversa capacità di assorbimento e di rifrazione. Quando le onde cosmiche erano appena state individuate e misurate avevano ancora una forte aura di mistero ed era facile utilizzarle per attribuire loro le cause di tutti i fenomeni elettromagnetici che non avevano ancora avuto una spiegazione.
I reticoli si possono spiegare anche come sistemi energetici dovuti a coppie di fonti dotate di un’emissione molto simile, che perciò possono andare in fase. Queste emissioni creano onde concentriche che si intersecano – entrando in fase – nei punti di alta intensità, le cui sezioni sono aree pressoché rombiche, nei quali le due emissioni si rinforzano reciprocamente aumentando molto di intensità. Alla scala delle nostre osservazioni empiriche sul terreno questi reticoli sembrano avere maglie ad andamento rettangolare poiché non si riesce a percepire la circolarità di enormi fronti di onde di dimensioni  planetarie. Questa spiegazione è mutuata dalla fisica dei fotoni ed è basata sulla forte similitudine tra ciò che viene descritto dalla scienza a proposito dei fotoni emessi da origini puntuali e quello che si può constatare nell’esperienza pratica di rilievo geobiofisico. Con ciò non si vuol dire che siano composti di fotoni, ma anche questa è un’ipotesi che potrebbe essere presa in considerazione.
Sta di fatto che i “punti di alta intensità”, come li chiamiamo noi dell’Istituto GEA, sono piccole zone nocive che possono provocare patologie perché sollecitano molto precise e limitate porzioni dell’organismo in modo da scatenare l’immunità in quelle zone fino a crearvi autoimmunità, mentre di conseguenza l’immunità diventa deficitaria nelle altre zone del corpo lasciandole esposte agli attacchi esterni o non mettendole più in grado di riassorbire le cellule precancerogene. Quindi questi punti devono essere individuati e mappati come le altre zone di disturbo sapendo che il loro livello di interesse è quello dell’arredamento e della posizione dei letti. La loro individuazione non è facile perché si devono trovare i due fronti d’onda che sono molto meno intensi e non sono nocivi, quindi non danno allarme all’operatore. Gli errori di individuazione sono perciò molto frequenti e i progettisti per darsi maggiori garanzie non dovrebbero accettare mappe in cui le maglie siano molto contorte, con forme strane e sghembe: sebbene non siano di regolarità matematica, nell’area di un’abitazione le “maglie” sono sempre della stessa dimensione  poco diversa da quelle standard indicate nella letteratura specializzata[2].
figura 5

4. LE GEOPATOLOGIE

La nocività delle zone di disturbo si esplica in un’alterazione della funzionalità immunitaria. Se l’intensità dell’emissione energetica o le informazioni trasportate creano uno stress continuo nelle persone si ha un’alterazione del funzionamento del sistema ormonale, di altri organi e funzioni biologiche che alla fine causa un’anomalia della risposta immunitaria che è verificabile con l’elettroagopuntura (VEGA test o MORA). In questo caso, per analogia con quanto avviene in caso di sciami sismici, si parla di “stress tellurico”: uno stress cronico causato dal luogo che può minare le difese immunitarie permettendo così che si possano instaurare o aggravare delle patologie che sono peculiari della genetica e della tipologia caratteriale della persona.

Distinzione tra geopatia, geopatologia e tecnopatia:
Le zone che provocano un lieve stress “tellurico” sono chiamate anche zone “geopatiche” in quanto si indica come geopatia il malessere dovuto alla permanenza in loro corrispondenza, malessere che non si configura ancora come una vera e propria patologia.
In medicina funzionale le patologie dovute alle zone di disturbo e quindi allo stress “tellurico” sono definite “geopatologie”; se si può fare una correlazione diretta tra l’insorgenza di una patologia e una determinata zona di permanenza, questa si  definisce “zona geopatogena”.
Le patologie dovute ai campi energetici tecnologici sono chiamate “tecnopatologie” e spaziano dagli effetti termici propri dei campi di microonde molto intensi, agli effetti non termici (stress cronico) dei campi elettromagnetici deboli e dei campi elettrici e magnetici a bassa frequenza.
L’Analisi Geobiofisica agisce preferibilmente per la prevenzione e il mantenimento della salute; in questo si trova in sinergia con l’architettura bioecologica/bioarchitettura e con la medicina naturale. La Medicina Naturale si occupa da molto tempo delle patologie che possono essere fatte risalire all’esposizione prolungata a campi elettromagnetici naturali: le geopatologie. La Geopatologia parte dal presupposto che il luogo di vita influisca notevolmente sulla salute per il fatto che gli scambi energetici dei substrati geologici, e che le tensioni tettoniche, i campi elettromagnetici creati dalle anomalie geologiche e dall’idrogeologia possano causare uno stress cronico molto subdolo poiché si accumula soprattutto mentre l’organismo dorme quando il corpo resta fermo molte ore nello stesso posto ripetutamente per molti anni.

TABELLA 4: TIPOLOGIA DELLE ZONE DI DISTURBO DI ORIGINE NATURALE

ORIGINE

DESCRIZIONE

CARATTERISTICHE

NOCIVITÀ

 

Presenza di  acquiferi continui con acqua fortemente inquinata
presenza di acqua diffusa e con bassissima velocità di scorrimento nei materiali permeabili.
Accumuli di acqua fossile profonda e ferma
zone di disturbo estese o continue nocive solo se si tratta di acque fortemente inquinate oppure se si tratta di aree di bonifica di ex torbiere o ex paludi.
stress dato dal terreno in tutta l’area, oppure vi è disturbo nella linea di passaggio tra il terreno senza acqua sotterranea e il terreno che sotto ha la falda acquifera.
Esposizione sconsigliata 

scorrimenti locali di acqua sotterranea
in materiali molto più permeabili di quelli attorno:

“paleoalvei”zone di disturbo non molto distanziate, omogenee tra loro, anomalie leggere nel campo naturale del terreno
Stress cronico.
Esposizione rischiosa.

in materiali impermeabili: roccia
zone di disturbo frequenti ma non regolari, disomogenee tra loro, anomalie nel campo naturale proporzionali alla portata.
Stress cronico variabile in intensità fino a forte stress cronico che per alcuni soggetti può diventare stress acuto

movimento  delle masse rocciose
Sistemi principali:
faglie portantizone di disturbo molto ampie e molto distanziate, segnalate dalla carta geologica (“faglie”), anomalie molto forti nel campo naturale locale, emissioni elettromagnetiche ionizzanti (onde gamma, Radon), stress da microsismi, stress da scarico di tensione tellurica
Stress acuto e stress cronico insieme, intensità molto elevata.
Pericolo molto alto di patologie gravi.

Sistemi dipendenti:
faglie incidenti e vicariantiZone di disturbo molto distanziate, non segnate sulla carta geologica, anomalie forti nel campo naturale del terreno, stress da scarico di tensione tellurica
Stress acuto e cronico di elevata intensità, in alcuni soggetti può diventare grave.
Esposizione molto rischiosa.

Sistemi secondari:  dislocazioniZone di disturbo frequenti in presenza di faglie anche non vicine, con andamenti variabili determinati dai movimenti dei sistemi principali e dipendenti, anomalie medie nel campo naturale del terreno.
Stress cronico medio-forte.
Esposizione pericolosa.

Sistemi secondari:  fratturazioniZone di disturbo frequenti e vicine tra loro con andamenti variabili determinati dai movimenti dei sistemi principali e dipendenti, anomalie  leggere nel campo naturale del terreno.
Stress cronico medio-lieve.
Esposizione sconsigliata

reticoli energetici*
“pareti” energetiche verticali orientate secondo il Nord magnetico

zone di disturbo lievissimo che si possono considerare quasi “neutre” poiché non riescono a provocare danni.
Stress trascurabile e non problematico.
Esposizione consentita.
Punti di alta intensità o “incroci” delle pareti energetiche
Zone di disturbo molto ristrette, con andamento reticolare localmente regolare e omogeneoStress cronico medio-alto, focalizzazione puntuale quasi sempre patologica.
Esposizione pericolosa. 

altre fonti *“Colonne” energetiche verticali – Spirali elettromagnetiche
Zone di disturbo ristrette, più rare, con andamenti casuali e disomogenei, di forma approssimativamente circolare
Stress cronico di intensità variabile.
Esposizione sconsigliata

* campi energetici rilevati solo con l’esperienza empirica, ma uniformemente da molte persone diverse; costituiscono zone di disturbo “puntuali” che dovrebbero essere prese in considerazione nello studio della disposizione dei letti.
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La chiave per capire l’importanza dell’analisi geobiofisica del luogo in cui si dorme è quindi lo “stress cronico”. E’ molto importante definire il concetto della dinamica dello stress riguardo ai suoi effetti patologici per comprendere l’insorgenza delle geopatologie.
Se il letto dove si dorme è disposto in modo da esporci ad una “zona di disturbo”, le prime volte ci saranno dei segnali di allarme come malesseri vari al risveglio, ma dopo un po’ l’organismo sarà costretto a cedere e ad abituarsi e non manderà più segnali d’allarme avvertibili. Lo stress dato dalle zone di disturbo è una sollecitazione che si accumula in maniera cronica notte dopo notte per anni, finché diventa una fonte di irritazione e di infiammazione locale tenendo il sistema immunitario sempre iperattivo nella zona del corpo interessata dall’irradiazione. Questo stato di sollecitazione costa all’organismo molta energia e si finisce per consumarla tutta fino a che l’organismo, sollecitato anche da svariati altri fattori di stress, esaurisce le sue riserve di energia, cede e si ammala. Il nostro organismo ha una notevole capacità di adattamento e resiste anche a situazioni difficili, ma non per un tempo indefinito.
A quel punto ciascuno secondo la sua ereditarietà genetica, la sua tipologia caratteriale e il suo stile di vita andrà incontro ad una patologia cui è già predisposto[1].
Lo stress tellurico è una componente importante dello stress complessivo subito dalle persone e può essere il fattore che fa la differenza nella capacità di reazione alle cure e nella potenzialità di difesa immunitaria. Spesso i campi energetici locali sono abbastanza intensi da riuscire a trasmettere informazioni in superficie e farle arrivare alle persone che si trovano in loro corrispondenza, così possono essere le responsabili dello stress se, ad esempio, sono informazioni di tensione o di pericolo. Le informazioni che arrivano dallo scambio energetico del terreno sono relative a stati di tensione o di distensione, di dispersione o concentrazione, a stati di assorbimento energetico o a stati di cessione energetica, informazioni relative a frequenze di minerali e di metalli presenti nei substrati o nell’acqua ecc., informazioni che appartengono alla sfera emozionale e che sono colte e recepite in modo inconscio[2]. Se queste informazioni sono in sintonia con i recettori che sono l’acqua del corpo e il carattere relazionale delle persone, allora si ha una loro “neutralità” energetica[3]. Una zona si può quindi definire “neutra” quando sia l’intensità del campo energetico tellurico presente, sia le informazioni da questo trasportate non arrecano disturbo (stress) riferendosi ad un tipo di visione dell’uomo derivato dalla Medicina Tradizionale Cinese (agopuntura) e confermato dalle più recenti scoperte scientifiche relative alla Medicina Bioenergetica e Bioelettronica[4].
Si ritiene utile infine riportare una frase del prof. Lotz, uno dei fondatori del movimento della “Baubiologie”: “… Si scelga dunque un terreno per l’edificazione non soggetto a perturbazioni dovute a falde acquifere o alla presenza di fratture, faglie o corrugamenti geologici. Per poterlo stabilire è indispensabile far esaminare il terreno da persone in grado, per la loro connaturata sensibilità, di rilevare eventuali alterazioni del campo di radiazione naturale.”[5]

4.1.  La diagnostica medica dei “carichi geopatici”
la diagnosi dei carichi geopatici può essere fatta sulle persone solo dopo che abitano da qualche mese in una casa, quindi non è un elemento che può intervenire in fase di progetto.
La diagnosi medica è ugualmente interessante per le sue caratteristiche di controllo e verifica delle indicazioni dell’analisi energetica e degli eventuali correttivi messi in atto nel progetto.
Negli studi di alcuni medici si può ottenere un controllo per sapere se si è soggetti ai danni prodotti dal luogo dove si dorme, cioè se si è affetti da geopatologie o tecnopatie, e di conseguenza impostare una cura appropriata. Occorre rivolgersi a medici esperti di Medicina Bioenergetica Funzionale o di Medicina Bioelettronica in possesso di strumenti elettronici che utilizzano il Voll Test, come l’elettroagopuntore o le sue derivazioni ancora più sofisticate e automatizzate attualmente disponibili (MORA, Bicom, Biotest o altri), che permettono di formulare una diagnosi corretta di geopatologia. Questi medici, oltre ad avere una perfetta conoscenza dell’utilizzo di questi sofisticati strumenti elettronici, devono anche essere a conoscenza delle principali cognizioni di Geopatologia.
Il controllo della presenza del carico geopatico (o tecnico) avviene dopo l’intervento dell’esperto in analisi geobiofisica, ma al medico non va comunicato l’esito dell’analisi geobiofisica che andrà confrontato solo dopo la formulazione della diagnosi medica; al medico dovrebbe essere richiesto solo il controllo del possibile carico geopatico in atto sulla persona.
Questo fatto di non mettere al corrente il medico dei risultati già ottenuti con l’indagine geobiofisica (o ciascuno dei due soggetti se si tratta di un controllo incrociato) è indispensabile per non influenzare il medico nell’uso della strumentazione e ottenere così una diagnosi medica corretta, inoltre abitua a rapportarsi al metodo scientifico della ricerca  “in cieco” che è l’unico metodo che consente un reale controllo delle affermazioni in questo campo.

4.2.  Gli strumenti di analisi dei rischi geopatogeni del sito
Nella parte geobiofisica dell’analisi energetica sono presenti due tipologie di rischio: quello dato dalla matrice energetica dell’area, presente anche nelle zone definite “neutre” sulla mappa delle zone di disturbo, e quello dato dall’esposizione alle zone di disturbo.
L’analisi del rischio dato dalla matrice energetica del luogo è più generale. Si può fare se si  confrontano i suoi effetti con le caratteristiche energetiche dei futuri abitanti. Naturalmente non sempre in fase di progetto si conoscono le persone che andranno ad abitare nei nuovi edifici, perciò per valutare il rischio dato dalla matrice energetica dell’area di progetto è utile applicare l’analisi delle vocazioni energetiche del sito per capire se la matrice energetica può comportare problemi a qualche categoria di persone. È raro che i terreni edificabili incorrano in questa possibilità, ma progettando in architettura bioecocompatibile si deve tener conto del benessere dei futuri abitanti e quindi occorre porsi il problema.
Le matrici energetiche “estreme” sono le uniche a provocare un disagio a tutti e a obbligare ad un vero e proprio allarme verso determinate categorie di persone. Queste matrici sono quelle ad assorbanza quasi assoluta (terreni risultati dalla bonifica di torbiere o paludi) o a emittanza troppo elevata (terreni interessati da faglie in aree vulcaniche). Le altre matrici possono provocare problemi seri solo a persone affette da patologie correlate al loro funzionamento energetico, ad esempio un’area con matrice energetica in emittanza rispetto ai cardiopatici ipertesi.
Non potendo conoscere i futuri abitanti, il progettista può solo accertarsi che le condizioni energetiche del sito di progetto non siano estreme; se lo fossero dovrebbe chiedersi che senso ha un progetto bioecocompatibile in quel sito che sicuramente non è un sito adatto alla residenza.
Nel definire estreme le condizioni di un’area,oltre che della matrice energetica, si dovrebbe tener conto anche dell’eventuale presenza di una dinamica di innalzamento o di sprofondamento (come il bradisismo) poiché potrebbe aggravare la situazione: ad esempio se un movimento in abbassamento dell’area si somma ad una matrice ad elevata assorbanza si creano condizioni estreme che sono fonte di disagio per tutti e non solo per alcune tipologie di persone, condizioni che per alcuni possono diventare facilmente patologiche.
Per quanto riguarda l’analisi del rischio dovuto alle zone di disturbo, come non vi sono strumenti elettronici che permettano l’individuazione e la misurazione dei campi elettromagnetici naturali rilevati, così la valutazione della presenza di un rischio connesso con l’esposizione delle persone a questi campi è svolta dall’esperto che li individua dal momento che li inserisce nella mappatura delle relative zone di influenza. Il progettista ne prende atto e cerca di adattare l’ipotesi progettuale all’eventuale presenza di zone di disturbo nell’area di lavoro in modo che queste zone non interessino aree dove saranno disposti i letti. A discrezione del progettista, ed eventualmente del committente, l’attenzione si può estendere ad altre posizioni di riposo, studio o relax .
La mappa con l’individuazione corretta delle zone di disturbo presenti nel sito di progetto costituisce quindi lo strumento privilegiato di analisi dei rischi. La condizione necessaria perché questa mappa sia realistica è che l’esperto che la prepara sia professionalmente molto preparato e che stia bene quando esegue i rilievi geobiofisici. Infatti in questo tipo di analisi percettiva se non vi è una forte professionalità si scivola fin troppo facilmente nell’esoterismo che, col suo fumo affascinante, fa da copertura all’incapacità, oppure serve da pretesto per proporre l’acquisto di un materiale o di un oggetto “antidisturbo” assolutamente inutile; se non si sta bene non si riesce ad accorgersi di eventuali errori e si fa più facilmente confusione tra i segnali percepiti.
Per avere la conferma della nocività delle zone di disturbo trovate possono essere svolti dei test su delle persone, e all’occorrenza il progettista può anche prestarsi come testato se l’esperto è da solo.
Il test chinesiologico delle dita della mano chiamato “O’ Ring Test”, o “test di Omura”, se fatto professionalmente e in cieco, permette un grado di controllo indiretto abbastanza efficace in quanto in una zona di disturbo mette in evidenza un abbassamento di energia muscolare (in una persona diversa dall’operatore stesso) e fornisce quindi una verifica di quanto diagnosticato sul terreno.
I test bioelettronici sono in grado oggi di valutare moltissimi parametri e di formulare pre-diagnosi molto accurate, quindi un controllo sui futuri abitanti effettuato con uno strumento di EA (Elettro-Agopuntura) dopo qualche mese di permanenza nella nuova abitazione fornirebbe la riprova della presenza o meno di una zona di disturbo nella posizione del letto, verificando definitivamente in modo positivo o negativo l’indicazione dell’esperto.
Invece delle verifiche sono all’ordine del giorno le proposte di illusioni “magiche” e spese inutili. Bisogna che il progettista sappia distinguere un esperto in analisi geobiofisica professionalmente preparato e deontologicamente impostato da un venditore rappresentante di una ditta che usa il pretesto delle zone di disturbo per terrorizzare il cliente e vendergli costosi rimedi che lo proteggeranno magicamente da tutte le “onde negative” comprese quelle tecniche! Un primo screening può essere facilmente fatto valutando se l’esperto interpellato vende o meno dei sistemi di “compensazione” o “schermatura” e in questo caso il fatto che proponga una “soluzione” diversa dalla mappa delle zone di disturbo è da considerare sicuro indice di incompetenza e non certo un valore aggiunto alla prestazione professionale. Un secondo vaglio può essere fatto accertandosi che l’esperto, anche se non vende nulla e non è legato ad alcuna ditta, invece di individuare le zone di disturbo, non proceda alla “cura” o alla “guarigione” della casa con metodi sciamanici o ponendovi piastrine, simboli o disegni radiestesici. Non è questo che serve alla progettazione: l’esperto interpellato per collaborare al progetto deve astenersi da qualsiasi intervento che non sia il rilievo e la mappatura delle zone di disturbo tecniche e naturali, non deve fare lo sciamano ma saper usare correttamente la strumentazione (cosa che ai venditori viene difficile) e conoscere bene le proprie reazioni energetiche, con un impegnativo lavoro su se stessi, in modo da produrre un’analisi geobiofisica dell’ambiente il più corretta possibile.
Il progettista deve sapere che nell’analisi energetica un venditore non può essere contemporaneamente anche un buon esperto perché l’intenzione di vendita, al di là della sua volontà cosciente, gli farà trovare sempre una zona di disturbo in corrispondenza dei letti anche se sono disposti in zone perfettamente neutre: questo fatto è stato provato da un famoso esperimento condotto da esperti in Baubiologie in Germania in cui, con la collaborazione del Forschungskreis del dr Hartmann, fu disposto un letto in una zona perfettamente “neutra” e poi furono chiamati a farne l’analisi dieci operatori che di prassi ponevano “oggetti antidisturbo” sotto o nei pressi del letto: ciascuno all’insaputa degli altri, tutti e dieci trovarono qualche grave disturbo nella zona del letto in modo da poter vendere il loro dispositivo e dopo averlo messo in opera, riprovando a “percepire”, erano sempre convinti che tutti i campi fossero stati schermati perché non li sentivano più. Potenza della necessità di vendere!
per questo è assolutamente da evitare la disposizione nell’ambiente di oggetti strani, piastrine magnetiche, fialette, antenne, stuoie o altri strumenti che dovrebbero possedere le proprietà “magiche” di annullare (le varie pubblicità dicono: “assorbire”, “schermare”, “drenare e scaricare” ecc.) la presenza dei campi energetici naturali e tecnici. Questi oggetti si rivelano completamente inefficaci al proposito, ma possono anche rivelarsi  nocivi alle persone se le illudono di poter dormire tranquillamente in una posizione che magari è molto nociva.
Tra questi oggetti quelli di derivazione radiestesica (piastrine, disegni, forme, antenne) si devono considerare come “amuleti” tenendo sempre presente che se possono causare qualche effetto (placebo o reale) lo causano sulla persona che li può vedere e non certo sull’ambiente in cui sono disposti. Risulta perciò totalmente assurda, anche all’interno del pensiero magico, la loro disposizione sotto i letti o in posizioni nascoste alla vista. Alcune ditte producono strumenti effettivamente funzionanti con l’emissione di campi magnetici o elettromagnetici a diverse frequenze e a bassa intensità. Questi oggetti hanno quasi sempre la forma di stuoie coprimaterasso con bande magnetizzate, ma alcuni sono fabbricati anche sotto forma di veri e propri emettitori di radiofrequenze funzionanti a batteria. Lungi dal poter agire sui campi elettromagnetici naturali o su quelli tecnici, questi emettitori non possono assolutamente fornire alcuna schermatura dalle zone di disturbo. Questi prodotti sono in realtà strumenti magnetoterapeutici che, emettendo particolari frequenze, possono attuare una terapia (alla persona, naturalmente, non all’ambiente circostante come si legge in qualche depliant) che dovrebbe aiutare il sistema immunitario a rimanere regolato anche in presenza di un’irradiazione nociva.
Però attualmente nessuno può affermare che queste apparecchiature abbiano questo effetto e non siano invece nocive loro stesse, almeno potenzialmente, poiché le ditte produttrici non rendono disponibile alcuno studio scientifico sugli effetti dell’utilizzo dei loro apparecchi, studi che sarebbero tanto più necessari in quanto la terapia elettromagnetica, come quella farmacologica, soprattutto quando è protratta nel tempo, può essere nociva a particolari categorie di persone o avere un effetto positivo in un senso ed effetti collaterali nocivi nell’altro.
Per queste ragioni consigliamo vivamente i progettisti di non fidarsi delle soluzioni “miracolose” pur di non cambiare le disposizioni previste per i letti. Far acquistare uno qualsiasi dei prodotti venduti in modo truffaldino per la “schermatura” dalle zone di disturbo significa prendersi la responsabilità di ingannare il proprio committente e di esporlo ad una possibile nocività dovuta al luogo senza che possa rendersene conto e così sottrarsi all’irradiazione.
Attualmente, ripetiamo, non esiste ancora alcun prodotto che riesca a schermare i campi elettromagnetici naturali che danno origine alle zone di disturbo. Invece per schermare i campi tecnici esistono alcuni prodotti funzionanti in modo scientifico e certificato, ciascuno di questi è specifico per un tipo di campo e non va bene per schermare gli altri. Si tratta di gabbie di Faraday a trama molto fitta di metalli superconduttori per le radiofrequenze e di fogli di speciali leghe metalliche per il campo magnetico a 50 Hertz, non di piastrine da mettere sui contatori, di paletti metallici da mettere sul tetto e collegare alla messa a terra perché “assorbano” il campo o di stuoie da sistemare nel letto.

5. CRITERI DI LOCALIZZAZIONE IN FUNZIONE DELL’ANALISI ENERGETICA DEL SITO

Al progettista è indispensabile la mappatura delle zone di disturbo trovate con l’analisi energetica del sito e la sua resa in una “tavola energetica” da aggiungere alle tavole di progetto. Non si deve quindi accettare un’analisi energetica “sulla parola”. Inoltre l’esperto che effettua l’analisi energetica deve prendersi la responsabilità di quello che afferma firmando una relazione scritta.
La mappa serve all’inizio, per verificare le ipotesi progettuali rispetto alla posizione delle zone di disturbo presenti nell’area di progetto. La situazione migliore si ha quando si dispone della mappa delle zone di disturbo ancora prima di stabilire la posizione della costruzione sul terreno, e questa dovrebbe essere la procedura adottata in tutti i casi in cui è possibile. Si potranno così evitare le eventuali zone più perturbate sovrapponendo il progetto alla mappa delle zone di disturbo. Se non si può modificare la posizione della costruzione si potrà modificare la distribuzione interna o solamente la previsione dell’arredamento.
La mappa della situazione elettromagnetica del sito va utilizzata per verificare la compatibilità della distribuzione delle funzioni prevista progettualmente sapendo che le zone di disturbo naturali influiscono solo sulla loro verticale. Di preferenza la mappa redatta dall’esperto dovrà essere orientata a Nord in modo da mostrare il rapporto tra l’abitazione e il Nord magnetico e il rapporto delle stanze con l’energia data dall’illuminazione solare. In ogni caso la direzione del Nord dovrà essere riportata in modo preciso ed evidente.
È ovvio che nella localizzazione della costruzione entrano in gioco anche molti altri fattori, ma sta di fatto che, dopo aver considerato i vincoli normativi, l’analisi energetica ha una sua priorità soprattutto se si tratta di un edificio particolare come una scuola, un asilo-nido o una casa di riposo.
In un’abitazione l’analisi energetica influirà sulla localizzazione delle stanze da letto all’interno della distribuzione progettuale o sulla posizione dei letti nella progettazione dell’arredamento.
Anche in questo caso è bene disporre al più presto della mappa delle zone di disturbo perché dalla posizione dei letti dipendono i punti luce le prese e gli interruttori.
Vogliamo trattare brevemente anche della posizione della testa del letto poiché questa “notizia” si è diffusa a macchia d’olio. La disposizione a nord della testa del letto ha un senso solo migliorativo della qualità del sonno, e non ha niente a che vedere con potenziali disturbi o patologie: nessuno si ammala se non dorme con la testa a Nord. Diventa quindi un elemento secondario che si può introdurre solo quando nella posizione a Nord non vi siano zone di disturbo elettromagnetiche.
Per quanto riguarda i riscontri scientifici: il dott. Regnault, con alcuni suoi colleghi, fece vari esperimenti dal 1917 al 1926 sulle reazioni fisiologiche e riflessologiche dovute all’orientamento di una persona distesa[6]. Da questi studi era emerso che la tensione arteriosa e l’ampiezza del polso presentano un massimo nella posizione con la testa a est e un minimo quando la testa è rivolta a nord. Questi dati, scrive Regnault, potrebbero spiegare la maggior calma e la migliore qualità del sonno che molte persone trovano in questa posizione che quindi è la migliore per riposare perché è quella in cui si registra il  minimo di attività dell’organismo.
Un recente studio di un gruppo di ricercatori dell’Istituto Max Planck di Martinsried in Germania, da anni impegnato ad analizzare le influenze dei campi magnetici sugli esseri viventi, ha confermato indirettamente quanto affermato da Regnault riscontrando un prolungamento del 7% della fase REM (Rapid Eye Mouvements) quando la persona dorme in un letto orientato sull’asse Nord-Sud[7]; in questo caso non vi è differenza tra l’avere la testa a Nord o la testa a Sud. Corrispondendo la fase REM al sonno profondo e per l’85% anche alla fase onirica, la disposizione sull’asse Nord-Sud, e quindi anche la posizione con la testa a Nord, favorisce di fatto una migliore qualità del sonno.
Ma nel localizzare i letti in funzione dell’analisi energetica bisogna applicare una scala di valori in cui al primo posto vi è la posizione priva di disturbi elettromagnetici e al secondo posto vi è l’orientamento a Nord.
In definitiva, quello che si propone al progettista con l’analisi energetica del sito è l’adattamento intelligente alla situazione energetica del luogo: la soluzione migliore rimane sempre quella di scegliere per i letti (e per le altre funzioni che prevedono una lunga permanenza ripetuta) le zone neutre evitando le zone con disturbi elettromagnetici.

5.1.  La mappatura dell’analisi energetica e il suo utilizzo progettuale
Solo in casi rarissimi le zone di disturbo sono ampie tanto da coinvolgere la maggior parte di un terreno  o di un’abitazione. Mappe di questo tipo sono giustificate solo se riguardano terreni posti in corrispondenza di faglie portanti, di ex torbiere o di acquiferi continui molto inquinati. Altrimenti devono essere ritenute frutto di errori di interpretazione delle percezioni.
Normalmente i fenomeni geologici e idrogeologici comportano in superficie una ristretta zona di disturbo. Riportando queste zone sulla mappa si avrà quasi sempre il disegno di una “fascia” lunga e stretta, a meno che la zona di disturbo sia originata da un’anomalia di altro tipo, molto circoscritta, che darà una zona di disturbo rotondeggiante, rappresentata con un cerchio. I campi energetici reticolari saranno evidenziati nei loro punti di alta intensità.
La mappa dello stato energetico del sito deve esprimere con chiarezza dove si può permanere e dove non è bene farlo, perciò l’Istituto GEA ha stabilito una semplice convenzione cromatica: il rosso per evidenziare le zone di disturbo naturali e un altro colore per indicare le zone di disturbo tecniche. La lettura della mappa va fatta considerandola come una zonizzazione:
– le zone evidenziate cromaticamente sono nocive
– le zone lasciate in bianco sono “neutre”.

Le zone colorate sono aree in corrispondenza delle quali non è possibile dormire o sostare per un periodo prolungato senza incorrere in qualche danno alla salute psicofisica, come dimostrato dallo studio del prof. Otto Bergsmann.

Riassumendo quanto detto sinora:
Gli obiettivi dell’analisi energetica dei luoghi sono:

–   l’individuazione e la mappatura di eventuali zone di disturbo elettromagnetico, la valutazione della
compatibilità della permanenza in tali zone con il mantenimento della salute;

–  la scelta di un luogo “neutro” per le zone di permanenza prolungata e principalmente per le posizioni
del periodo di sonno;

–  la collaborazione con il progettista per l’adozione delle opportune scelte progettuali con l’inserimento
dell’analisi geobiofisica nell’analisi del sito accanto alla misurazione strumentale e all’analisi ecologica.

5.2.  Esempi applicativi
Un primo esempio è frutto di un lavoro significativo commissionato all’Istituto GEA da una cooperativa regionale di recupero edilizio per la trasformazione in area residenziale dell’ex area industriale “Officine Lombardini” di Reggio Emilia di circa cinquemila metri quadri. Non trattandosi di un intervento in architettura bioecocompatibile, per la parte geobiofisica dell’analisi energetica del terreno era stata richiesta l’individuazione delle sole zone di disturbo più pericolose. Per la parte tecnica, alle misurazioni non emergevano problemi.  È stata redatta la mappa delle zone di disturbo più nocive individuate nell’area, dovute a fenomeni geologici e idreogeologici.I progettisti hanno elaborato di conseguenza la mappa con la bozza del progetto edilizio, sovrapponendo il progetto alla mappa delle zone di disturbo e facendo in modo che queste ultime coinvolgano solo le zone giorno delle abitazioni.
Si tratta di un buon esempio di utilizzo progettuale dell’analisi energetica del sito, anche perché l’ipotesi progettuale iniziale era del tutto diversa ed avrebbe esposto molte abitazioni alle zone di disturbo anche nelle stanze da letto. Il progettista ha dimostrato coraggio ed ha modificato completamente il progetto in seguito alle indicazioni dell’analisi energetica del sito.
Riteniamo importante proporre alcune mappe di zone di disturbo in modo da rendere bene l’idea di cosa debbano essere e cosa debbano rappresentare.
Nell’immagine successiva si può vedere l’analisi geobiofisica del terreno per una casa di riposo per anziani a Sestu (CA). Il progetto, sponsorizzato dal Comune, prevedeva la costruzione in terra cruda e legno, come l’edilizia tipica della zona, utilizzando i materiali della bioedilizia. Il terreno ai piedi di un sistema collinare è solcato da alcune fratturazioni. Altre zone di disturbo sono dovute agli scorrimenti in paleoalvei nello strato di sedimento. La cooperativa costruttrice presentava così le caratteristiche salienti di questo progetto: “Questo intervento perciò sarà realizzato dando priorità al vivere sano e valutando tutti quegli elementi che concorrono al miglioramento della qualità edilizia. Gli alloggi saranno costruiti secondo le priorità ritenute dagli esperti necessarie utilizzando  tecnologie  e  materiali  della  bioedilizia  quali:   a)  analisi  delle zone geopatogene; b) eliminazione dei campi elettromagnetici tecnici tramite l’utilizzo di cavi schermati, biointerrutori, vernici schermanti, ecc.; c) utilizzo di materiali naturali non tossici; d) struttura portante in mattoni crudi e legno; e) studio della tipologie considerando l’orientamento; f) riciclaggio acque reflue; g) utilizzo energie alternative per risparmio energetico”.
La mappa, per il punto a) analisi dele zone geopatogene, ha permesso ai progettisti di ottimizzare la distribuzione interna delle camere. (indagine di Marino Zeppa e Ivano Ferri).
Un’altro esempio è ricavato dall’analisi energetica di un terreno di media montagna, commissionata all’Istituto GEA da un privato. Il terreno è posto su uno strato di argilla sopra la roccia ed ha una lieve pendenza. Le linee colorate indicano fratture della roccia e scorrimenti di acqua tra l’humus e l’argilla che potrebbero scomparire o cambiare nel tempo dipendendo dalla quantità di piogge e dalla stagione. La linea blu trasversale indica uno scorrimento di acqua profonda in una frattura della roccia. Il progetto prevede una bifamiliare in architettura bioecologica. Dopo aver preso visione della mappa dell’analisi geobiofisica del sito, il progettista ha adattato la disposizione dell’edificio il più possibile alla situazione energetica salvaguardando almeno la zona notte. (Indagine geobiofisica per l’Istituto GEA di Daniela Gabutti e Pier Prospero).
La mappa seguente è il risultato dell’analisi dell’esatta porzione di terreno previsto per la costruzione di un’abitazione bioclimatica in un lotto della pianura emiliana. Il progetto è stato proiettato sulla mappa delle zone di disturbo per ottenere un’informazione immediata rispetto alle eventuali problematiche. Sono state individuate sia le zone di origine geologica, disegnate come strisce rosse, sia i punti di alta intensità dei campi reticolari, disegnati come cerchi rossi di cui si vedono le linee di congiunzione. Questa analisi completa permette di prevedere precisamente i posti dei letti e i progettisti hanno deciso di spostare di poco l’edificio verso Est per limitare le problematiche create dalle due zone di disturbo, originate da discontinuità nei materiali del substrato, presenti ai lati Ovest ed Est della porzione di terreno. (Indagine geobiofisica di Pier Prospero e Claudio Guariento).


[1] H. Seley in Stress without Distress (cit. da A.Lowen in Stress e Malattia – Ed. Centro Doc. W.Reich, Milano ’87) afferma che se lo stress è leggero, breve e rimane senza angoscia non è dannoso per l’organismo e può essere utilizzato in modo costruttivo, mentre se lo stress è troppo forte e prolungato arriva a produrre angoscia e questa situazione diventa patologica.

[2] Bender M.: Interfacial phenomena in biological systems, p.279, Medekker Inc.New York 1991;    Frolich H.:  Biological coherence and response to external stimuli, Springer, Verlag, Berlin 1988;     Wulle P.: Emission of visible and UltraViolet radiation by active geological systems, Collect.Phenom. 3, 187-214, 1981.

[3] Upledger J.E., Vredevood G.D.: Somatoemotional release 2 vol., Eastland Press, Seattle.

[4] Oscham J.L.: Bioelectromagnetic Communication, BEMI Currents Newsletter, 2, 11-14; C.W. Smith, The electromagnetic Man, op. orig. 1990.

[5] K.E. Lotz  “La casa bioecologica”, 1975.

[6] J.Regnault: Lés méthodes d’Abrams,  Maloine Ed. Paris, 1927

[7] è da notare che un allungamento del 7% della fase REM è un risultato di tutto rispetto specie se si tiene conto che il miglioramento è dello stesso ordine di grandezza di quello provocato dagli antidepressivi (Con la bussola si dorme meglio, di M. Pedretti – in: Star Bene n. 8, Agosto 1989).

[1] Forschungskreis für Geobiologie “dr Hartmann” e. V.,  Waldbrunn W.K. (Heidelberg), Adlerweg 1

[2] A Waldbrunn (Heidelberg) la maglia del reticolo N/S è m 2,5 da Est a Ovest e m 2 da Nord a Sud; in genere la maglia del reticolo diagonale al Nord è intorno a m 4,5 x 4,5.

 


[1] La situazione geologica è riportata dalle carte geologiche o è desumibile dalla mappa del CNR “Progetto Finalizzato Geodinamica: Structural  Model of Italy”. La situazione strutturale è riportata su questa stessa mappa.


[1] Bergsmann dr Otto  “Risikofaktor Standort”  Facultas Verlag, Wien 1990, citato

[2] Un campo elettrico è una regione di spazio dove si manifestano forze sulle cariche elettriche, dando origine, se le cariche sono libere di muoversi, a correnti elettriche; l’intensità del campo elettrico si misura in “volt/metro” (V/m) – da: Daniele Andreuccetti  del Consiglio Nazionale delle Ricerche; in Gazzetta ambiente 4/1999

[3] “un campo magnetico è una regione di spazio dove si manifestano forze sui dipoli magnetici e sulle correnti elettriche; anche il campo magnetico è in grado di generare correnti nei materiali conduttori, poiché determina in essi un campo elettrico indotto; l’intensità del campo magnetico si misura in “microtesla” (µT) o “nanotesla” (nT). da: Daniele Andreuccetti  del Consiglio Nazionale delle Ricerche; in Gazzetta ambiente 4/1999

[4] “(In un campo elettromagnetico) … I campi si propagano a distanza indefinita dalla sorgente, assumendo una struttura detta di tipo radiativo: il campo elettrico ed il campo magnetico sono perpendicolari tra di loro ed alla direzione di propagazione e tra le loro intensità – che variano in modo sinusoidale tanto nel tempo quanto nello spazio (“onda elettromagnetica“). Un’onda elettromagnetica trasporta energia; la densità di potenza (energia trasportata per unità di tempo e di superficie, espressa in W/m2) risulta proporzionale al prodotto delle intensità del campo elettrico e del campo magnetico” da: D. Andreuccetti, M. Poli e P. Zanichelli, “Elementi di fisica delle onde elettromagnetiche e nozioni di base sugli indicatori di rischio” Modena, 17-19 settembre 1998


[1] materiali tratti da: “Habitat e  Salute, dalla geopatologia all’ecopatologia” – HSA, Rivoli TO

[2] Bistolfi: Campi magnetici in medicina,  Minerva Medica, 1981

[3] ibidem, pag.221

[4] ibidem, pag.229-230

(5) i cicli delle macchie solari (tempeste magnetiche), il periodo di rotazione del sole su se stesso di 27 giorni, i cicli lunari e anche determinate posizioni dei pianeti, nonché la posizione stessa che la Terra occupa attraverso la galassia nel suo percorso in direzione della costellazione di Ercole (M.Gauquelin: Ritmi biologici, ritmi cosmici,  Ed.Faenza 1976, pag.114).

[6] Rabdomanzia (dal greco ràbdos, verga, e mantèia, divinazione): modo di scoprire l’esistenza sotterranea di giacimenti di acqua o di giacimenti minerari. La r., praticata fin dall’antichità, consiste nel percorrere in tutti i sensi il terreno tenendo in mano una verga di legno dolce a forma d’arco; passando sul punto del giacimento cercato, la verga si incurva con un rapido guizzo per l’azione di movimenti automatici dei muscoli provocati, secondo alcuni, dall’emissione di particolari radiazioni capaci di colpire la specifica sensibilità dell’apparato neurovegetativo del rabdomante, provocando in esso scariche motorie. Da “Universale Leonardo”, Walk Over Italiana Editrice (BG) 1977.

[7] König H.L., Betz H-D.: Erdstrahlen? Der Wünschelruten Report, Wissenschaftlicher Untersuchungsbericht, Eigenverlag, München, 1989

[8] Betz H-D.: Unkonventionelle Wasserprospektion, Felderprobung der Rutengänger-Methodik in Trockenzonen, Deutsche Gesellschaft für Technische Zusammenarbeit GTZ GmbH, 1993

[9] Y.Rocard: La scienza e i Rabdomanti, Longanesi 1990

[10] Anatomical localisation of human detection of weak electromagnetic radiation: experiments with dowsers, Harvalik Z.V. Physiol.Chem. & Physics, 10, 525-534, 1978

[11] Sugli effetti biologici e fisiologici del campo magnetico in Atti del Convegno della Salute, Ferrara 1966.

[12] Prof. Roberto Chiari, comunicazione al corso professionale per Esperti in Analisi Geobiofisica dei Luoghi tenuto dall’Istituto GEA; 2001


[1] per i materiali, e quindi per i terreni, i gruppi di reazioni energetiche sono fondamentalmente 4, mentre per le persone diventano 5 (Analisi Bioenergetica).


[1] Prof. Roberto Chiari, comunicazione al corso professionale per Esperti in Analisi Geobiofisica dei Luoghi tenuto dall’Istituto GEA; 2001


[1] GEA geobiophysical environmental analysis, istituto per l’analisi geobiofisica dell’ambiente, www.istitutogea.it , dal 1996 si occupa della divulgazione dell’analisi geobiofisica tra il pubblico e della preparazione professionale degli Esperti in Analisi Geobiofisica dei Luoghi con una posizione critica vicina al pensiero scientifico e lontana dall’esoterismo.

[2] Bergsmann dr Otto  “Risikofaktor Standort”  Facultas Verlag, Wien 1990.

[3] I termini: analisi geobiofisica, indagine geobiofisica, analisi geobiofisica dell’ambiente e simili sono stati introdotti dall’Istituto GEA.

I RETICOLI DETTI “DI HARTMANN” E “DI CURRY”: vediamo di cosa si tratta

capannone edif copia
campi energetici reticolari con punti di massima intensità (rosso = H – verde = C)

di Pier Prospero  —

La Geobiologia si differenzia dalla Rabdomanzia perché studia in particolare la presenza e la nocività dei Campi Energetici Reticolari che avvolgono la superficie terrestre con strette maglie di pochi metri e sono orientati dal Nord magnetico terrestre.

Si tratta soprattutto del reticolo energetico parallelo al Nord Magnetico, detto di Hartmann, con maglie (al 45° parallelo) di 2,05/2,10 metri verso Nord-Sud e metri 2,55/2,60 verso Est-Ovest, con le “pareti” larghe 21 centimetri, e del reticolo energetico diagonale al Nord magnetico, detto di Curry (dall’ing. Manfred Curry, austriaco, che lo ha proposto per primo al pubblico) con maglie più variabili in un intorno dei tre metri e mezzo per tre metri e mezzo, con le “pareti” larghe circa 40 centimetri.
I campi energetici reticolari sono indipendenti tra loro e non si interferiscono, quindi non vi sono “incroci” tra le pareti del reticolo di Hartmann e le pareti del reticolo di Curry. Inoltre non sono interferiti, né modificati dagli altri campi energetici di varia natura che si trovano nell’ambiente nè da oggetti o da menhir ecc.

rabdomante da libro anticoLa rabdomanzia invece si è dedicata per secoli alla individuazione di scorrimenti sotterranei di acqua da captare o di vene metallifere da intercettare con scavi minerari; a questo proposito ci sono giunti anche alcuni dettagliati manuali del 16° secolo, ed è plausibile pensare che in mancanza di qualsiasi conoscenza geologica l’individuazione delle zone dove scavare fosse affidata ai rabdomanti, persone ipersensibili alle variazioni di campo che erano, e sono, in grado di percepire la conformazione del substrato.   I reticoli energetici probabilmente erano percepiti fin dall’antichità come fenomeni “magici”, espressione della forza della Terra, ed erano usati come “guida” per le costruzioni sacre, considerando che le rendessero magiche o che le rafforzassero.
Erano conosciuti, ma la loro ricerca non era “utilitaristica” bensì sacra e spirituale, per cui era appannaggio delle classi sacerdotali.
L’attuale ricerca dell’Istituto GEA ha verificato che molte chiese romaniche, in posti lontani tra loro, hanno il perimetro, o altri elementi importanti della struttura, in coincidenza con le “pareti” dei reticoli energetici e questo ci permette di pensare che la posizione di queste “pareti” energetiche sia stabile, almeno nell’arco di ottocento-novecento anni, dando per scontato che l’aver posizionato le strutture delle diverse chiese dove si percepiscono le “pareti” dei reticoli non si possa configurare come pura coincidenza, data la sua ripetizione e in posti molto diversi e distanti tra loro, ma in un medesimo periodo storico.

Solo all’inizio del Novecento si torna a parlare di reticoli energetici in senso laico con intento scientifico e si ipotizzano come forme di energia naturale. Infine negli anni cinquanta-sessanta il dr Ernst Hartmann col fratello Robert riuscirono a formalizzare il modello preciso del reticolo parallelo al Nord (che di conseguenza prende il nome da loro) individuandone la maglia di due metri per due metri e mezzo e scoprendo e dimostrando la nocività e la grave pericolosità per la salute degli “incroci” delle “pareti” del reticolo, punti dove il reticolo ha la massima intensità energetica.

analisi geo x ristrutturazione copia
reticoli energetici parallelo al nord (in rosso) e diagonale al nord (in verde)

I Campi Energetici Reticolari che avvolgono la superficie del pianeta da qualche centinaio di metri sottoterra fino alla ionosfera potrebbero essere dovuti ciascuno ad una coppia di fonti con emissione uguale o simile (su un’armonica) che creano “pareti” energetiche verticali e perpendicolari. Queste onde si intersecano nei punti di massima intensità (chiamati comunemente “incroci”) nei quali le due emissioni, entrando in fase, si rinforzano reciprocamente.
Qualcosa di analogo è osservabile nel far cadere contemporaneamente dalla stessa altezza due pesi uguali in uno specchio di acqua ferma.
Alla piccola scala questi campi sembrano avere maglie ad andamento rettangolare. A grande scala se ne vede una leggera curvatura.

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reticolo H rilevato per 50 metri: si percepisce una  sua leggera curvatura

Questa curvatura rende impossibile la proiezione del reticolo su una mappa, dati alcuni punti rilevati, anche in un’area limitata, poiché oltre i 10 metri di proiezione l’errore diventa eccessivo falsando tutto il disegno. Occorre quindi ricorrere a un esperto ipersensibile per farsi fare la mappa delle zone di disturbo naturali con il suo sopralluogo in ciascun sito che ci interessa.
Non si conoscono, per ora, né la natura né le origini dei campi energetici reticolari, e nemmeno la loro composizione energetica, anche se avendo un comportamento verticale sono stati pensati come espressione delle onde “scalari”.
Inoltre dal momento che le loro informazioni sono registrabili con sofisticati apparecchi medici quali il MoRa e il Bicom che registrano frequenze di bioelettromagnetismo si deve per forza

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apparecchio Bicom per la Medicina Bioelettronica

ritenere che abbiano una componente elettromagnetica (esperimenti condotti dall’Istituto GEA hanno dimostrato che le frequenze elettromagnetiche ci sono e sono riconoscibili).

E’ accertato che i punti di massima intensità dei reticoli energetici parallelo al Nord, detto di Hartmann, e diagonale al Nord, detto di Curry, possono nuocere gravemente, nel senso di creare punti di focalizzazione nel nostro corpo.
Si comportano perciò come radiazioni localizzate.
In genere le maglie di questi campi energetici reticolari sono orientate dal campo magnetico terrestre e si alterano solo quando anche il campo geomagnetico si modifica. Seguono quindi il magnetismo terrestre anche nelle sue torsioni e variazioni.
Non subiscono invece l’influenza delle energie emesse a livello idrogeologico, ed è completamente falso che una costruire una struttura megalitica con grossi massi permetta di “manipolare” in modo temporaneo o stabile la configurazione geobiologica locale.

La direzione delle “pareti” energetiche che compongono questi reticoli non varia nemmeno in presenza di grosse masse metalliche: si tratta di una incomprensione dei fenomeni dovuta all’applicazione del “pensiero magico” da parte dei rilevatori, pensiero che nel suo infantilismo non comprende ad esempio che il campo geomagnetico non cambia al variare della direzione dell’ago della bussola se a far girare l’ago sono delle masse metalliche; il campo geomagnetico è sempre nella stessa direzione in quanto non viene influenzato da masse metalliche relativamente modeste che invece attraggono l’ago della bussola. I reticoli energetici seguono il campo geomagnetico, non l’ago della bussola, ma questo è “pensiero logico” o per meglio dire “ragionevole” e difficilmente fa presa su chi ha una visione distorta e falsa di questi fenomeni.

Nemmeno i campi elettromagnetici tecnologici dovuti alle normali teletrasmissioni sono in grado di alterare le maglie dei campi reticolari, nonostante le ripetute affermazioni in tal senso che sono reperibili in rete e nelle pubblicazioni a stampa. Basta provare.
Questi disturbi tecnologici alterano solo la percezione degli operatori e se affermano che invece a deformarsi sono i reticoli vuol dire solo che non ne sono consapevoli, non conoscono il loro biocampo e non sanno che può far sbagliare la rilevazione.

Il campo geomagnetico, e con lui la direzione delle maglie dei reticoli energetici, è deviato invece dagli effetti di faglie trascorrenti o da altre situazioni geologiche particolari e ”forti”.

campo geomagnetico mappa534 copia
declinazione del campo magnetico terrestre

Sono comunque disponibili le mappe del campo magnetico con le sue alterazioni (ma l’Italia ne è poco interessata). Gli esperti del Gruppo di Ricerca fondato dal dr Hartmann hanno dimostrato che nel nord della Germania, nelle zone dove vi sono notevoli deviazioni del campo magnetico terrestre, la maglia del reticolo parallelo al Nord (di Hartmann) segue il campo mgnetico nella sua deviazione. Non sono certo le strutture metalliche delle case o le grandi pietre infisse nel terreno ad avere qualche effetto sui reticoli!
A questo proposito è bene evidenziare che se vi sono anomalie nella maglia dei reticoli in prossimità di un menhir o di un monumento archeologico è per “segnalare” queste anomalie  che nel passato vi è stato posto in coincidenza un menhir o un altro monumento megalitico, non è certo il menhir o il monumento a creare l’anomalia nel reticolo!
Non è questo nostro pensiero quello “rovescio”: sono i radiestesisti che applicando il pensiero magico infantile invertono le cose, non ne sono consapevoli e strombazzano ovunque le loro “verità” esponendo l’intera Geobiologia agli attacchi degli scettici e al ridicolo.

La prima teoria moderna sulla natura di questi campi energetici reticolari era basata su assunti scientifici: alcuni autori si rifacevano alle scoperte di G. Lakhovsky, un ricercatore degli anni trenta del secolo scorso, e ritenevano che i campi reticolari traessero origine dalla rifrazione delle Onde Cosmiche dovuta alla diversa permeabilità del terreno poiché i vari substrati geologici hanno una diversa capacità di assorbimento o di riflessione rispetto a queste onde. A quei tempi le Onde Cosmiche erano state scoperte da poco e ancora poco conosciute, mentre con le conoscenze attuali questa ipotesi tende a decadere.
Successivamente il gruppo di ricerca che faceva capo al dr Hartmann formulò un’altra ipotesi con R. Endross e K. E. Lotz che pensavano questi campi energetici come effetto della fuoriuscita di neutroni dai processi di decadimento degli isotopi degli elementi pesanti della crosta terrestre. I neutroni in fuga non verrebbero assorbiti dalle rocce della crosta e fuoriuscendo creerebbero dei “muri” di energia dal basso verso l’alto ad andamento perpendicolare fra loro.
Sembra che poi la teoria si decaduta dal momento che è stato dimostrato che i neutroni in fuga non si dispongono in modo regolare e non formano “pareti” ma interessano intere aree.
Il dottor W. Ludwig, collaboratore di consulenti della NASA per lo studio dei campi elettromagnetici naturali da riprodurre nelle stazioni spaziali, ha formulato negli anni novanta del secolo scorso un’ulteriore teoria che vede i campi energetici reticolari come fenomeni ondulatori dovuti all’effetto di risonanza prodotto dalla ionosfera e dalla crosta terrestre (compresi gli oceani), che sono masse sferiche concentriche e costituiscono un enorme “risonatore sferico” che emette un’onda portante a 7.8 Hz, detta Onda di Schumann, della quale i reticoli energetici potrebbero, secondo Ludwig, costituire delle armoniche in sequenza, interagenti con il campo magnetico del pianeta e da ciò la loro polarizzazione con il Nord magnetico.
Il Forschungskreis für Geobiologie del dr Ernst Hartmann nello stesso periodo ha studiato per un decennio la natura del reticolo energetico parallelo al Nord ma questi studi, condotti anche in collaborazione con importanti università tedesche, non hanno avuto esiti significativi.
Probabilmente tutte queste ricerche costituiscono solo alcuni tasselli di un mosaico del quale non si riconosce ancora il disegno.

L’unica cosa che in realtà negli anni è stata dimostrata in modo sempre più convincente è la nocività dei punti di massima intensità, o incroci, dei reticoli energetici poiché si sono intraprese delle analisi comparate in cieco che hanno messo in relazione la diagnosi medica con l’analisi geobiologica del posto del letto del paziente.
Questo è molto importante, e per noi è più che sufficiente per evitare di dormire con il corpo esposto all’irradiazione di uno di questi punti (in realtà si tratta di piccoli quadrati di superficie, 21 x 21 cm per il reticolo parallelo al nord e 40 x 40 cm per il reticolo diagonale al Nord).
Quindi da queste esigenze di ricerca medica viene rafforzata la necessità di disporre di una “mappa delle zone di disturbo” della propria abitazione in modo da disporre l’arredamento, e soprattutto i letti, in zone in cui non sono presenti le radiazioni naturali a noi nocive degli “incroci” dei reticoli energetici e quelle dovute alla geologia e all’idrogeologia.

“SENTIRE LA TERRA” ANALISI DI UN SEMINARIO TEORICO-ESPERIENZIALE DI GEOLOGIA PERCETTIVA

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ANALISI DI UN PERCORSO PERCETTIVO:
“SENTIRE LA TERRA” – PRIMO INCONTRO TEORICO-ESPERIENZIALE DI GEOLOGIA PERCETTIVA  tenuto il 27 maggio 2006 a San Remo IM   —
DISCUSSIONE DELLE RISPOSTE DATE DAI PARTECIPANTI SULLA SCHEDA DI PROMEMORIA PERCETTIVO —

di Pier Prospero —

DESCRIZIONE DELLA SITUAZIONE GEOBIOFISICA DEL SITO PERCEPITO (Monte Bignone, zona di San Romolo, m. 750 slm, sopra San Remo):
Questo seminario “Sentire la Terra” comprendeva un Percorso Percettivo caratterizzato da due siti e un momento di discussione sull’esperienza fatta e sulla Geobiofisica in generale. Il percorso è stato scelto sulla carta geologica cercando una situazione significativa nelle vicinanze di San Remo. Dalle carte geologiche si vede che l’area del percorso è posta sul contatto tettonico tra due piattaforme rocciose e nell’immediata prossimità di una faglia trasversa al contatto tettonico.

Il Seminario iniziava col ritrovo a San Romolo, piccolo centro sopra San Remo sul Monte Bignone, dove nel parcheggio vi è stata la possibilità di commentare alcuni cartelli che illustrano la zona dal punto di vista naturalistico e geologico, per poi recarsi fino allo spiazzo prima di una galleria dove parcSenza titolo1heggiare le auto e iniziare l’esperienza con gli esercizi di Autoregolazione Bioenergetica per aumentare la percezione e il grounding. Gli esercizi sono stati condotti da Marilinda Residori, psicologa specializzata in Analisi Bioenergetica e insegnante di esercizi di Autoregolazione Bioenergetica.

La strada asfaltata è di scarsissimo traffico, praticamente non passava nessuno.
Lo scambio energetico dell’area è a netta prevalenza di emittanza; la situazione tettonica generale è di compressione; la situazione tettonica locale vede presente anche una faglia distensiva (la valle che si apre a V).
I due lati del contatto tettonico si sono scontrati in seguito ai movimenti che hanno fatto ruotare le microplacche della Corsica e della Sardegna nella posizione attuale; il lato dove è stato fatto il percorso percettivo (lato SudEst) è quello che è sovrascorso, mentre l’altro lato (NordOvest) è quello che è stato schiacciato; il contatto tettonico occupa una fascia, larga fino a circa 2 km, che si snoda verso Nord partendo dalle vicinanze di Ventimiglia; questa fascia passa per il sito percepito, nel quale perciò vi è una emissione energetica abbastanza elevata e una informazione di “fondo” di forte compressione. I siti sono due: il Sito 1 è il percorso sulla strada forestale che subito dopo la galleria (provenendo da San Romolo) scende verso NordOvest; il Sito 2 è la galleria sulla strada asfaltata.

Lo spiazzo di parcheggio con i tavoli di legno dove sono stati svolti gli esercizi di Bioenergetica all’inizio dell’esperienza è in una situazione di emissione e compressione, forti ma non così estreme.

La strada forestale, che è stata percorsa per un buon tratto per poi ritornare su alla galleria, oltre al fondo di emissione energetica dato dal contatto tettonico, ha delle significative variazioni nell’informazione da compressiva a distensiva e viceversa.

Alla prima sosta nel punto contrassegnato col numero 63 dipinto sulla roccia (corrispondente alla Zona B del promemoria) l’informazione prevalente è di distensione.

Il punto di raggruppamento scelto per l’inversione della marcia è su una sacca di acqua sotterranea (di percolazione) che faceva capire molto bene come si percepisca lo scambio energetico dell’acqua che assorbe energia nell’infrarosso e cambia di molto la situazione del sito (freddo umido, sprofondamento) questo punto non è stato segnato nel promemoria, ed è stato un errore, ma alcuni partecipanti probabilmente vi hanno fatto riferimento segnalando le loro percezioni alla Zona C.

La galleria sulla strada asfaltata da San Romolo per Perinaldo ha una inclinazione di circa 30-35 gradi rispetto alla faglia trasversa che le passa praticamente a lato; all’interno, a circa un terzo della galleria provenendo da San Romolo, vi è anche una dislocazione locale della roccia. Quindi all’interno della galleria vi è una significativa differenza nella percezione anche solo tra il percorrerla da un lato o dall’altro, inoltre vi è il punto di passaggio sulla linea di dislocazione che, pur avendo minore emissione, è percepibile in modo molto netto. In tutta la galleria, e nel punto della dislocazione in particolare, si ha il massimo di irradiazione e di percezione dell’energia tellurica con l’informazione di compressione. Il percorso a piedi nella galleria si presta anche suggestivamente all’idea di entrare nella Terra e alla percezione di queste emissioni energetiche. Il percorso a zigzag in direzione di Perinaldo permette di percepire il massimo di contrasto davanti a sé guardando il lato destro e la sua diminuzione guardando l’altro lato della galleria.

Le faglie hanno effetto sulla pressione sanguigna quindi sono percepite diversamente dalle persone ipo-tese rispetto alle persone iper-tese. Nell’area del percorso vi era in prevalenza informazione di compressione. La compressione crea tensione quindi innalza la pressione sanguigna, perciò una prima distinzione è stata fatta tra i partecipanti ipo-tesi e quelli iper-tesi poiché le loro sensazioni di benessere o malessere possono essere diverse o anche opposte.

Sui 25 promemoria consegnati si sono dichiarati tendenzialmente ipo-tesi (pressione normale che tende ad abbassarsi) 19 partecipanti (76%)

Si sono dichiarati tendenzialmente iper-tesi 5 partecipanti (20%)

Un partecipante non si è definito.

Le risposte del promemoria erano a coppie di opposti per cui si escludevano tra loro a due a due.

Alla partenza, dopo gli esercizi, si era raggiunto un certo radicamento e vi era già una percezione iniziale. Si è attraversata la galleria senza soffermarsi, solo con una prima percezione “di assaggio”, e ci si è incamminati lungo la strada forestale che inizia sulla destra subito dopo la galleria e scende nella valle.
Dopo un po’ di curve si è arrivati al punto di sosta denominato “Zona B” per effettuare una percezione di gruppo (e per osservare gli strati geologici in evidenza); qui i partecipanti dovevano segnalare le sensazioni provate in questa sosta. Il tempo era splendido ed eravamo puntuali. Si è proseguito fino al punto finale sulla sacca di acqua di percolazione dove il gruppo si è soffermato un po’ e poi ha invertito la marcia iniziando a risalire. Sul promemoria però (per una svista) manca questo ultimo punto di sosta.

Si ribadisce che ai partecipanti non è stata data alcuna indicazione sulle percezioni, né sulla situazione geologica specifica: è stato detto genericamente che ci si trovava in una zona di forte scarica energetica per la presenza di faglie e sono state date istruzioni solo sui posti dove soffermarsi a percepire e sulle zone del corpo in cui di solito si hanno significativi segnali (gambe, diaframma, petto, gola). L’esperienza perciò è stata svolta “in cieco” poiché i partecipanti non sapevano cosa aspettarsi, mentre gli accompagnatori, che ne erano al corrente, non lo hanno comunicato, né fatto capire in altri modi.
Il promemoria era sperimentale ed è stato via via messo a punto e migliorato negli anni successivi.

ANALISI DELLE RISPOSTE DATE SUI PROMEMORIA ALLA PERCEZIONE DEL PROPRIO STATO IN RELAZIONE AL SITO
Primo punto del promemoria Zona A: stato iniziale – situazione di faglia compressiva, le risposte sono state date dopo gli esercizi di Autoregolazione Bioenergetica

benessere = 14 di cui 11 ipo-tesi (5 ipo-tesi associano invece “senso di innalzamento/spinta verso l’alto” riferendosi alla percezione dell’informazione data dalla situazione geofisica; 2 iper-tesi hanno associato “senso di sprofondamento/appesantimento delle gambe” dando chiaramente l’idea di riferirsi al grounding).
malessere = 4 di cui 1 ipo-teso.
Non rispondono = 7

senso di innalzamento/spinta verso l’alto = 4 di cui 1 ipo-teso (maggior risalto alla percezione degli effetti dell’energia del luogo; uno associa a questa sensazione generica uno stato specifico di chiusura a livello dello sterno e blocco del diaframma dando la descrizione precisa di cosa avviene nel corpo permanendo in un luogo in forte emissione energetica compressiva; un iper-teso ha segnalato un malessere specifico per una sensazione di tensione e un tremore o formicolio ai piedi, dando anch’egli una descrizione abbastanza chiara di cosa avviene, ma associandolo al malessere, denunciando così che quel tenore energetico gli era eccessivo.
senso di sprofondamento/appesantimento alle gambe = 20 di cui 15 ipo-tesi (dovendo escludere che vi fosse acqua sotterranea in corrispondenza dello spiazzo, rimane valida la spiegazione data da Marilinda che si tratti dell’effetto di grounding dovuto agli esercizi su persone non abituate a percepire consapevolmente il proprio radicamento poiché in questo modo hanno sentito molto più del solito i piedi e le gambe poggiati sul terreno; 3 iper-tesi hanno associato “malessere generico” o specifico per vibrazioni ai piedi e percezione di tensioni muscolari)
Non rispondono = 1

Secondo punto del promemoria, Sito 1 Zona B: punto di sosta dopo un tratto di cammino, percezione di gruppo – Situazione di fondo compressivo e di faglia distensiva, prevalenza della distensione

benessere = 6 di cui6 ipo-tesi
malessere = 6 di cui 6 ipo-tesi (per aumento del battito cardiaco e per la contrattura alle gambe)
non rispondono: 13

miglioramento rispetto a prima = 15 di cui 14 ipo-tesi (dei quali 1 associa “spinta verso l’alto”)
peggioramento rispetto a prima = 2 di cui 1 ipo-teso
non rispondono: 8

innalzamento/spinta verso l’alto = 2 di cui 1 ipo-teso (1 segnala spinta verso avanti con maggiore apertura del respiro)
sprofondamento/appesantimento delle gambe = 1 (molto probabilmente riferendosi al punto di sosta finale sull’acqua sotterranea)
non rispondono: 22

Terzo punto del promemoria, Sito 1 Zona C: durante la passeggiata, percezione di gruppo al ritorno sulla strada asfaltata. Durante il cammino situazione mista con compressione e distensione; all’arrivo sulla strada asfaltata prevalenza di compressione

benessere = 8 di cui 7 ipo-tesi
malessere = 4 di cui 4 ipo-tesi (problemi a gambe e respiro, 2 però migliorano rispetto a prima, sempre nel malessere)
non rispondono: 13

miglioramento rispetto a prima = 8 di cui 5 ipo-tesi
peggioramento rispetto a prima = 7 di cui 5 ipo-tesi (1 specifica problemi di contrattura alle gambe; 1 pressione alla testa)
non rispondono: 10

senso di innalzamento/spinta verso l’alto = 1 di cui 1 ipo-teso
senso di sprofondamento/appesantimento alle gambe = 5  di cui 4 ipo-tesi
non rispondono: 19

Dopo essere ritornati sula strada asfaltata, non essendovi alcun passaggio di auto, è stato proposto di attraversare la galleria (verso San Romolo) in centro alla carreggiata e in fila indiana un po’ distanziati, cercando di percepire cosa cambiava in ciascuno (percezione individuale).
Arrivati allo spiazzo con i tavoli di legno è stato proposto di riattraversare la galleria nell’altro senso (verso Perinaldo) percorrendola andando a zigzag da una parete all’altra con un angolo di circa 30° rispetto alle pareti, sempre abbastanza distanziati per permettere una percezione individuale. Arrivati di nuovo all’imbocco della strada forestale sono stati raccolti i promemoria e l’esperienza è stata conclusa, anche se qualcuno si è ripercorso altre volte da solo la galleria.
Le sensazioni provate e i dubbi sono stati discussi poi nella sala della Villa Nobel messa a disposizione dal Comune di San Remo.

Quarto punto del promemoria, Sito 2 Zona D: attraversamento della galleria in direzione San Romolo, percezione individuale. Situazione di forte compressione; la spinta tettonica proviene da dietro a sinistra, quindi camminando si viene portati avanti piegando verso destra

benessere = 11 di cui 8 ipo-tesi (2 aggiungono la sensazione di spinta verso l’alto, 3 associano sensazione di appesantimento)
malessere = 10 di cui 6 ipo-tesi (6per senso di oppressione e problemi al battito cardiaco; 6 per appesantimento delle gambe; 1 per problemi alla nuca)
non rispondono: 4

miglioramento rispetto a prima = 2 di cui 1 ipo-teso
peggioramento rispetto a prima = 5 di cui 5 ipo-tesi(1 per problemi alle gambe, alle mani, alla testa e per rotazione a destra, 1 per male al ginocchio e appesantimento delle gambe; 2 per problemi di groppo in gola, peso sulle spalle, oppressione, difficoltà respiratoria, senso di svenimento)
non rispondono: 18

sensazione di spinta da dietro = 10 di cui 5 ipo-tesi (1 segnala anche spinta da davanti; 1 specifica anche spinta da sinistra verso destra; 2 segnalano anche la percezione di una spinta laterale)
sensazione di spinta da davanti = 3 di cui 2 ipo-tesi
non rispondono: 12

Quinto punto del promemoria, sito 2 Zona E: attraversamento della galleria in direzione Perinaldo andando a zigzag, percezione individuale. Situazione di forte compressione; andando verso il lato destro la spinta tettonica è di fronte, quindi contrasta l’avanzare; andando verso il lato sinistro il contrasto diminuisce e la spinta proviene da destra.

benessere = 13 di cui 10 ipo-tesi (1benessere uscendo e spinta avvicinandosi all’altro lato; 1 anche spinta da dietro e disorientamento)
malessere = 10 di cui 9 ipo-tesi (2 perproblemi di giramento di testa, tachicardia, 1 per tensione al diaframma, peso alle spalle, 1 pressione avvicinandosi ad un lato della galleria; 6 per problemi di palpitazioni, respiro affannoso, senso di oppressione, vertigini, appesantimento alle gambe; 2 per una spinta oppressiva da sinistra a destra; 1 per problemi alle gambe, alla zona lombare e alla zona cervicale con vertigini)
non rispondono: 2

miglioramento rispetto a prima = 2 (1 rispetto alla sensazione provata nel verso opposto; 1 pur permanendo qualche problema alla nuca)
peggioramento rispetto a prima = 4 di cui 3 ipo-tesi (2 persensazioni di sbandamento, di andare in salita, 1 per appesantimento)
non rispondono: 19

senso di innalzamento/spinta verso l’alto = 5 di cui 3 ipo-tesi
senso di sprofondamento/appesantimento alle gambe = 6 di cui 5 ipo-tesi (1torsione da sinistra a destra e un peggioramento a metà percorso)
non rispondono: 14

 IN TERMINI PERCENTUALI LA RISPOSTA AI 25 “PROMEMORIA” È QUESTA:

Inizio Zona A – spiazzo di parcheggio, dopo gli esercizi di Bioenergetica – situazione di faglia compressiva

benessere generico: 56%    di cui 78,6% ipo e 21,4 iper
malessere generico o malessere specifico:  16%    di cui 25% ipo e 75% iper
non si esprime:  28%

senso di innalzamento/spinta verso l’alto (percezione della faglia):   16%    di cui 25% ipo e 75% iper
senso di sprofondamento/appesantimento alle gambe (percezione del grounding): 80%    di cui 75% ipo e 25% iper
non si esprime:  4%

Sito 1 Zona B – strada forestale – punto di sosta – situazione distensiva con fondo di compressione dato dal contatto tettonico

benessere generico:  24% di cui 100% ipo
malessere generico o malessere specifico:  24% di cui 100% ipo
non si esprime:  52%

miglioramento rispetto a prima:  60% di cui 93% ipo
peggioramento rispetto a prima:  8% di cui 50% ipo
non si esprime:  32%                

senso di innalzamento/spinta verso l’alto (percezione della faglia):  4% di cui 100% ipo
senso di sprofondamento/appesantimento alle gambe (probab. percez. acqua sott.):  4% di cui 0% ipo
non si esprime:  92%

Sito 1 Zona C – strada forestale – durante la passeggiata – situazione di alternanza tra la prevalenza di compressione e la prevalenza di distensione in un fondo compressivo dovuto al contatto tettonico

benessere generico:  32% di cui 87,5 ipo
malessere generico o malessere specifico:  16% di cui 100% ipo
non si esprime: 52%

miglioramento rispetto a prima: 32% di cui 62,5% ipo
peggioramento rispetto a prima: 28% di cui 71,4% ipo
non si esprime: 40%
senso di innalzamento/spinta verso l’alto (percezione della faglia):  4% di cui 100% ipo

senso di sprofondamento/appesantimento alle gambe (percez. della tensione e dell’irrigidimento muscolare):  20% di cui 80% ipo
non si esprime:  76%

Sito 2 Zona D – attraversamento della galleria in direzione San Romolo, percezione individuale – la spinta principale viene dal contatto tettonico che è dietro le spalle delle persone; la faglia locale produce una spinta laterale da dietro a sinistra.

Benessere generico:  44% di cui 72,7% ipo
malessere generico o malessere specifico: 40% di cui 60% ipo
non si esprime: 16%

miglioramento rispetto a prima:  8%   di cui 50% ipo
peggioramento rispetto a prima:  20%  di cui 100% ipo
non si esprime:  72%

spinta da dietro:  40% di cui 50% ipo (percezione esatta)
spinta da davanti:  12% di cui 66,7% ipo (percezione inversa)
non si esprime:  48%

sito 2 Zona E – attraversamento della galleria in direzione Perinaldo, percezione individuale – percorso a zigzag: andando verso il lato destro si ha il massimo di contrasto con spinta della faglia locale esattamente davanti alla persona e quella del contatto tettonico davanti a sinistra; andando verso il lato sinistro si ha la spinta da destra e meno contrasto.

benessere generico:  52% di cui 77% ipo
malessere generico o malessere specifico:  40% di cui 90% ipo
non si esprime:  8%

miglioramento rispetto a prima:  8%  di cui 0% ipo
peggioramento rispetto a prima:  16% di cui 75% ipo
non si esprime:  76%

senso di innalzamento/spinta verso l’alto (percezione della faglia):  20% di cui 60% ipo
senso di sprofondamento/appesantimento alle gambe (percez. della tensione e dell’irrigidimento muscolare):   24% di cui 83% ipo
non si esprime:  56%

COMMENTO ALL’ANALISI DELLE RISPOSTE
Alla partenza (Zona A) si è su una compressione, ma la maggior parte delle persone ha provato benessere e senso di grounding dovuti agli esercizi di Autoregolazione Bioenergetica fatti fare da Marilinda; è interessante vedere che quelli che hanno provato benessere sono per tre quarti ipotesi e che quelli che hanno provato malessere sono invece iper-tesi nella stessa proporzione; questo può significare che in una situazione compressiva dopo gli esercizi bioenergetici le persone tendenzialmente ipo-tese staranno quasi tutte bene mentre quelle tendenzialmente iper-tese staranno quasi tutte male. Su queste sensazioni di base, abbastanza semplici e immediate, si sono espresse i due terzi delle persone.

Anche nella propriocezione rispetto allo scambio energetico (semplificata in “senso di innalzamento” e “senso di sprofondamento”) quasi tutti i tendenzialmente ipo-tesi hanno percepito di più il grounding rispetto alla faglia, poiché hanno un vantaggio dallo scambio energetico in emittanza che è stato canalizzato e integrato con gli esercizi, mentre i tendenzialmente iper-tesi hanno percepito quasi tutti maggiormente la spinta della faglia che aumenta la loro carica. Su questo si sono espressi praticamente tutti.
Perciò sembra essere stato paradossalmente più facile riconoscere se si era spinti in alto o appesantiti verso il basso rispetto a riconoscere semplicemente se si stava bene o male.

Al primo punto di sosta dopo un breve percorso sulla strada forestale (Sito 1 Zona B) si è in prevalenza di distensione ma le risposte probabilmente sono quasi tutte riferite al percorso tra i due punti piuttosto che al posto dove si sta sostando.

Confermando la difficoltà nel definire i propri stati, solo metà persone e solo tendenzialmente ipo-tesi rispondono su benessere o malessere e lo fanno dividendosi esattamente: metà stanno bene e metà stanno male. Si potrebbe pensare che la distensione e la compressione, presenti entrambe, siano percepite in modo privilegiato dalle diverse persone, e quindi che per alcuni prevalga il beneficio della distensione mentre per altri questa informazione sia problematica se devono fare anche un minimo sforzo. Il dato sulla modificazione del proprio stato rispetto all’inizio è quindi molto significativo: una gran parte di persone, praticamente tutte tendenzialmente ipo-tese, stanno meglio di come stavano alla partenza; una piccola parte invece si sente peggio e comprende quasi tutti i tendenzialmente iper-tesi. Meno persone, solo un terzo, non riescono a definire il cambiamento o non percepiscono alcun cambiamento. Si può pensare quindi che la maggior parte dei tendenzialmente ipo-tesi camminando e con una compressione di fondo non molto forte stiano meglio perché muovendosi sfruttano questa energia e si caricano, dove con gli esercizi e il grounding erano stati già costretti a integrarla al loro proprio interno. I tendenzialmente iper-tesi invece con gli esercizi e il grounding nella maggior parte aumentano la loro tensione e nel camminare in un “fondo” compressivo la aumentano ulteriormente, quindi percepiscono malessere e peggioramento. In una situazione mista di compressione e distensione, e in un tratto in cui hanno camminato più volte su acqua sotterranea in scorrimento veloce, avendo percepito entrambe le sensazioni, la quasi totalità non riesce a decidere se vi è spinta verso l’alto o appesantimento e sprofondamento e non risponde.

Durante la passeggiata successiva (Sito 1 Zona C) la strada forestale con i suoi tornanti offriva un’alternanza tra la prevalenza di compressione e la prevalenza di distensione pur con una compressione di fondo sempre presente per via del contatto tettonico; la metà delle persone non riesce ancora a esprimere se si sente bene o male; quelli che lo fanno, quasi tutti tendenzialmente ipo-tesi, si sentono bene per due terzi e male per un terzo. Un po’ più persone percepiscono il miglioramento o il peggioramento rispetto al punto di sosta precedente e si distribuiscono più o meno come quelli che si sentono bene o male.

Un terzo di persone, quasi tutte tendenzialmente ipo-tese, percepiscono benessere e miglioramento in questo tratto del percorso che scende fino ad una zona molto umida con una sacca di acqua sotterranea di percolazione e poi risale percorrendo a ritroso lo stesso sentiero.

I tendenzialmente iper-tesi migliorano quasi tutti, probabilmente perché in salita possono scaricare l’eccesso di energia incamerato; una buona parte di ipo-tesi peggiora, probabilmente perché lo scarico energetico per la fatica di camminare in salita prevale sulla ricarica dovuta alla faglia, oppure perché gli è stato molto nocivo l’assorbimento di energia da parte della sacca d’acqua sotterranea.

La percezione della spinta dovuta alla faglia è di pochissime persone, tutte tendenzialmente ipo-tese; la percezione di sprofondamento o di appesantimento alle gambe invece è sentita da un quinto delle persone, in maggior parte ipo-tesi e si può tradurre nella percezione di una tensione alle gambe prodotta dall’irrigidimento dei muscoli dovuto all’informazione di compressione; praticamente è il motivo per cui avvertono un peggioramento rispetto al punto precedente.

Arrivati nuovamente alla galleria (Sito 2 Zona D), ne è stato proposto l’attraversamento in centro alla carreggiata, in fila indiana e distanziati, con una percezione più individualizzata, la spinta tettonica è forte e proviene da dietro a sinistra, la situazione è di una forte compressione.

La maggior parte delle persone qui riesce a definire la sensazione di benessere o malessere dividendosi quasi esattamente tra le due sensazioni. Pochissimi migliorano rispetto alla sosta precedente. Un quarto, tutti tendenzialmente ipo-tesi, peggiorano; la maggior parte non riconosce cambiamenti. Si può supporre che chi sta male, peggiora o non si esprime percepisca l’eccesso di compressione che qui è molto più forte che nella strada forestale; inoltre il fatto di entrare dentro la roccia con la galleria amplifica le sensazioni e può mettere a disagio.

Metà persone non riescono a riconoscere la direzione da cui proviene la spinta tettonica; dell’altra metà chi la riconosce esatta è in netta prevalenza. Il 12% di persone che hanno la percezione inversa sentendo la spinta provenire da davanti a sé probabilmente hanno privilegiato la percezione della dislocazione locale che è trasversale alla galleria, rispetto alla spinta della faglia che è a fianco e a quella, che viene da dietro, del contatto tettonico che però è più generale e permea tutto l’ambiente.

A questo punto si è proposto di ripercorrere la galleria (Sito 2 Zona E) nell’altro senso, uno alla volta e andando a zig-zag rispetto ai lati della galleria. In questo modo andando verso destra la spinta dovuta alla faglia laterale proviene proprio da davanti alla persona, mentre la spinta del contatto tettonico proviene da davanti a sinistra; andando invece verso sinistra si ha meno contrasto nel camminare e una spinta che proviene dalla destra che fa sbandare verso il bordo della galleria.

Ancora più persone (il 92%) riescono ad individuare il proprio stato di benessere o malessere; la metà sta bene e migliora e l’altra metà sta male e peggiora; migliorano solo i tendenzialmente iper-tesi mentre quasi tutti i tendenzialmente ipo-tesi stanno male e peggiorano. Un po’ più della metà non percepiscono se vi è spinta di faglia o appesantimento alle gambe probabilmente perché in questa situazione non prevale la direzione verso l’alto o verso il basso, come invece suggerisce il promemoria (ed è un altro errore), ma la direzione orizzontale delle spinte; chi dichiara di sentire appesantimento nelle gambe molto probabilmente percepisce l’irrigidimento muscolare dovuto alla tensione causata dalla forte compressione; su questo punto il promemoria lascia un eccessivo margine di confusione.

Vi è una notevole varietà di risposte rispetto alla stessa situazione percepita, e questo conferma che non sono in alcun modo state date indicazioni a proposito, poiché le persone, anche all’interno della stessa tipologia, reagiscono in modo diverso alla presenza della stessa informazione energetica.

In ogni caso nei partecipanti vi è stato un alto livello di percezione e di specificazione degli effetti avuti nelle varie situazioni, sebbene le persone fossero tutte alla prima esperienza del genere e assolutamente inesperte della materia.

Perciò si può concludere che tutti hanno la possibilità di percepire lo scambio energetico dell’ambiente in posti in cui le emissioni siano abbastanza forti e le informazioni abbastanza decise, che questo scambio energetico ha un’influenza notevole sul benessere delle persone, e che questa influenza si esplicita in modo diverso da persona a persona.

“INCAPACITA’ DI PROCREARE E GEOPATOLOGIA”, di Ulrike Banis, ginecologa, specializzata in agopuntura: coppie che hanno difficoltà ad avere figli nonostante tutti i parametri della medicina siano normali possono essere esposte a zone di disturbo

INCAPACITÀ DI PROCREARE ED ESPOSIZIONE A ZONE DI DISTURBO GEOPATOGENE

di Ulrike Banis, ginecologa, specializzata in agopuntura; collaboratrice del Forschungskreis Für Geobiologie – vive e lavora a Stans sul Lago di Costanza (Svizzera)

Introduzione
Nella mia professione medica come ginecologa vengo a contatto con coppie che hanno difficoltà ad avere figli nonostante tutti i parametri della medicina tradizionale siano normali.
Allo stesso tempo vedo donne che rimangono incinte, che però perdono il feto per motivi sconosciuti e non riescono a portare e termine una normale gravidanza.
Nel mio studio sentivo spesso parlare di casi nei quali le problematiche sparivano con il cambio di posizione del letto. Ma a causa della mia preparazione scettica dovuta allo studio della medicina ufficiale non davo alcuna importanza alla cosa.
Nel corso della mia attività medica e per esperienza personale ho capito però che doveva esserci qualche motivo per questo fenomeno. Per esempio notai che mio figlio dopo che avevamo traslocato aveva iniziato a soffrire di insonnia tanto da dover ricorrere ad una terapia, problema che si risolse subito e in modo duraturo dopo che il suo letto cambiò posizione.
Anche con alcuni pazienti ebbi questa esperienza e notai che i loro sintomi scomparvero in modo duraturo cambiando la posizione del letto.
Ciò destò il mio istinto di ricercatrice e cercai nella letteratura medica delle conferme per una possibile connessione fra radiazione terrestre e manifestazioni di patologie, nello specifico essendo ginecologa mi interessai al tema della fertilità.

Ricerca storica nella letteratura
Il Dr. Ernst Hartmann, medico a Eberbach nelle vicinanze di Heidelberg e uno dei pionieri della ricerca in geopatia, descrisse in uno dei suoi libri[1] un esperimento sui topi: mise tre topi femmina e un topo maschio in un sito irradiato dal punto di vista geopatico e un gruppo identico di topi in un sito neutro e osservò per alcuni mesi il loro comportamento e il loro tasso di riproduzione. Per zona geopatogena, chiamata anche zona di disturbo, si intende un sito che si trova in corrispondenza di una faglia o di scorrimenti d’acqua sotterranea, oppure su un incrocio di campi magnetici tellurici (reticolo di Hartmann e reticolo di Curry). Queste zone geopatogene possono essere rilevate da persone particolarmente sensibili che riescono a rilevare le radiazioni e analizzate con degli strumenti di misurazione adeguati.
La famiglia di topi che viveva nella zona di disturbo – nella ricerca di Hartmann chiamata “punto Ca” – generò 56 piccoli, invece il gruppo di controllo non irradiato ne generò 124.
Hartmann inoltre constatò che i topi nella zona di disturbo evidenziavano un ritmo veglia-sonno disturbato, inoltre erano nervosi, aggressivi e disturbati nel loro istinto di cura della prole. Alcune madri addirittura mangiavano i loro piccoli.
Koenig e Betz presentarono nel “Rapporto sulla rabdomanzia”[2] del 1989 alcuni studi che confermano che le zone geopatogene hanno rilevanza sulle modalità di divisione delle cellule di animali e del genere umano.
Bergsmann confermò nelle sue ricerche[3], che le zone di disturbo non solo alterano la regolazione vegetativa, ma che modificano in modo significativo una intera serie di parametri inclusi i valori  ormonali (Serotonina).

Ricerche proprie
Per condurre una ricerca, dal 1996 visitai nel mio studio medico in modo sistematico donne che lamentavano di non riuscire ad avere bambini. Utilizzai anche il test muscolare kinesiologico secondo il Dr. Diamond, e le provette “Geovita”,  un preparato omeopatico composto da ferro, silicio, acido formico e cerebrum. Le provette Geovita sono costituite secondo il principio di somiglianza omeopatico, dove ferro, silicio e rame rappresentano le zone di disturbo; l’acido formico sta in rappresentanza delle formiche, che costruiscono i loro formicai sostanzialmente solo in zone di disturbo, e il Cerebrum rappresenta il cervello che reagisce in modo estremamente sensibile alle zone di disturbo.
Nel test kinesiologico da me praticato viene misurata la forza muscolare tenendo il braccio teso. Normalmente si testa la forza del muscolo. Il muscolo diventerà sempre più debole se si farà assumere al corpo – per via orale o per contatto cutaneo – una sostanza che provochi reazioni fisiologiche dannose. Se si danno in mano ai pazienti che fanno il test le provette Geovita possono esservi due reazioni: il braccio resta forte oppure il muscolo diventa debole. Se diventa debole significa che queste persone soffrono di un disturbo  geopatico (tempo impiegato per il test circa 2 minuti).
Due donne che non furono inserite nella ricerca e che inizialmente rimasero incinte ebbero un aborto. Successivamente fu rilevata una zona di disturbo geopatogena nella loro zona letto, il letto fu quindi spostato. Dopo lo spostamento del letto queste due donne rimasero nuovamente incinte spontaneamente e misero al mondo i loro bambini dopo una gravidanza senza complicazioni.
Alla ricerca furono ammesse 15 donne, 9 delle quali soffrivano di sterilità primaria – cioè non erano mai state incinte prima – e 6 di sterilità secondaria – cioè dopo una gravidanza e parto, non riuscivano più a rimanere incinte. Di queste 15 donne, 8 avevano provato una o più inseminazioni artificiali o altri interventi ginecologici per aumentare la fertilità. Per tutte le pazienti i parametri medici, come i valori tiroidei, la glicemia, i valori ormonali e la curva della temperatura non mostravano significative anomalie. Tutte le quindici donne furono da me pregate di spostare il loro letto dopo che fu constatato che era esposto ad un disturbo geopatogeno, come da indicazioni dell’esperto geobiologo.
Per mantenere validità alla sua indagine fu deciso di non informare il geobiologo sul motivo della consultazione (indagine in cieco rispetto alla zona del corpo ammalata).
Per il controllo da parte mia, il geobiologo preparò per ciascun caso lo schizzo del posto letto dove furono segnate le zone di disturbo trovate.
Nell’ambito di questa ricerca rinunciai a qualsiasi terapia aggiuntiva: non ho intrapreso nessun’altra forma di terapia naturale, come la terapia neurale, l’agopuntura, la terapia fitoestrogena ecc.  ed è da notare che più della metà delle donne erano già state sottoposte a trattamenti medici e classificate come casi senza speranza.
Delle 15 donne studiate, 8 rimasero incinte e misero al mondo un bambino, tutte dopo una gravidanza senza complicazioni. Altre sette donne in un periodo di osservazione di 4 anni non riuscirono a rimanere incinte. Delle 9 donne con sterilità primaria 3 rimasero incinte; delle 6 donne con sterilità secondaria, tutte rimasero incinte eccetto una.

                          Univ. Heidelberg   Clinica femm. Linz    IVF Centro Zurigo       Ricerca Banis

Quota di Gravidanze   29%                 27,5%                         ca. 30%                       8 su 15 (53,4%)

Quota di aborti              0%                     5%                          non nota                       nessuna (0%)

Gravidanze Extrauter.  0%                     0%                           non nota                       nessuna (0%)

BTR(1) Quota             29%                 21,7%                          ca. 30%                       8 su 15 (53,4%)
(1): Baby Take-home

La tabella mostra chiaramente che la quota delle donne che rimasero incinte dopo aver cambiato la posizione al letto, e che portarono a termine la gravidanza, è significativamente più alta rispetto alla quota di gravidanze ottenute attraverso altri metodi, convenzionali o alternativi, di incremento della fertilità.
Vorrei esporre più chiaramente due casi da me seguiti, per dimostrare che l’inserimento del fattore patogeno geobiologico nella terapia della mancanza di capacità procreativa non solo fa risparmiare tempo e denaro, ma risparmia alle coppie in questione anche molto stress emotivo.

Caso 1  Sig.ra F., nata nel 1959, desiderosa di avere un bambino dal 1992.
Nel 1994 operazione di ciste ovarica, dal 1992 otto (!!!) IVF (fecondazione in provetta), delle quali solo una a buon fine che terminò con un aborto nella decima settimana di gravidanza. La paziente si ammalò di depressione reattiva e lombaggine resistente a terapia, il marito soffriva di emicrania resistente a terapia. Al marito era stata diagnosticata azospermia. Test di geopatologia nel maggio del 1996. Immediato spostamento della zona letto. Test di gravidanza positivo nell’aprile del 1997, parto del figlio nel gennaio del 1998. Il decorso della gravidanza è stato senza problemi, lombaggine e emicrania  sono pure sparite senza l’utilizzo di altre terapie. La zona di disturbo geopatogeno di entrambi i partner si trovava nella zona del bacino e ciò rendeva difficile la maturazione degli spermatozoi e l’annidamento di una cellula ovulo fecondata.

Caso 2   Sig,ra S. nata nel 1958, desiderosa di avere un bambino dal 1992.
Febbraio 1993 aborto; ottobre 1993 aborto tardivo con malformazione dell’embrione.
Ottobre 1994 nascita di un bambino dopo una gravidanza trascorsa nella casa dei suoi genitori.
Ottobre1996 aborto; marzo 1997 aborto.
Tutte le visite della medicina tradizionale non davano alcun risultato tangibile.
Test di geopatologia nel novembre del 1997. Immediatamente fu modificata la posizione del letto. Test di gravidanza positivo nel dicembre del 1997 e parto della figlia nel settembre del 1998 dopo una gravidanza priva di complicazioni.
La zona di disturbo si trovava fra la sua testa e il bacino, quindi sia l’annidamento dell’ovulo che il ciclo di controllo ormonale dell’ipofisi erano ostacolati dall’esposizione alla zona di disturbo.

Conclusioni

Sono perfettamente conscia che gli esigui numeri di una ricerca fatta da un medico generico con specializzazione in ginecologia non possono portare dati statisticamente rilevanti.
L’osservazione dei casi isolati da me raccolti palesava comunque la supposizione che le zone geopatogene avessero una grande rilevanza sulla fertilità.
Può sembrare obiettivamente una considerazione dubbia che un tema ancora discutibile come le “radiazioni telluriche” venga incluso nell’attività pratica medica; ma i grandi risultati che io e molti altri medici curanti abbiamo potuto verificare con questo procedimento mi impongono di considerare questo tema e di metterlo in discussione comunemente con i pazienti.
Le coppie che non riescono ad avere figli hanno normalmente una grande ansia, associata alla pressione psicologica alla quale si sottopongono o che viene indotta dalla famiglia. D’altra parte il test kinesiologico con le provette Geovita è straordinariamente veloce, economico, facile da imparare e semplice. Perciò vorrei promuovere questo test nella prassi medica del programma di cura della mancanza di procreazione già dall’inizio. In tal modo si possono risparmiare in molti casi enormi costi e il peso psicologico delle coppie viene ridotto al minimo.
Non serve nemmeno sempre un rabdomante. Le coppie possono provare a spostare il loro letto in un posto soggettivamente gradito. Se il posto è neutro, il test muscolare non dovrebbe mostrare alcun indebolimento del muscolo indicatore nell’arco di 6 settimane di permanenza.
Secondo il mio giudizio spesso sono addirittura controindicate misure invasive come l’IVF (fecondazione in provetta) in caso di sterilità secondaria, poiché queste coppie hanno già dimostrato di riuscire a concepire in condizioni favorevoli.
Una zona geopatogena al contrario rappresenta una situazione estremamente avversa che può nella maggior parte dei casi essere evitata se il medico ha la possibilità di escluderla o confermarla testando le persone e consigliando le coppie conseguentemente.
Perciò vale la pena di prendere in considerazione questo fattore patogeno inconsueto e di eliminarlo pensando alla felicità e alla gratitudine dei futuri genitori.
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[1] Hartmann Ernst: “Malattia come problema del luogo” Haug Verlag, Heidelberg 1986

[2] H. L. König und H.-D. Betz: “Der Wünschelruten Report” Eigenverlag, Munchen 1989 (docenti all’Università di Monaco di Baviera)

[3] Bergsmann  Otto: “Risikofaktor Standort” Facultas Verlag, Wien 1990 (docente all’Università di Vienna)